Parita' uomo-donna sul lavoro: il Cdm approva lo schema di decreto

lavoroParità di trattamento, di condizioni di accesso, parità anche nell’ambito delle retribuzioni e della sicurezza sociale. Non è il libro dei sogni, ma una realtà che presto potrebbe avverarsi. L'ultimo Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto che recepisce la direttiva europea 2006/54 del 5 luglio 2006, che attua il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
Meglio tardi che mai, considerando che la direttiva avrebbe dovuto essere recepita entro l’agosto dello scorso anno. Lo schema di decreto amplia la definizione di discriminazione, garantisce parità di accesso alla formazione, al lavoro e alle opportunità di carriera, rafforza le tutela nei periodi di gravidanza, maternità e paternità, anche adottive. Garantita anche la parità di trattamento retributivo, con l'eliminazione di differenze e discriminazioni, dirette o indirette, fra uomini e donne. Tra le altre novità, l'aumento della pena per i datori di lavoro che violano le norme antidiscriminatorie: sono previste multe fino a 50 mila euro e l'arresto fino a un anno.
 
Le molestie, comprese quelle sessuali, sono state inserite tra le forme di discriminazione cui sono costretti, talvolta, i dipendenti. Per molestia si intende la situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato connesso al sesso di una persona avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di tale persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo;
 
La molestia sessuale - recita il testo della direttiva europea -  è quella situazione in cui si verifica un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma verbale, non verbale o fisica, avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona, in particolare attraverso la creazione di un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
 
Sono dunque considerati discriminazione anche i trattamenti meno favorevoli subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di avere rifiutato comportamenti molesti o, addirittura, molestie sessuali.
 
“Fin qui i datori di lavoro venivano invitati a non discriminare le donne, da oggi vige il divieto a farlo e si rischiano sanzioni pesanti – ha commentato il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna - Non si tratta più di regolamentare l'accesso al lavoro delle donne, ma di togliere quelle condizioni che impediscono alle lavoratrici - che sono tante, per fortuna, nel nostro Paese - di fare avanzamenti di carriera, arrivare nei ruoli direttivi”.
 
Al di là delle leggi, è la mentalità che deve cambiare. Una ricerca avviata nel luglio 2009 dal Censis per conto della Commissione per le pari opportunità del Consiglio nazionale forense, in partnership con l’Associazione italiana dei giovani avvocati, punta non solo di studiare la componente femminile e giovanile dell’avvocatura italiana, ma anche di elaborare proposte di intervento per questi due specifici segmenti professionali, essenziali per il futuro del settore. I risultati del percorso di lavoro verranno presentati in un convegno nazionale il prossimo inverno.
 
Le donne avvocato sono attualmente più del 50% degli iscritti agli Ordini forensi (il 62% nelle regioni dell’Italia centrale) e costituiscono il 39% degli iscritti alla Cassa di previdenza: quasi 52 mila persone che svolgono attività libero-professionale a tempo pieno. Ed è profondamente cambiato il loro ruolo professionale: le donne avvocato hanno raggiunto la consapevolezza di essere un gruppo sociale forte e di rappresentare una componente qualificata e autorevole del sistema professionale italiano.
 
“Le donne avvocato – ha sottolineato Carla Guidi, coordinatrice della Commissione per le pari opportunità del Cnf – sono una risorsa vitale per il settore, che non dovrà andare incontro ai problemi che hanno caratterizzato in passato il settore del credito o dell’istruzione, la cui crescente femminilizzazione è stata sinonimo di bassa qualità professionale e di distanza fra la domanda sociale e l’offerta di servizi attesa”.
 
“Proprio per evitare che la femminilizzazione dell’avvocatura possa produrre effetti di dispersione delle competenze e della reputazione sociale di cui gode il settore – ha aggiunto Maria Pia Camusi, responsabile del settore Lavoro e Professioni del Censis – è fondamentale che le donne e i giovani avvocati siano sottratti dal rischio di opacizzazione della loro autorevolezza e della loro solidità professionale, attraverso politiche di categoria e di immagine che tengano alto il loro orientamento allo sviluppo”.
 
“Le donne rappresentano ormai la metà dell’avvocatura italiana – ha dichiarato Giuseppe Sileci, presidente dell’Aiga – ma guadagnano meno della metà dei loro colleghi. Questo dato è sintomatico delle difficoltà che le professioniste, molto spesso giovani, incontrano nel coniugare attività lavorativa ed impegni familiari. Sono necessari interventi a sostegno delle donne avvocato che l’indagine affidata al Censis individuerà, e che i Giovani Avvocati e la Commissione per le pari opportunità del Cnf sottoporranno all’attenzione della classe politica”.

(Alessandra Flora)