Recovery Plan: Carabetta (M5s), il taglio dei parlamentari un'occasione per sbloccare la governance di innovazione e digitale

Luca Carabetta (M5S) - pagina FacebookLa digitalizzazione non è solo l’essenza della prima missione del Recovery Plan ma uno dei cardini intorno cui ruota l’intero piano. “Vedo un grande ostacolo non solo per il PNRR ma per l'innovazione del sistema Paese in generale: la governance dei processi. Il rischio di spendere risorse così ingenti in maniera disomogenea e non coordinata è molto alto”, dichiara a FASI.biz Luca Carabetta, responsabile innovazione del M5s.

Cosa prevede il Recovery Plan per digitalizzazione e innovazione

Il tema è decisivo, non solo perché si tratta di una fetta importante delle risorse che verranno stanziate attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma perché rappresenta una leva di sviluppo decisiva per il Paese. 

Carabetta è al lavoro su una proposta di legge che guarda al lungo periodo e che affronta ad ampio spettro il tema dell’attrazione dei cosiddetti “nomadi digitali”, quei talenti tecnici e professionali altamente qualificati che lavorano cambiando periodicamente luogo, grazie al digitale e Internet.

La proposta di legge verte intorno alla creazione di un Digital Nomad VISA, un visto temporaneo di 1 anno, prorogabile, per imprenditori e freelancer esteri che intendono basarsi in Italia. Strumento che sarà corredato dall’attivazione di una residenza digitale e da un ventaglio di incentivi e deduzioni: incentivi per le società che collaboreranno con i nomadi digitali o assumeranno talenti tecnologici stabilmente rimpatriati, e deduzioni fiscali per l’acquisto di beni strumentali o servizi tecnologici per i freelancer e le imprese.

Senza un adeguato sviluppo dell’intero ecosistema digitale, non si corre il rischio che la proposta per attrarre nomadi digitali resti una “cattedrale nel deserto”? Penso ad esempio alla rete veloce assente in alcune zone d’Italia o ai ritardi accumulati sul fronte banda ultralarga, che sono poi tra i fattori che più attirano nomadi digitali. L’Italia sarà in grado di recuperare terreno in breve tempo e, se sì, come?

L'Innovazione del sistema Paese - pubblico e privato - ha necessità dello sviluppo di "fattori abilitanti" come l'accesso alla banda ultralarga, digitalizzazione e dematerializzazione diffuse, adozione del cloud e formazione di nuove competenze. Questi elementi sono condizioni necessarie per la competitività del Paese e fortunatamente la politica ha deciso di investirci.

Il piano per la la banda ultralarga ha visto una notevole accelerazione, sia grazie a interventi normativi in termini di semplificazioni, che grazie a una spinta politica molto forte nel periodo pandemico.

La digitalizzazione della PA accelera grazie al piano Cloud portato avanti dal Ministero per la Digitalizzazione con l'obiettivo di razionalizzare e modernizzare le infrastrutture e i servizi pubblici.

Molto ancora si può fare sul tema delle competenze, considerando il sistema scolastico e universitario, la Pubblica Amministrazione e le imprese. Fortunatamente il Piano nazionale di ripresa e resilienza andrà a destinare ingenti risorse in questo ambito.

Fra i punti chiave della proposta di legge c’è l’istituzione di un nuovo veicolo di investimento focalizzato sull’attrazione di capitali di rischio esteri, e una cornice di riferimento semplificata per gli operatori. Di cosa si tratta nello specifico e chi dovrebbe gestire questo nuovo strumento? Ha in mente un modello estero di riferimento, ad esempio quello UK?

Abbiamo già dimostrato la bontà di modelli di coinvestimento tra un operatore pubblico e investitori di mercato. Il Fondo Nazionale Innovazione - CDP Venture Capital già oggi opera secondo queste modalità con risultati notevoli.

Un Fondo di Fondi destinato esclusivamente a operatori esteri, eventualmente verticalizzato rispetto a settori strategici per il Paese - penso ad esempio all'aerospazio, all'agrifoodtech o alla transizione ecologica - potrebbe divenire un agile strumento utile a intercettare sinergie a livello internazionale. Questo favorirebbe la pluralità del mercato italiano, che quindi diverrebbe anche più grande, portando inoltre nel nostro Paese competenze e best practices dalle più virtuose esperienze nel mondo.

Alla luce dei dati presentati da AIFI sui numeri del mercato private equity e venture capital in Italia nel 2020, come ritiene che il Paese possa migliorare le sue performance?

I numeri ci mostrano un mercato che cresce poco e che quindi non cala in un anno così critico come il 2020. La pandemia ha avuto senza dubbio degli effetti negativi sui deal in corso o in previsione. Ha rallentato i processi di valutazione e le trattative tra i team.

Il mercato non è crollato proprio grazie agli strumenti di supporto messi in campo dal Governo. Parlo di CDP Venture Capital, Smart&Start di Invitalia e della policy favorevole.

Molto ancora si può fare per investire in questo mercato. Da un punto di vista fiscale si potrebbe intervenire ulteriormente ma su questo fronte c'è un blocco molto forte da parte dell'Europa. Possibile che si possa sforare in futuro a seguito di un ulteriore allargamento delle maglie in termini di aiuti di Stato ma è comunque un'ipotesi.

Credo fortemente nel ruolo delle semplificazioni, specie per gli investitori. Un primo passo era stato fatto con le SIS, le Società d’Investimento Semplice, sicuramente da potenziare. Su quella strada si potrà certamente andare avanti.

L'ingresso di nuovi fondi nel Paese, il lavoro sinergico con operatori come CDP Ventures, il ruolo strategico di Enea Tech per il trasferimento tecnologico. Tutto questo non potrà che favorire la crescita del mercato.

Nel dna di Next Generation EU ci sono digitale e innovazione. In che modo le risorse europee possono contribuire a rafforzare i fattori abilitanti per le startup e più in generale per favorire un ecosistema innovativo all’avanguardia in Italia?

Digitalizzazione e innovazione costituiscono l'essenza non solo della prima missione del PNRR ma dello spirito generale di questa manovra. Sono molto felice del fatto che oggi la politica - in maniera trasversale - si occupi di questi temi e li porti nel dibattito quotidiano. Purtroppo non è stato fatto per decenni e oggi dobbiamo recuperare un gap di almeno vent'anni con paesi europei simili come Germania e Francia.

Vedo un grande ostacolo non solo per il PNRR ma per l'Innovazione del sistema Paese in generale: la governance dei processi. Il rischio di spendere risorse così ingenti in maniera disomogenea e non coordinata è molto alto. Il ruolo del Parlamento sarà quindi fondamentale nell'indirizzare lo sviluppo dei progetti da qui in avanti.

Credo poi sia importante riconoscere al Ministero dell'innovazione e della Transizione Digitale un ruolo effettivo di coordinamento delle politiche pubbliche in questo ambito.  Anche il Parlamento dovrebbe fare un passo in avanti, cogliendo ad esempio l'opportunità della revisione dell'assetto delle commissioni in vista del taglio dei parlamentari. Una nuova commissione Innovazione sarebbe più che mai fondamentale per contribuire attivamente a ogni singolo testo esaminato dall'Assemblea in chiave innovativa.