Angelillo, InnovUp: perché è importante investire nelle startup e nell'ecosistema innovativo
Nei prossimi anni servirà investire sempre più risorse in quelle realtà imprenditoriali innovative capaci di trainare la ripartenza economica del Paese. Cristina Angelillo, presidente di InnovUp, ci ha spiegato in che modo l'Italia potrebbe rafforzare il ruolo degli ecosistemi dell'innovazione e il contesto per la nascita e lo sviluppo delle startup in Italia.
Horizon Europe: i bandi per rafforzare gli ecosistemi dell'innovazione
Nonostante gli effetti della pandemia e grazie alla spiccata capacità di adattamento, continuano a crescere i finanziamenti ottenuti dalle startup in Italia: un settore che è stato in grado di affrontare gli ostacoli dell'emergenza Covid, senza dimenticare l'importanza di una strategia di medio-lungo periodo.
Dai fondi del PNRR per la transizione digitale alle misure previste dalla legge di Bilancio, abbiamo chiesto ad Cristina Angelillo, presidente dell’Associazione che rappresenta l’ecosistema italiano dell’Innovazione per il triennio 2022-2024, di parlarci delle opportunità attuali e dei progetti futuri per lo sviluppo delle imprese innovative sul territorio nazionale.
La pandemia ha provocato un’accelerazione senza precedenti sul tema della digitalizzazione. In questo contesto, quindi, quanto è importante la contaminazione tra imprese e innovazione?
L’ecosistema italiano ha dimostrato di saper far fronte comune durante le fasi più difficili della pandemia, grazie alla presenza di numerose giovani realtà che hanno rivoluzionato il loro modello di business per fornire un aiuto concreto nel momento di emergenza, sanitaria ed economica, senza però mai smettere di guardare al domani e, quindi, all’innovazione. Questo è stato reso possibile, dal mio punto di vista, essenzialmente da due fenomeni: da un lato l’attività degli attori formali (es. CdP Venture, ENEA Tech, ecc.), che con i nuovi e numerosi fondi a sostegno dell’innovazione sono riusciti a dare una fondamentale spinta in questo senso; dall’altro, è stata vincente la ritrovata voglia da parte dei giovani imprenditori e imprenditrici di proporre idee e novità, reazione che possiamo definire tipica di una fase successiva a una grande crisi, proprio come quella che abbiamo e stiamo continuando ad attraversare.
Più in generale, infine, l’ottimismo generato dall’arrivo dei fondi europei legati al PNRR rappresenta senza alcun dubbio quello stimolo in più per il varo di nuove attività che, come abbiamo visto spesso e volentieri, hanno incrociato proprio i temi della sostenibilità e ancor più quelli della digitalizzazione. Il tema del Trasferimento Tecnologico è uno dei campi in cui l’Italia può esprimere al meglio tutto il suo potenziale, e in questo sono indispensabili non solo la collaborazione tra aziende consolidate e imprese innovative, ma anche quella tra iniziativa privata e intervento pubblico, grazie a grandi attori qualificati come CDP Venture o ENEA Tech che, finalmente, sembra possa riprendere le sue attività.
Il PNRR prevede misure per rafforzare gli ecosistemi dell’innovazione in Italia, come il bando del ministero dell'Università aperto il 24 gennaio. Si tratta di iniziative efficaci. Si potrebbe fare di più?
Sicuramente i fondi del PNRR dedicati all’innovazione rappresentano una boccata d’aria fresca, che farà molto bene all’intero ecosistema. Al tempo stesso, però, non possiamo ritenerci totalmente soddisfatti, perché il lavoro da fare per ridurre definitivamente il gap con gli altri principali Paesi europei è ancora molto.
Per esempio, sarebbe necessario che lo Stato rendesse strutturale l’iniezione di liquidità nell’ordine di grandezza di diversi miliardi di euro nell’ecosistema e non solo, quindi, una misura “una tantum”. Le startup che operano negli stati europei più sviluppati sono sostenute da un mercato pubblico e privato del venture capital che raccoglie decine di miliardi di euro ogni anno.
Sarà fondamentale, poi, costruire ulteriori Fondi dei Fondi in grado di “ricapitalizzare” i fondi che stanno già funzionando bene, e al tempo stesso attrarre capitali e fondi esteri. Mi aspetto una vera e propria internazionalizzazione del nostro ecosistema finanziario a supporto delle startup, per renderlo ancora più attrattivo agli occhi degli startupper di tutto il mondo: solo così potremo iniziare a ragionare davvero in ottica globale.
Il bando del MUR non è strutturato male, ma appare evidente come sia essenzialmente “pubblico- centrico”, dando poco spazio al settore privato. In più, la scrittura dello stesso è molto ostica, evidenziando un altro problema del nostro sistema: la complessità della burocrazia, che non agevola l’ottenimento concreto di queste importanti risorse. Abbiamo chiesto formalmente che parchi tecnologici e centri d’innovazione possano candidarsi quali soggetti attuatori: attori in grado di partecipare attivamente alle “cordate decisionali”, proprio nell’ottica di dare più spazio possibile ai privati e alle loro competenze, troppo spesso sottovalutate.
L’Italia ha bisogno di un maggior impegno finanziario da investire su ricerca e innovazione, e di conseguenza anche del capitale umano in grado di consentirci di recitare un ruolo da protagonisti in settori che oggi potranno ancora sembrare di nicchia, ma che domani diventeranno assolutamente strategici. C’è sempre più bisogno di misure che favoriscano il ritorno dei nostri talenti, formati qui e poi costretti a rivolgersi altrove per dimostrare il proprio vero valore.
Anche a livello internazionale, sarebbe utile coordinarci e collaborare in modo più stretto con gli altri Paesi dell’UE. Se l’Italia, ad esempio, fatica ancora a raccogliere round di tipo B, C e successivi entro i propri confini, dobbiamo pensare a nuovi accordi paneuropei che possano sfruttare l’opportunità del mercato unico restando però di base nel nostro Paese, proprio per evitare quella “fuga di cervelli” che tanto ci ha colpiti negli ultimi anni. Istituire una tassonomia comune per definire i diversi attori dell’ecosistema non è quindi solo una priorità, ma un prerequisito necessario per lo sviluppo dell’intero settore.
Il calendario 2022 dei bandi PNRR per ricerca e innovazione
Relativamente alle misure a favore dell’ecosistema delle startup, si aspettava qualcosa in più dalla Legge di Bilancio 2022?
Non voglio nascondermi: la Legge di Bilancio non ci è piaciuta per niente. Le misure legate al mondo dell’innovazione e delle startup sono poche e soprattutto negative, basti pensare alla modifica della disciplina del Patent Box (che d’ora in poi prevede, ai fini fiscali, la maggiorazione del 110% dei costi di ricerca e sviluppo sostenuti in relazione ad alcuni beni immateriali), alle modifiche sul Credito d’Imposta Ricerca e Sviluppo (che è stato sì prorogato fino al 2031, ma dal 2023 con tagli sui tassi di agevolazione fiscale che passeranno dal 20% al 10% con un tetto di 5 milioni di euro), e soprattutto al mancato inserimento della possibilità di rivalutare il costo fiscale delle partecipazioni societarie (invece concessa negli ultimi anni), che comporta di conseguenza l’aumento della tassazione dei capital gains dall’11% al 26%, con un ritorno alla tassazione ordinaria.
Questo, come suggerito da Sergio Marchese (esperto di temi fiscali) in un’intervista rilasciata a StartupItalia, comporterà una netta discontinuità rispetto al passato, creando più di qualche malcontento tra tutti coloro che sono impegnati in operazioni di investimento in startup. Già, perché il mancato inserimento nella Legge di Bilancio della possibilità di rivalutare il costo delle partecipazioni si riflette non tanto su chi ha recentemente investito in startup o su chi ha intenzione di farlo in futuro, bensì su chi lo ha fatto in passato e ha invece intenzione di cedere a breve le sue partecipazioni. La rivalutazione del costo delle partecipazioni aveva permesso a tutti i soggetti con previsione di cedere partecipazioni in società non quotate di ottenere un grande risparmio fiscale, azzerando le plusvalenze con pagamento dell’imposta sostitutiva dell’11% invece che assoggettarle all’imposizione ordinaria del 26%, un importante incentivo fiscale all’investimento in economia reale. Insomma, si tratta di un quadro fiscale frammentato che non fa altro che accentuare disuguaglianze e creare disincentivi verso quello che più manca all’Italia per abbattere definitivamente il gap con gli altri Paesi europei: investire nell’innovazione.
Ci aspettiamo decisamente di più nei prossimi anni, con l’obiettivo di non bloccare un ecosistema che ha dato segnali importanti nonostante la crisi, tra tutti il superamento del miliardo di euro di investimenti annui in startup nel 2021.
Quali sono le caratteristiche essenziali affinché una startup possa avere un futuro?
Purtroppo, l’alta “mortalità” delle startup è un dato più che evidente nel nostro Paese. Esistono però alcuni punti fermi fondamentali in grado di garantire un futuro a tutte le imprese innovative. Anzitutto, affidarsi ad incubatori e acceleratori in fase “embrionale” può facilitare parecchio le cose. Rappresentano il miglior appoggio possibile per affinare l’idea innovativa di partenza, per consolidare il team, e per rendere il progetto scalabile.
Anche insediarsi in un territorio in grado di offrire il network ideale per le imprese (grazie alla presenza di centri di ricerca, università, istituti di credito…) è una mossa utile: avere a disposizione un laboratorio di prototipazione, per esempio, è un grande vantaggio per superare brillantemente la fase di validazione del proprio prodotto. Più l’ecosistema è articolato e il fermento industriale dinamico, più sarà facile trovare maggiori stimoli per l’impresa.
Il team, poi, è un elemento da non sottovalutare: circondarsi di persone preparate, capaci, che condividono il tuo pensiero ma con un mix eterogeneo di esperienze e competenze, è probabilmente il fattore più importante per garantire a una startup un futuro roseo.
Infine, ovviamente credere nella propria idea e nel proprio progetto innovativo: bisogna avere il coraggio di investire sul proprio sogno, perché le scoperte e le innovazioni hanno bisogno di essere conosciute per poter suscitare interesse nei potenziali clienti o investitori. Chiaramente ciò comporta dei rischi, che è necessario correre. E la cosa è valsa anche per me, che dopo tanti anni come progettista hardware in ambito radiofonico e televisivo ho deciso di uscire dalla “comfort zone” e fondare la startup Marshmallow Games, unendo le mie più grandi passioni: bambini e insegnamento.
In Italia ci sono le condizioni per far crescere una startup innovativa?
Il 2021 si è chiuso con una splendida notizia: per la prima volta, infatti, il nostro ecosistema ha superato la soglia “psicologica” del miliardo di euro in finanziamenti annui ottenuti dalle startup italiane, registrato dagli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e dal nostro Osservatorio sull’Open Innovation e il CVC. Questo è un chiaro sintomo di un settore sempre più riconosciuto dagli investitori, e pronto ad affrontare le sfide e a cogliere le opportunità del futuro.
In InnovUp siamo fermamente convinti che le startup, scaleup e PMI innovative, i centri di innovazione (come incubatori, acceleratori e parchi scientifici), gli abilitatori, i professionisti e le grandi corporate aperte all’innovazione rappresentino tutti tasselli importantissimi e interconnessi di un sistema unico, e che per questo motivo debbano lavorare all’unisono per consentire al nostro Paese uno sviluppo sempre più competitivo a livello globale.
Chiaramente, però, persistono anche alcuni limiti: nonostante i netti miglioramenti, il nostro ecosistema è circa un decimo di quello francese, un sesto di quello tedesco e tre quinti di quello spagnolo, e questo riflette il fatto che purtroppo l’Italia non ha mai avuto la soddisfazione di celebrare il primo unicorno ma, anzi, ha visto sempre più startup italiane “di nascita” e valutate oltre il miliardo di euro emigrare all’estero.
Sarebbe utile dimostrare che le startup possono trovare risposte alle proprie esigenze anche senza guardare necessariamente oltre confine, anzitutto rafforzando gli investimenti pubblici, agevolando quelli privati e insieme favorendo l’ingresso nelle nostre imprese di manager e giovani talenti di successo da tutto il mondo. Le startup dovrebbero essere viste come fondamentali in quanto in grado di risolvere concretamente i nuovi problemi della società, creando forza lavoro e facendo avanzare il livello tecnologico di tutte le altre imprese. Questa è un’ottica che dovrebbe essere adottata oggi, a maggior ragione dopo l’ottimo risultato in termini di investimenti dello scorso anno, per riuscire a mettere al centro del piano industriale le startup quali catalizzatore essenziale della transizione ecologica, della digitalizzazione e della creazione di nuovi posti di lavoro. Alla luce degli avvenimenti dell’ultimo anno, rimango però molto positiva.
Quello italiano è un ecosistema che si sta ancora sviluppando, ma che al tempo stesso è riuscito a lanciare segnali assolutamente incoraggianti: per esempio, abbiamo una delle migliori policy per startup a livello europeo. Mancano ancora i capitali per annullare definitivamente il gap con gli altri Paesi europei, ma il superamento del miliardo di finanziamenti dello scorso anno sarà in grado di creare un circolo virtuoso e aumentare l’attrattività di finanziatori anche esteri.
Quali azioni sta progettando per il futuro InnovUp?
Innovup è l’Associazione che rappresenta l’ecosistema italiano dell’innovazione, e a oggi conta un totale di oltre 300 soci, in continuo aumento nonostante l’emergenza sanitaria ancora in atto. In questo senso - vista la responsabilità che abbiamo e l’importante ruolo di rappresentanza che ricopriamo - l’obiettivo comune per il prossimo futuro sarà quello di continuare a promuovere iniziative strategiche in grado di sostenere e accrescere la rilevanza dell’ecosistema dell’innovazione all’interno dei temi più importanti per la vita dei cittadini, delle imprese e delle amministrazioni pubbliche, come sostenibilità, salute e digitalizzazione.
Ci sono poi alcune nuove azioni concrete che vorremmo realizzare: una sorta di “salotto” allestito nei maggiori centri di innovazione italiani in cui trattare - insieme ad aziende e scaleup - il tema dell’Open Innovation. Inoltre, la realizzazione di un’Academy dedicata alle startup, dove presentare case history rilevanti e momenti di approfondimento e studio grazie ai professionisti associati.
In quanto donna e imprenditrice del Sud sicuramente mi concentrerò sulle tematiche legate al gender gap, dato che in Italia continua a esistere ancora un netto squilibrio tra imprenditrici donne e imprenditori uomini. Basti pensare al fatto che quattro imprese su cinque, secondo una recente ricerca di Cariplo Factory, sono guidate da uomini. Qualcosa però sta cambiando, soprattutto per quel che riguarda il mondo delle startup dell’innovazione: ecco, dovremo cavalcare quest’onda per cercare di promuovere l’imprenditoria femminile e fare costantemente meglio.