Crisi: da Roma a Washington il peggio e' alle spalle
A livello mondiale, le perdite contabilizzate nei bilanci delle banche negli ultimi due anni sono state pari a oltre 1.000 miliardi di dollari.
In Italia la crisi mondiale determinerà una caduta del PIL di circa il 5 per cento quest’anno, dopo la diminuzione di un punto nel 2008.
Il crollo della domanda estera ha provocato una forte contrazione della produzione industriale e degli investimenti. Nei sei mesi da ottobre 2008 a marzo 2009 il PIL è caduto in ragione d’anno di oltre 7 punti percentuali rispetto al semestre precedente.
I recenti segnali di ripresa provengono dai mercati finanziari e dai sondaggi d’opinione, più che dalle statistiche finora disponibili sull’economia reale. La gente sta tornando lentamente a nutrire fiducia in un sistema a cui non credeva più. Ma è davvero così?
Fra le misure che le imprese hanno adottato per fronteggiare la recessione, quelle riguardanti il lavoro sono state di tre tipi: riorganizzazioni di turni e orari e blocco del turnover; ricorso alla cassa integrazione; mancati rinnovi di contratti temporanei e licenziamenti. Quasi tutte le imprese hanno fatto ricorso al primo tipo di misure. Secondo l’indagine della Banca d’Italia, circa metà delle 65.000 imprese dell’industria e dei servizi con almeno 20 addetti sono state coinvolte nel processo di ristrutturazione. Il lavoro diventa ora il grande interrogativo. La crisi ha reso più evidenti manchevolezze di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale. Esso rimane frammentato. I lavoratori in cassa integrazione e coloro che cercano una occupazione sono già oggi intorno all'8,5% della forza lavoro, una quota che potrebbe salire oltre il 10%. Tra le misure anticrisi rivolte al sistema produttivo sono da prediligere quelle tese ad allentare i problemi finanziari delle imprese, come gli interventi che si stanno definendo anche con il concorso della Cassa depositi e prestiti e della SACE.
Uscire dalla crisi significa ricostruire fiducia. Non con artificii - conclude Draghi - ma con la paziente, faticosa comprensione dell’accaduto e dei possibili scenari futuri.
Dall’altra parte dell’oceano Barack Obama ha affermato in questi giorni che l'economia americana è uscita dal baratro. “Sono fiducioso nel futuro, ma non sono ancora soddisfatto”, ha aggiunto il presidente.
L'inquilino della Casa Bianca ha difeso il suo massiccio piano di stimolo all'economia a cento giorni dal suo battesimo. Accolto dalle critiche dei repubblicani e dallo scetticismo di alcuni economisti, l’American Recovery and Reinvestment Act, cioè il piano di stimolo promulgato dall'Amministrazione Obama il 17 febbraio scorso, prevede investimenti per totali 787 miliardi di dollari, soprattutto a sostegno dei cantieri pubblici per creare lavoro e per ridurre le tasse a vantaggio dei consumi. Obama promise allora che il piano avrebbe creato (o almeno salvato) dai 3 ai 4 milioni di posti di lavoro. “Cento giorni più tardi abbiamo già ottenuto dei risultati, con la creazione di 150.000 posti. E' solo l'inizio” ha quindi detto Obama, ricordando come “ci siano ancora troppi americani disoccupati e troppi americani preoccupati di essere i prossimi della lista”, oltre a “troppe famiglie che faticano a pagare le bollette e troppe aziende che faticano a tenere aperta la porta”.
(a cura di Alessandra Flora)