Il futuro dei Fondi UE tra Brexit ed elezioni europee

L'impatto delle elezioni europee sul bilancio UE 2021-2027Parlamento e Consiglio hanno raggiunto un accordo di massima su dieci dei 37 nuovi programmi di finanziamento proposti dalla Commissione UE, ma l'incombenza delle elezioni europee e l'esito incerto della Brexit complicano il negoziato sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027.

Bilancio UE post 2020: guida ai nuovi programmi di finanziamento

Il tema dell'impatto della tornata elettorale alle porte sul futuro del Bilancio UE è stato al centro di un incontro organizzato a Roma dall'Associazione bancaria italiana (ABI) insieme a Warrant Hub, con il patrocinio della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, per fare il punto sullo stato dei negoziati e sulle priorità italiane per la nuova programmazione dei fondi europei.

Un ciclo che vedrà potenziate alcune aree di intervento, ha spiegato il vicedirettore generale della DG Bilancio della Commissione europea Silvano Presa, ricordando l'aumento degli sforzi per ricerca, innovazione, digitalizzazione, attraverso i programmi Horizon Europe e Digital Europe, per i giovani, con il raddoppio dei fondi per Erasmus, per la sicurezza e la gestione delle frontiere, per la sostenibilità ambientale e lotta ai cambiamenti climatici, attraverso il programma LIFE, ma anche trasversalmente alle politiche di spesa con l'impegno a destinare almeno il 25% del bilancio UE a misure con impatto sul clima.

La necessità di incrementare i fondi per queste aree di intervento in coincidenza con l'uscita del Regno Unito dall'Unione, ha ricordato Presa, ha condotto a una riduzione degli stanziamenti per la Politica Agricola Comune (PAC) e per la Politica di Coesione e alla proposta di aumentare i tassi di cofinanziamento nazionali, temi che ora dividono gli Stati membri, in un contesto tra l'altro complicato dalle incertezze sulla Brexit e sulla nuova composizione del Parlamento europeo.

Le condizioni per far partire la nuova generazione di programmi di finanziamento nei tempi, però, ci sono, ha assicurato il vicedirettore generale. Parlamento europeo e Consiglio hanno raggiunto un accordo di massima su 10 dei 37 programmi di spesa, al netto degli aspetti finanziari che dipenderanno dal compromesso sulla dotazione del Quadro finanziario pluriennale. Per questi programmi le elezioni europee non dovrebbero rivelarsi particolarmente destabilizzanti perché le maggioranze raggiunte sono tali da reggere anche con scostamenti significativi nella composizione del PE, ha osservato Presa.

Più indietro il negoziato sugli altri programmi. Nel gruppo rientrano ad esempio i programmi Giustizia, Dogane, Europa Creativa, Erasmus, la Politica marittima e per la pesca e i fondi per l'asilo e la migrazione, ma le maggiori incertezze riguardano la Coesione e soprattutto la PAC.

I dubbi sulla nuova PAC

Il taglio dei fondi europei per l'agricoltura e in particolare per lo sviluppo rurale, ha spiegato infatti il responsabile Area economica e Centro Studi di Confagricoltura Vincenzo Lenucci, non è trascurabile, soprattutto se si pensa che a fronte di risorse inferiori aumentano gli sforzi richiesti agli agricoltori a livello ambientale.

La riduzione generale dei fondi PAC si accompagna poi per l'Italia al taglio collegato al meccanismo della convergenza esterna degli aiuti, che mira ad avvicinare il livello di fondi UE ricevuti dagli Stati membri ma non tiene conto di fattori essenziali quali il numero di aziende e di occupati nei diversi paesi e finisce per penalizzare quelli che praticano agricoltura a più alto valore aggiunto. Senza dimenticare il tema della ridistribuzione interna delle risorse, a svantaggio delle imprese più grandi imprese e più orientate al mercato, ha aggiunto Lenucci.

Vi sono poi i dubbi sul nuovo modello di gestione dei fondi UE proposto dal commissario Hogan, basato sui Piani strategici nazionali e guardato con preoccupazione dal Parlamento europeo per il rischio di una rinazionalizzazione delle PAC, che potrebbe avere impatto anche sulla concorrenza nel mercato interno.

Si tratta però, secondo Lenucci, anche di un'opportunità per l'Italia, l'occasione per un coordinamento maggiore delle procedure, e magari anche delle misure, in direzione di una politica più unitaria e di una maggiore semplificazione.

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Parola chiave standardizzazione

L'esigenza di semplificare le procedure di accesso ai fondi europei non riguarda solo la Politica Agricola Comune. La strada intrapresa dalla Commissione europea è giusta, ma anche a livello nazionale serve maggiore standardizzazione per rendere più rapido ed efficiente l'impiego dei fondi europei, ha spiegato Raffaele Rinaldi, responsabile dell'Ufficio Credito e Sviluppo dell'ABI.

Da una parte, quindi, sarebbe utile ripartire dagli strumenti agevolativi che hanno già dimostrato di funzionare e che le imprese e le banche già conoscono; dall'altra, le regole nazionali per l'utilizzo dei fondi dovrebbero assicurare modalità di impiego omogenee in tutte le regioni, lasciando spazi di flessibilità per le esigenze locali, ha suggerito.

Dello stesso avviso Alberto Marchiori, incaricato per le Politiche UE di Confcommercio-Imprese per l'Italia. Le associazioni di categoria dovrebbero collaborare tra loro per incidere sulla definizione dei criteri di spesa dei fondi europei in direzione di una maggiore semplificazione, e non essere considerati meri uditori nei processi di programmazione delle risorse.

Si tratta in ultima analisi di lavorare per accelerare i tempi di impegno, ma soprattutto di erogazione delle risorse ai beneficiari ai finali, ha sottolineato il professor Luciano Monti, che insegna Politiche dell'Unione europea presso la Luiss Guido Carli. Se è vero che a fine programmazione l'Italia è sempre riuscita a rendicontare il 100% dei fondi assegnati, non bisogna sottovalutare l'impatto dei ritardi nella concessione dei finanziamenti alle imprese. Da un'analisi sull'avanzamento dei fondi 2014-2020, ad esempio, i livelli di spesa nel 2018 dei fondi UE per l'innovazione risultano estremamente bassi, con impegni a favore di circa 35mila imprese e l'erogato che si ferma a circa 4mila imprese.

In questo contesto, secondo Monti, le banche possono giocare un ruolo cruciale, non solo nell'ambito del nuovo programma Invest EU, ma anche come interlocutori delle Autorità di gestione dei Programmi operativi regionali.

Il ruolo delle banche e degli strumenti finanziari

In continuità con l'esperienza del Piano Juncker, ha spiegato infatti Presa, la Commissione europea ha proposto di razionalizzare gli strumenti finanziari attualmente esistenti nell'ambito di un fondo unico, InvestEU, con quattro finestre di intervento: infrastrutture; ricerca e innovazione; PMI; sociale e competenze.

A differenza di quanto accaduto con il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), in questo caso l'attuazione non sarà monopolizzata dal gruppo BEI, che gestirà direttamente il 75% della garanzia, mentre delegherà il rimanente 25% ad istituti di promozione nazionali e ad altre istituzioni finanziarie.

Un'opportunità guardata con grande interesse dalle banche italiane ha assicurato Rinaldi, che forti del loro radicamento sul territorio e di una grande conoscenza degli strumenti finanziari e delle misure agevolative possono anche contare sull'esperienza maturata con il Piano Juncker, che ha visto l'Italia tra i maggiori beneficiari.

Attenzione ai fondi per ricerca e innovazione

L'altro polo di grande interesse per il mondo bancario è il programma per la ricerca e l'innovazione Horizon Europe, sia perché consente alle banche di supportare le imprese clienti, sia perché le banche vi vedono possibilità di partecipare a gare per migliorare il loro livello di digitalizzazione, ha spiegato Rinaldi.

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Si tratta di uno dei capitoli più interessanti della proposta della Commissione, su cui bisogna vigilare in sede di negoziato, ha avvertito il direttore della delegazione di Confindustria presso l’Unione europea Matteo Borsani.

E' vero che il negoziato è già piuttosto avanzato, ma non abbiamo ancora gli stanziamenti dei programmi, che dipenderanno dall'accordo sul QFP. L'auspicio del Consiglio è raggiungere un'intesa entro l'autunno, ma secondo Borsani non si può escludere, come accaduto in passato, un accordo in extremis a fine 2020.

Quando si tratterà di trattare sulle cifre, ad avere la meglio non saranno necessariamente i programmi più validi, ma quelli maggiormente difesi, ha sottolineato. E se la Francia si spenderà per la PAC e il gruppo di Visegrad si batterà per la Coesione, è importante che qualcuno difenda i fondi per ricerca, innovazione, spazio e difesa. Programmi importanti per l'Italia che potrebbero essere ridimensionati all'ultimo minuto, in assenza di valide alleanze sin da ora.

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