Riforma degli incentivi, come migliorarli per le medie imprese e il sud Italia
L'intervista all'amministratore delegato di Invitalia Bernardo Mattarella dello scorso 4 agosto sul Corriere della sera fornisce 2 spunti interessanti su come migliorare il sistema di incentivi alle imprese, attualmente oggetto di un profondo riordino a cui sta lavorando il Governo con le Commissioni parlamentari.
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La riforma in itinere è piuttosto ambiziosa, ha un elevato livello di complessità a causa delle tante tipologie di aiuto in essere e delle diverse provenienze finanziarie che costituiscono le dotazioni in capo alle numerose misure di intervento, censite in quasi 2.000 incentivi tra quelli erogati dalle amministrazioni centrali e regionali.
Invitalia è la più grande società in house del Mimit (fornisce supporto anche ad altri ministeri) e svolge assistenza tecnica su un grande numero di incentivi. I dati statistici di cui dispone sono assolutamente utili per alcune rilevanti considerazioni.
Il primo dato fornito nell'intervista è il numero di imprese supportato da Invitalia nel 2022 con incentivi, pari ad oltre 100mila, di cui il 23% residenti nel sud Italia. Questa percentuale evidenzia come il Mezzogiorno sia sempre "svantaggiato" nella assegnazione delle risorse, nonostante le dotazioni finanziarie siano in genere più cospicue rispetto al Centro e Nord Italia, quando provengono da fondi strutturali.
I fondi strutturali gestiti a livello nazionale sono però inferiori rispetto a quelli erogati dalle Regioni, e queste non riescono comunque a compensare lo squilibrio.
Il Mezzogiorno ha carenze strutturali che la politica di coesione per anni non è riuscita a colmare. Pertanto la sua ridotta capacità di assorbire le risorse amministrate a livello centrale, non provenienti da fondi strutturali, dovrebbe essere aiutata con delle riserve finanziarie stabilite esclusivamente per le regioni del Sud, in modo da compensare la maggiore facilità con cui le imprese del Centro Nord si aggiudicano gli aiuti.
Tuttavia, la sola riserva di dotazione per il Sud potrebbe non essere sufficiente a riequilibrare la distribuzione delle risorse. L'esperimento più significativo in questo senso è in corso con il vincolo stabilito nel PNRR, che destina il 40% delle risorse al Mezzogiorno. Una recente rilevazione - da approfondire nel link che segue questo paragrafo - ha stabilito finora che le spese effettuate non si discostano molto dagli obiettivi prefissati, ma il risultato finale lo vedremo solo dopo il 2026, termine in cui dovrà essere completato il piano.
Terza relazione PNRR: progressi su vincolo 40% fondi al Sud
Il punto nodale rimane sempre quindi quello riguardante le carenze strutturali di cui soffre il Mezzogiorno, per cui si rimanda alle numerose analisi dello Svimez, e di come poterle superare.
In questo ambito rileva il 2° punto interessante dell'intervista, la scarsità - o meglio la quasi totale assenza - di incentivi per le imprese che investono da 4 a 20 milioni di euro. Stiamo parlando di aiuti che verrebbero usati principalmente da imprese di media dimensione, aziende che hanno caratteristiche tali per cui la crescita di ricavi e gli incrementi occupazionali sono in genere consistenti quando si attuano i progetti agevolati; questi investimenti riescono poi ad attrarre altri capitali privati, che continuano a sostenere la crescita aziendale, generando quindi un percorso virtuoso nello sviluppo industriale ed economico del Paese.
I fondi strutturali purtroppo non sono molto usati per questa tipologia di aiuto. Le amministrazioni regionali prediligono erogare aiuti di lieve entità ad un più ampio numero di beneficiari, ma le piccole e le micro imprese spesso non sono poi in grado, con i limitati aiuti ottenuti, di fare quel salto dimensionale e qualitativo che un investimento medio di 10-12 milioni è in grado di generare. Sopratutto le micro e piccole imprese, con piccoli investimenti, non riescono ad attrarre gli ingenti capitali privati che sono messi sempre di più a disposizione dai numerosi fondi di private equity e venture capital.
Dopo oltre 20 anni di politica di coesione inefficace, almeno in Italia, tanto che l'Istat ha pubblicato lo scorso giugno un rapporto intitolato "La politica di coesione e il Mezzogiorno - vent'anni di mancata convergenza", è arrivato il momento di introdurre cambiamenti significativi, perché ormai è ampiamente dimostrato che continuando con le stesse misure e gli stessi interventi non si ottengono i risultati sperati.
E anche l'Unione europea, ancorchè vincolata ad attuare in maniera omogenea le politiche di coesione in Europa, deve autorizzare e forzare gli Stati membri ad introdurre opportuni, consistenti ed efficaci correttivi, per evitare di mantenere l'inutile sperpero di risorse.
La frammentazione delle misure solleva anche un altro problema, quello delle miriade di procedure e di piattaforme telematiche che gestiscono le richieste di aiuto e l'erogazione delle agevolazioni, uno dei peggiori svantaggi derivanti dalla autonomia regionale in materia di incentivi.
Al riguardo va ricordato che un incentivo del passato, la famosa legge 488/92, era uno strumento nazionale con procedura gestita dal Ministero dello sviluppo economico e dalle banche convenzionate uguale per tutte le aree depresse, del Sud e del Centro Nord Italia. Le Regioni potevano però stabilire i loro parametri per la formazione delle graduatorie e l'assegnazione degli aiuti, mantenendo quindi la prerogativa per loro più importante, senza l'onere della gestione burocratica.
Questa centralizzazione delle procedure è un semplice soluzione per migliorare l'efficienza degli interventi, la capacità di spesa e il monitoraggio degli investimenti. La l. 488/92 aveva diversi difetti, ma non quello della mancata gestione centralizzata degli incentivi. Gli incentivi regionali possono avere molti pregi, ma certo non quello di una efficiente ed unica gestione e monitoraggio della spesa.
L'unico eventuale difetto di una vasta "nazionalizzazione" delle procedure è l'eccessivo accentramento di potere in capo ai soggetti che gestiscono le misure di intervento, soprattutto se ce ne sarà soltanto uno.