Fusione nucleare: la svolta USA e il futuro del progetto europeo Iter

Progetto ITER - Credit © ITER Organization, http://www.iter.org/ La notizia che arriva dalla National Ignition Facility negli Stati Uniti è di quelle importanti: per la prima volta, infatti, una reazione di fusione nucleare ha ottenuto più energia di quella consumata per innescarla. "Una svolta storica", come l’hanno definita a Washington. Ma la cautela è d’obbligo e una serie di problemi restano ancora irrisolti. Di certo la svolta statunitense potrebbe avere conseguenze anche da questo lato dell’Atlantico.

Il programma Euratom 2021-2025

La fusione termonucleare è la reazione che avviene nel Sole e nelle stelle, un processo in cui due nuclei si uniscono per formarne uno più pesante, mentre la fissione (quella usata finora) è il processo in cui un nucleo si divide in due nuclei più leggeri. Nel primo caso l’energia scaturisce dall’unione di due nuclei di elementi molto leggeri come, ad esempio, l’idrogeno.

La differenza più grande sta nei rifiuti prodotti: il processo di fissione comporta la produzione di scorie altamente radioattive, mentre nella fusione non ci sono rifiuti pericolosi di nessun tipo, né rischi di disastri ambientali. 

Per questo molti considerano la fusione nucleare la principale risposta della scienza al problema energetico nel lungo periodo e un obiettivo cui gli scienziati lavorano ormai da decenni.  

Il 13 dicembre la statunitense National Ignition Facility ha ufficializzato un risultato molto importante nella ricerca sulla fusione nucleare: per la prima volta si è prodotta una reazione di fusione che crea un guadagno netto di energia, ovvero la reazione ha ottenuto più energia di quella necessaria per innescarla.

"Un passo che potrebbe rivoluzionare il mondo", come viene descritto da Washington. Un risultato ottenuto attraverso la fusione a confinamento inerziale che "sfrutta potenti laser che fanno convergere più fasci simultaneamente su piccolo bersaglio, riscaldandolo e comprimendolo, fino a ottenere la reazione di fusione", spiega Stefano Atzeni, docente dell'Università di Roma La Sapienza, esperto di fusione nucleare.

E’ proprio nella scelta della tecnologia che le strade di Stati Uniti e Europa si dividono. 

Mentre gli USA hanno puntato sulla tecnologia del confinamento inerziale che utilizza i laser, l’Unione Europea ha puntato sui reattori a confinamento magnetico - processo in cui le reazioni di fusione nucleare avvengono in un plasma di particelle cariche ad elevata temperatura confinate da un campo magnetico - come Iter, il progetto che mira a costruire la macchina per la fusione più grande al mondo.

La “svolta storica” USA è davvero uno “smacco per l’UE”?

"Questa svolta dimostra che la necessità di continuare ad investire nella fusione nucleare è forte", ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. "Abbiamo bisogno di vari approcci per garantire questa energia pulita in futuro, ma questo dimostra che vale la pena intensificare il lavoro e la ricerca", ha aggiunto.

Al netto della diplomazia secondo alcuni l’UE potrebbe subire dei contraccolpi dalla “svolta” americana

Ne è convinto Atzeni: “Questo annuncio rappresenta uno smacco per le scelte fatte dall'Unione Europea che invece ha deciso di puntare sul confinamento magnetico. Ricordo di aver partecipato a meeting dello European science and technology assembly (costituita dal Parlamento Europeo) a Bruxelles e ad Oxford in cui fisici di primo livello come Carlo Rubbia e Nicola Cabibbo oltra a colleghi internazionali avevano raccomandato di sostenere questo percorso alternativo alla fusione nucleare, che però è rimasto lettera morta”. 

Un approccio che ha portato Bruxelles a puntare molto su un progetto internazionale, Iter, uno dei più ambiziosi in fatto di fusione nucleare, in cui l’Italia ha un ruolo di primo piano. 

Cos’è il progetto Iter e quanto ci investe l’Europa?

Aacronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, e allo stesso tempo riferimento al latino "percorso" o "cammino", il progetto Iter è basato sul principio alla base delle stelle: la fusione di idrogeno per formare elio e rilasciare un'enorme quantità di energia pulita.

Si tratta del primo progetto a lungo termine per la costruzione e il funzionamento di un reattore destinato a testare la fattibilità della fusione come fonte di energia, cui partecipano l’Unione europea, gli Stati Uniti, la Federazione russa, il Giappone, la Cina, la Corea del Sud e l’India.

Il reattore sperimentale è attualmente in costruzione a Cadarahe, nel Sud della Francia. 

L’Europa ha investito molto su questo progetto e continuerà a farlo: il finanziamento europeo al progetto per il periodo dal 2021 al 2027, infatti, è fissato a 5,61 miliardi di euro a prezzi correnti.

Euratom in forza dell'accordo ITER è la parte ospitante, mentre l’organizzazione Fusion4Energy gestisce il contributo dell’Unione europea a ITER e collabora con il Giappone in materia di progetti di ricerca e sviluppo sulla fusione.

Secondo le stime della Commissione, l'importante realizzazione del primo plasma avverrà probabilmente nel dicembre 2025, con la piena operatività prevista per il 2035. Si prevede che l'energia da fusione come fonte energetica commercialmente valida non produca elettricità prima del 2050.

Dopo Iter si lavora a DEMO 

Ma i finanziamenti europei alle attività di ricerca sulla fusione nucleare hanno portato anche oltre il progetto Iter. Eurofusion, il consorzio europeo per lo sviluppo della fusione nucleare composto da 25 Stati UE più la Svizzera e il Regno Unito e che riceve i suoi finanziamenti dal programma Horizon 2020, ha annunciato a luglio 2022 l’avvio della progettazione ingegneristica della prima centrale dimostrativa a fusione. 

Si chiama DEMO (Demonstration Fusion Power Reactor) e si pone l’obiettivo di produrre, intorno alla metà del secolo e in modo sicuro e sostenibile, 300-500 MW di energia elettrica, in grado di soddisfare i consumi annuali di circa 1,5 milioni di famiglie. 

Il reattore dimostrativo DEMO sarà il successore dell’impianto sperimentale ITER. “Si tratta di un passo importante che traghetterà la ricerca sulla fusione da un ambito puramente sperimentale alla produzione vera e propria di energia elettrica. Per farlo DEMO dovrà adottare le più avanzate tecnologie per ‘controllare’ il plasma e generare elettricità in modo sicuro e continuo operando con un ciclo del combustibile chiuso”, sottolinea Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento ENEA di Fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare. 

“A questo scopo, stiamo realizzando, con i nostri partner, il super laboratorio Divertor Tokamak Test (DTT) presso il Centro Ricerche di Frascati. Qui testeremo nuove e diverse configurazioni e materiali per il divertore, il dispositivo che avrà il compito di smaltire il calore residuo all’interno dei reattori a fusione con flussi di potenza superiori a 10 milioni di Watt per metro quadrato, confrontabili a quelli della superficie del Sole”, aggiunge Dodaro. 

L’annuncio di DEMO è arrivato dopo il risultato record ottenuto da EUROfusion presso l’impianto europeo JET (Joint European Torus) a Culham (Regno Unito), che ha prodotto 59 megajoule di energia totale da fusione utilizzando lo stesso mix di combustibili di deuterio-trizio (plasma) che sarà impiegato in ITER, in DEMO e nelle future centrali elettriche a fusione. 

Il ruolo dell’Italia nei progetti europei per la fusione nucleare

Iter e DEMO hanno un punto in comune: in entrambi i casi l’Italia ha assunto un ruolo di primo piano.

In primis attraverso ENEA, che è stata protagonista nella progettazione e nel programma di ricerca e sviluppo di ITER.  

Nella fase di costruzione, ENEA partecipa con la progettazione e realizzazione di componenti ad alto contenuto scientifico e tecnologico, mediante la presenza di ricercatori e tecnici italiani nelle organizzazioni preposte alla realizzazione e il supporto al sistema industriale italiano per la realizzazione delle forniture ad ITER.

I centri di ricerca ENEA di Brasimone e Frascati dispongono di infrastrutture di eccellenza e, proprio a Frascati, è in via di realizzazione il Divertor Tokamak Test facility, un'infrastruttura strategica nella roadmap verso la fusione, ideata da ENEA in collaborazione con alcuni tra i più prestigiosi istituti di ricerca, ENI, Banca europea degli investimenti e Consorzio Create per sperimentare soluzioni ad alcuni dei nodi più complessi sul cammino della fusione, con ricadute scientifiche, economiche e occupazionali di rilievo.

Non solo. Da settembre 2022 il nuovo Direttore Generale dell'Organizzazione Internazionale ITER è proprio un italiano, Pietro Barabaschi, che vanta una lunga carriera nell’ambito della ricerca sulla fusione nucleare ed una vasta esperienza nella costruzione di impianti di fusione.

Ma torniamo a ENEA e ad altre eccellenze della ricerca italiana coinvolte in progetti per la fusione nucleare. L’Italia è presente anche in EUROfusion, di cui fanno parte 21 organizzazioni italiane coordinate da ENEA, tra cui Istituto per la scienza e tecnologia dei plasmi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istp) e Consorzio RFX. 

A sua volta il Consorzio RFX vede come soci, oltre a Cnr ed ENEA, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Università degli Studi di Padova ed Acciaierie Venete.

Ma non è solo la ricerca italiana ad occupare un ruolo di primo piano nei diversi progetti europei legati alla fusione nucleare. 

A novembre 2020, ICAS - un consorzio che comprende, appunto, ENEA e due aziende di punta del settore, la toscana Tratos Cavi SpA e la piemontese Criotec Impianti SpA - sono stati consegnati al sito di Cadarache i primi 420 metri di innovativi conduttori da posizionare nel ‘cuore’ dell’impianto di ITER.

A gennaio 2020 Fincantieri ha vinto il terzo contratto come capofila di tre diversi raggruppamenti nell’ambito di ITER. Il contratto, del valore di quasi 100 milioni di euro, per una serie di forniture e installazioni di equipaggiamenti di alto profilo, che vede coinvolte la sua controllata Fincantieri SI, attiva nel settore dell’impiantistica e componentistica industriale elettrica, elettronica ed elettromeccanica, Delta-ti Impianti, specializzata in impiantistica meccanica, e Comes, specializzata in impiantistica elettrica. 

A maggio il consorzio guidato da Ansaldo Nucleare si è aggiudicato un contratto-quadro da 10 milioni di euro per  una valutazione fisica e tecnologica dell’architettura di sistema dell’impianto a fusione nucleare, della sua configurazione generale e dei processi di ingegneria del sistema. 

E l’elenco non finisce qui. In una nota dell’8 aprile 2021, ENEA ha fatto sapere che le gare vinte per realizzare il progetto italiano per la fusione nucleare, il Divertor Tokamak Test (DTT) promosso da ENEA, Eni e Consorzio CREATE hanno superato quota 85 milioni di euro. 

Nel 2021 la compagine azionaria della DTT Scarl, la società deputata a realizzare questa facility sperimentale unica al mondo, si è ampliata con l’ingresso di sei nuovi soci: INFN, Consorzio RFX, Politecnico di Torino, Università della Tuscia, Milano Bicocca e Roma Tor Vergata. L’investimento complessivo è di oltre 600 milioni di euro, di cui 250 milioni grazie ad un prestito BEI, che lo ha inserito tra i progetti strategici.

Un altro contratto assegnato a seguito di una gara internazionale, per un valore di 33 milioni di euro, riguarda la fornitura di 18 giganteschi magneti superconduttori da parte dell’italiana ASG Superconductors (Malacalza), che ha acquisito contratti analoghi anche per il progetto internazionale sulla fusione ITER.  

Anche Eni ha investito grosse somme nella fusione nucleare e partecipa a quattro progetti sulla fusione nucleare tramite confinamento magnetico: quelli della società Commonwealth Fusion Systems (di cui Eni è azionista di maggioranza) e del Plasma Science and Fusion Center del MIT, entrambi negli Stati Uniti; quello di ENEA a Frascati (il Divertor Tokamak Test); quello del CNR “Ettore Maiorana” di Gela.