La crisi economica scuote l'Europa unita
I ventisette capi di Stato si sono riuniti per provare a ridurre le forze centrifughe rilasciate dalla crisi economica globale che stanno minacciando la moneta unica. Nella dichiarazione finale i leader hanno cercato di rassicurare i cittadini, promettendo di tenere fede al mercato unico, di promuovere la crescita e di rifiutare il protezionismo.
La proposta avanzata dall'Ungheria di salvare i nuovi membri più ad est dell'Unione Europea è stata respinta dalla Germania - attualmente la più ricca nazione dell'Unione - ed ha avuto uno scarso riscontro tra gli altri paesi. Il primo ministro ungherese Ferenc Gyurcsany ha parlato di una nuova cortina di ferro che potrebbe dividere nuovamente l'Europa. Gyurcsany ha fatto richiesta di un finanziamento europeo speciale fino a 190 miliardi per proteggere gli stati più deboli dell'Unione.
La cancelliera tedesca Angela Merkel, in procinto di affrontare le elezioni europee di giugno e le elezioni nazionali a settembre, ha affermato che ogni singolo paese dovrà essere valutato caso per caso, senza però spiegare indicare una via da seguire. Al posto di un pacchetto indifferenziato, Merkel propone aiuti mirati ai singoli paesi ed ha fatto il nome dell'Irlanda. Secondo il ministro Ceco Mirek Topolanek, tuttavia, nessun paese membro dovrebbe essere abbandonato.
A vent'anni dal collasso del comunismo l'Europa dovrebbe essere unita e libera, ma l'UE non è un nazione unica e la profonda recessione globale sta alimentando il nazionalismo, non il consenso. Con una leadership incerta e poche istituzioni comuni forti l'Unione sta combattendo le tensioni che questa crisi economica ha inevitabilmente comportato in ventisette paesi con ventisette diversi trascorsi economici. Lo storico concetto di solidarietà dell' “uno per tutti” rischia di essere scalzato dalle pressioni protezionistiche dei singoli leader politici alle prese con i propri elettorati nazionali.
Tutto ciò è in netto contrasto con gli effetti che la crisi sta producendo invece sul governo statunitense: il presidente Obama ha appena annunciato un piano che da un lato aumenterà il debito pubblico degli Usa, ma dall'altro aiuterà a ridistribuire la ricchezza in settori chiave come la sanità, l'educazione e l'ambiente.
E' importante capire se l'Europa possa trovare consenso tra i suoi elettori. Secondo il tedesco Stefan Kornelius, giornalista presso la redazione esteri della Suddeutsche Zeitung “L'Unione Europea deve ora dimostrare se è soltanto un'unione delle ore liete o se invece di fronte a sé ha davvero un destino politico comune. Questo è il primo vero test della moneta unica. Abbiamo sempre detto che non si può avere una moneta unica senza un'unione politica. Non c'è una politica fiscale comune, non c'è una politica unica su quali industrie si debbano sovvenzionare. Infine, nessun leader è forte abbastanza da tirare fuori gli altri dall'impasse”.
Secondo Karel Lanoo del Center for European Policy Studies di Bruxelles, “La mancanza di leadership in Europa sta diventando preoccupante”, mentre Thomas Klau, direttore dell'European Council on Foreign Relations, afferma: “La solidarietà rappresenta il cuore del dibattito. Washington ha bisogno di perseguire assieme all'Unione Europea degli interessi comuni in Afghanistan e in Medioriente, sia dal punto di vista militare che economico. Tutto questo sarebbe messo in discussione qualora i capisaldi dell'Unione Europea – il suo mercato interno, l'unione economica e la solidarietà - fossero messi in discussione”.
Un primo ordine di problemi riguarda Eurolandia, composta dalle sedici nazioni che hanno adottato l'euro, il più grande traguardo politico dello scorso decennio. All'interno dell'Europa allargata sta crescendo il divario tra i membri fondatori da un lato e i new comers dall'altro, specialmente quelli che, fino a vent'anni fa hanno vissuto sotto il giogo soffocante del comunismo. Alcuni Paesi come la Repubblica Ceca stanno reagendo relativamente meglio. Altri, come l'Ungheria, la Romania e le Repubbliche baltiche, si trovano in una situazione più difficile. Gli altri nuovi membri, anche quelli in cui le banche non si sono compromessi nel turbine dei muti subprime o degli asset tossici, hanno visto precipitare le loro valute.
Al tempo stesso, la recessione che ha colpito i loro partner ha significato il crollo degli ordini per le aziende “low cost” delocalizzate nell'Est Europa per soddisfare le esigenze occidentali. Questo vale anche per alcuni paesi che non fanno parte dell'Unione Europea, come l'Ucraina. Inoltre, molti titoli a rischio coinvolgerebbero direttamente paesi come l'Austria e l'Italia. Avendo assistito al crollo del modello sovietico, i paesi dell'Europa centrale ed orientale hanno abbracciato il modello capitalista come prezzo dell'integrazione con l'Occidente. Ora anche questo modello rischia di fallire, mandando alla deriva i nuovi membri. “Non vogliamo linee di divisione, non vogliamo un Europa divisa tra Nord e Sud, tra Est e Ovest” ha ribadito Topolanek.
E' pur vero che i governi europei hanno già speso 380 miliardi per ricapitalizzare le banche. Inoltre la Banca Europea per la Ricostruzione e la Banca Europea per gli Investimenti finanzieranno congiuntamente per 31,1 miliardi i Paesi dell'Est Europa. Ma forse non è abbastanza.
Secondo Charles Grant, direttore del Center for European Reform: “E' ancora presto per affermare che non ci sarà un atteggiamento solidale nei confronti dell'Europa Centrale ed Orientale. Ma sono i Paesi più ad Est, che non fanno parte dell'Unione, a nutrire le maggiori preoccupazioni”.
(Alessandra Flora)