Non solo ambiente, gli effetti positivi della transizione energetica riguardano anche PIL e lavoro
Secondo lo studio 'European Governance of the Energy Transition', realizzato da Fondazione Enel e The European House – Ambrosetti, gli investimenti nei settori coinvolti nel processo di transizione energetica potrebbero avere un impatto sul Pil di oltre 400 miliardi di euro in Italia.
Cosa prevede il pacchetto Clima
Impatti positivi su Prodotto Interno Lordo e occupazione, oltre che svariati benefici ambientali. Gestire efficacemente la transizione energetica, migliorando l’efficienza della governance, è un presupposto essenziale non solo per garantire la sostenibilità del sistema energetico, ma anche per cogliere un’imperdibile occasione per creare valore e occupazione.
È quanto emerge dallo studio “European Governance of the Energy Transition”, realizzato da Fondazione Enel e The European House – Ambrosetti in collaborazione con Enel e anticipato nell’ambito del Forum di The European House – Ambrosetti.
La transizione energetica in Europa
Negli ultimi due anni, la Commissione europea ha alzato l’asticella e a luglio 2021 ha portato l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dal precedente 40% ad almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Un traguardo ambizioso che nel prossimo decennio vuole consolidare la posizione dall'UE come leader globale della transizione energetica.
Gli investimenti nei settori coinvolti nel processo di transizione energetica genererebbero benefici a cascata, sia in Europa che in Italia con importanti effetti, indiretti e indotti. Infatti, lo studio dimostra che colmare questi divari nei prossimi 10 anni potrebbe avere un impatto cumulativo sul PIL di oltre 8.000 miliardi di euro nell’Unione europea e oltre 400 miliardi di euro in Italia.
L’Europa ha quindi un’opportunità senza precedenti per varare investimenti commisurati alla posta in gioco. Il Next Generation EU, un piano pluriennale da 750 miliardi di euro finalizzato a creare un’Europa più connessa, sostenibile e resiliente, è il fulcro della strategia europea per la ripresa. L’Italia è la principale beneficiaria del Next Generation EU e ha redatto un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano (PNRR) che ammonta a circa 235 miliardi di euro, di cui il 30% dedicato alla missione “rivoluzione verde”.
La neutralità climatica al 2050 è legge: cosa prevede l'EU Climate Law
A fronte di questa grande opportunità di creazione di valore e della urgenza associata al cambiamento climatico, lo studio evidenzia che, al ritmo attuale, l’Europa raggiungerebbe il nuovo obiettivo di riduzione del 55% dei gas a effetto serra solo nel 2051, con un ritardo di 21 anni rispetto al 2030.
Per quanto riguarda gli altri nuovi obiettivi fissati per le rinnovabili (40%) e l’efficienza energetica (+36%), anche in questo caso l’Europa è in netto ritardo: al ritmo attuale verrebbero raggiunti rispettivamente nel 2043 e nel 2053. In Italia, il PNIEC deve ancora essere rivisto alla luce del pacchetto “Fit for 55”. Una stima dei nuovi obiettivi al 2030 per l’Italia potrebbe essere la seguente: riduzione del 43% delle emissioni di gas serra, un contributo del 37,9% delle energie rinnovabili e un aumento dell’efficienza energetica del 46,4%. Valutando le attuali performance dell’Italia nel raggiungimento di questi obiettivi, emerge un ritardo medio di 29 anni, contro i 19 dell’Europa, con un ritardo di 24 anni per le energie rinnovabili.
È quindi necessario un rapido cambio di rotta, in grado di mettere l’Europa nelle condizioni di realizzare gli investimenti necessari a recuperare il ritardo accumulato negli anni ed accelerare la creazione di valore economico. Per poter sbloccare gli investimenti necessari è essenziale superare gli attuali ostacoli della governance della transizione energetica. Lo studio analizza l’attuale assetto della governance, definita come l’insieme di ruoli, regole, procedure e strumenti (a livello legislativo, attuativo e di controllo) relativi alla gestione della transizione energetica, finalizzati a raggiungere obiettivi strategici e operativi.
Dallo studio emerge che la governance della transizione energetica in Europa deve fare i conti con tre questioni principali: l’energia è una competenza concorrente fra gli Stati membri e l’UE, c’è una crescente esigenza di implementare un nuovo sistema di enforcement “indiretto” ed è necessario rafforzare il nuovo meccanismo di gestione degli obiettivi green.
In Italia, l’efficacia della governance della transizione energetica è limitata da cinque fattori:
- la frammentazione delle responsabilità tra i vari stakeholders a diversi livelli,
- la non uniformità delle norme locali e dell’applicazione a livello locale delle norme nazionali,
- un debole coinvolgimento e impegno delle istituzioni e delle comunità locali che erode l’accettabilità sociale,
- le inefficienze legate al ruolo degli enti pubblici tecnico-amministrativi,
- la frammentazione della formulazione delle politiche settoriali.
7 proposte per la transizione ecologica
Per superare tali sfide, lo studio ha messo a fuoco sette proposte, suddivise in base alla rispettiva sfera d’azione: europea (nelle sue due dimensioni interna ed esterna) e italiana.
Per quanto riguarda la dimensione europea interna si propone di rafforzare la cooperazione nella governance della transizione energetica, riconoscendo ufficialmente il suo ruolo critico e di adottare un approccio regionale per favorire l’integrazione dei mercati europei; per quanto riguarda la dimensione esterna dell’Unione europea, lo studio propone di incoraggiare a livello internazionale il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) e di promuovere meccanismi più efficaci per assicurare che i Nationally Determined Contributions (NDC) siano coerenti con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Infine, per quanto riguarda la sfera d’azione italiana si propone di semplificare le procedure di autorizzazione per gli impianti a fonte rinnovabile e promuovere interventi in favore dell’efficienza energetica, di creare un meccanismo di interazione omogeneo e standardizzato tra le autorità locali da un lato e i distributori di elettricità (Distribution System Operator, DSO) e i gestori dei punti di ricarica (Charge Point Operator, CPO) dall’altro, per favorire lo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica, e infine di promuovere la piena integrazione di distretti industriali e cluster di imprese a livello locale, di ecosistemi di innovazione e di comunità energetiche con la rete di distribuzione nazionale.