Efficienza energetica: perchè bisognerebbe parlare di più di EPC e PPP
Il contratto di prestazione energetica (EPC) permette di fare interventi di riqualificazione energetica sugli edifici a costo zero per i proprietari (pubblici o privati). I costi e i guadagni della società che effettua i lavori, infatti, sono coperti dai risparmi generati sulle bollette (ma non solo) che, per un certo periodo, vanno in tasca all’azienda.
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Nonostante gli indubbi aspetti positivi e il fatto di essere stato introdotto in Italia ormai da circa un decennio, l’EPC non è ancora uno strumento molto diffuso, sia in ambito privato, sia in ambito pubblico.
A frenarne la diffusione è infatti la sua “particolare complessità”, si legge nel vademecum rilasciato da poco dal Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) e presentato di recente nel corso di un webinar.
Ciò non toglie, però, che in un Paese in piena "bonus bulimia" si dovrebbe cominciare a parlare maggiormente di EPC, vista la sua potenziale capacità di tenere insieme diversi obiettivi come: la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici; la qualificazione delle imprese con il conseguente aumento della loro competitività; i conti pubblici.
Cosa sono i Contratti di prestazione energetica
Introdotti nell’ordinamento europeo a più riprese (da ultimo con la Direttiva 2012/27/CE) e recepiti in Italia tramite diversi decreti, gli Energy Performance Contracting (EPC) sono un tipo di contratto che:
- permette al cliente finale (una PA o un privato, incluse le imprese) di ottenere un risparmio energetico sul proprio edificio, ripagando l’intervento nel tempo, grazie ai flussi di cassa conseguiti dalla riqualificazione energetica (cioè, grazie al risparmio sulle bollette e ai certificati bianchi);
- lega il pagamento all’effettivo raggiungimento del risparmio energetico;
- assicura la manutenzione per un lungo lasso di tempo.
Visto che l’azienda che fa i lavori viene pagata grazie ai risparmi energetici conseguiti, l’EPC è infatti un contratto che concretizza “la correlazione tra pagamento e risultati in termini di prestazione energetica raggiunta”, si legge nel vademecum.
A seconda della ripartizione dei rischi, della copertura finanziaria e delle modalità della remunerazione della società che effettua i lavori, esistono diverse tipologie di contratti EPC. Le più comuni sono:
- Il First out, in cui il risparmio energetico conseguito viene interamente utilizzato per ripagare il finanziamento dell’intervento e remunerare l’attività della società che ha fatto i lavori e che ha fornito il capitale;
- Il First in, nel quale il cliente “gode dei benefici economici derivanti da un risparmio energetico maggiore a quello minimo garantito (overperformance) e paga all’operatore economico un canone fisso con conguaglio nel caso in cui il risparmio ottenuto sia superiore a quello garantito”;
- Lo Shared Savings (risparmio condiviso), dove la società che realizza i lavori, fornisce il capitale e fino alla scadenza detiene la proprietà degli impianti e in cui i proventi del risparmio sono suddivisi tra le parti.
I guadagni derivanti da un EPC non derivano, però, solo dalla remunerazione diretta dei risparmi energetici conseguiti (cioè dalla riduzione delle bollette).
In genere, infatti, le società che effettuano i lavori di efficientamento energetico nell’ambito di un EPC si remunerano anche tramite i certificati bianchi, cioè tramite un titolo che certifica il risparmio energetico conseguito e che può essere venduto ai distributori di energia elettrica e gas naturale. La legge infatti obbliga questi soggetti a raggiungere ogni anno determinati obiettivi quantitativi di risparmio di energia primaria: obiettivi che possono essere conseguiti o tramite la realizzazione di progetti propri o tramite (appunto) l'acquisto di certificati bianchi di altri (cioè tramite un "finanziamento indiretto” a interventi di efficienza energetica realizzati da altri soggetti).
Per approfondire: le novità sui certificati bianchi
Cosa sono le ESCo
Data la complessità del contratto (che deve per forza prevedere anche la misurazione e la verifica del miglioramento dell’efficienza energetica), le aziende in grado di realizzare un EPC sono in genere le ESCo (cioè le Energy Service Company).
Disciplinate dal d.lgs. 115/2008, le ESCo sono infatti società di servizi energetici che forniscono “servizi energetici ovvero altre misure di miglioramento dell’efficienza energetica nelle installazioni o nei locali dell’utente (...) accettando un certo margine di rischio finanziario”, dove “il pagamento dei servizi forniti si basa, totalmente o parzialmente, sul miglioramento dell'efficienza energetica conseguito e sul raggiungimento degli altri criteri di rendimento stabiliti ”.
In altri termini, spiega il vademecum, “le ESCo operano sul mercato offrendo pacchetti integrati di servizi che, partendo dalla diagnosi energetica, sono volti al raggiungimento dell’efficienza energetica”.
Secondo la Commissione europea, gli elementi caratterizzanti delle ESCo sono:
- La garanzia, sotto varie forme, del risparmio energetico e/o la fornitura dello stesso livello di servizio energetico a costi inferiori;
- La remunerazione connessa ai risparmi energetici conseguiti;
- La possibilità di svolgere un ruolo nel finanziamento o nell’organizzazione dei finanziamenti.
- Per un elenco delle ESCo in Italia, si può consultare il sito di Accredia.
I Contratti di prestazione energetica e i PPP
Come accennato, gli Energy Performance Contracting (EPC) possono essere usati anche dalle PA per fare interventi di efficientamento energetico sugli immobili pubblici.
Dopo essere stati inquadrati, all'inizio, come dei canonici appalti, dal 2020 gli EPC sono stati inseriti invece nel novero dei partenariati pubblico-privato (PPP).
In parricolare, si legge nel vademecuum, “l’EPC è riconducibile nell’alveo del PPP quando realizza l’allocazione dei rischi nel rispetto della disciplina vigente in materia di partenariato pubblico privato (art. 180, co. 3, d.lgs. 50/2016, secondo cui i rischi legati all’operazione sono suddivisi tra le parti sulla base delle rispettive competenze di gestione del rischio, ferma restando l’allocazione in capo all’operatore economico, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l’esterno, del rischio di domanda), garantendo l’equilibrio economico-finanziario dell’operazione che costituisce il presupposto di tale corretta allocazione (art. 180, co. 6, d.lgs. 50/2016)”.
Al di là delle definizioni formali, ciò che vale la pena sottolineare è che “lo strumento del partenariato pubblico privato avente ad oggetto un EPC, oltre a sfruttare l’effetto leva determinato dall’utilizzo congiunto di risorse pubbliche e private, permette agli operatori economici di proporre iniziative alle PA (...) e consente in astratto lo sviluppo di iniziative caratterizzate da un elevato grado di innovazione grazie al know-how del settore privato; inoltre, se l’operazione è correttamente strutturata, dovrebbe incentivare il privato a raggiungere gli obiettivi di performance (in termini di fruibilità dell’opera, erogazione dei servizi, riduzione dei consumi, etc.), dai quali dipende la sua remunerazione, avendo egli assunto i rischi di mercato”.
Foto di Gustavo Fring da Pexels