Bruxelles rivede al ribasso le previsioni di crescita. Nuove ombre sulla manovra 2024
Le previsioni economiche della Commissione europea confermano i timori circa un rallentamento della crescita, che impatta sugli spazi ipotizzati dal Governo per finanziare la legge di Bilancio 2024. Una manovra necessariamente ispirata alla prudenza, anche alla luce dell'incertezza sul futuro del Patto di stabilità e crescita, ma che deve assicurare almeno sostegni ai redditi medio bassi, alle prese con inflazione, aumento dei tassi di interesse e una possibile nuova fiammata dei prezzi dell'energia.
Verso la manovra 2024: in attesa della Nadef, Meloni detta la linea del rigore
Secondo Bruxelles, hanno spiegato il vicepresidente dell'Esecutivo UE Valdis Dombrovskis e il commissario europeo per gli Affari economici Paolo Gentiloni illustrando le previsioni economiche della Commissione, il Pil UE crescerà dello 0,8% nel 2023 (contro l'1% stimato a maggio) e dell'1,4% nel 2024, a fronte dell'1,7% previsto in primavera. Peggiorano anche le stime per l’Eurozona, con una crescita attesa del Pil dello 0,8% nel 2023 (dall'1,1%) e dell'1,3% in 2023 (nel 2024 (dall'1,6%).
Per l’Italia, la previsione è di una crescita del Pil dello 0,9% nel 2023 e dello 0,8% nel 2024, un taglio severo rispetto alle previsioni UE di primavera (1,2% nel 2023 e 1,1% nel 2024), particolarmente preoccupante perché Bruxelles conferma di aspettarsi un calo tra 2023 e 2024, mentre il Governo nel Def di aprile ipotizzava un Pil in salita all'1,4 per cento nel 2024. Difficile ora per il Governo confermare nella Nadef di fine mese quelle stesse stime, il che significa che i calcoli sugli spazi finanziari per la manovra 2024 sono tutti da rivedere al ribasso.
A complicare la partita per il Governo italiano è l'incertezza circa le altre voci che potrebbero alimentare la legge di Bilancio 2024. Non c'è chiarezza anzitutto sull'esito dell'operazione di taglio alle spese dei Ministeri richiesta dal titolare del MEF Giancarlo Giorgetti e dalla premier Giorgia Meloni. Non una tradizionale caccia agli sprechi, ma una spending review politica - che definanzi le misure più estranee alla coalizione di Governo per coprire gli aiuti ai redditi bassi, in primo luogo il taglio del cuneo fiscale e altri incentivi per lavoratori e famiglie - dalla portata tutta da verificare.
C'è la questione della tassa sugli extra profitti delle banche, che dovrà essere modificata in sede di conversione in legge del decreto Asset, con il MEF che sembra puntare in una direzione che taglierebbe drasticamente le previsioni di incasso, permettendo di ottenere dalle banche appena un paio di miliardi, se non addirittura uno, a seconda della formulazione del prelievo.
Ancora non chiaro, poi, il capitolo revisione del Superbonus, tra la necessità di una ulteriore stretta per ridurne il peso sulle finanze pubbliche e quella di tutelare i condomini con lavori in stato avanzato, ma che non si chiuderanno entro fine anno.
Calcoli finanziari da effettuare sullo sfondo di uno scenario politico complesso, con le elezioni europee alle porte e l'intreccio tra le rispettive campagne elettorali dei partiti alla guida e all'opposizione nei 27 Stati membri che influenza anche il dibattito sulla revisione delle regole di bilancio UE. Gli stati nordici non vogliono essere rappresentati come eccessivamente generosi verso i paesi più indebitati e criticano per questo la proposta di mediazione della Commissione sulla riforma del Patto di stabilità, altra grande incognita che pesa sulla manovra.
C'è da rilevare, però, che il rallentamento della crescita e il perdurare di inflazione e tassi di interesse alle stelle, iniziano a bussare alla porta anche di alcuni paesi del Nord, che si scoprono un po' meno frugali di quanto non vorrebbero apparire. Solo pochi giorni fa la Commissione europea si è espressa, attraverso le dichiarazioni di un portavoce, sulla controversa vicenda dei fondi speciali esclusi, nel progetto di bilancio della Germania, dal calcolo del deficit e recentemente criticati dalla Corte dei conti tedesca, la Bundesrechnungshof. Si tratta di fondi per circa 870 miliardi di euro, coperti per lo più a debito, che se correttamente conteggiati portano, secondo la Corte dei conti, il livello del deficit tedesco ben al di sopra di quanto previsto nel budget federale.
Risorse indirizzate su spese quali difesa, crisi energetica e green transition, cioè le stesse macro categorie di investimento che l'Italia vorrebbe scomputare ai fini del calcolo del Patto di stabilità e crescita. Un trattamento preferenziale che, a margine dell'Ecofin di giugno, il ministro delle finanze tedesco Christian Lindner aveva definito ingiustificato, dal momento che "i mercati non fanno differenza tra i motivi per indebitarsi" e che "per loro il debito è debito e porta instabilità".
Ora sulla vicenda si è pronunciata anche la Commissione europea, anche se non parlando esplicitamente di Berlino. "Non abbiamo commenti specifici sul recente rapporto della Corte dei conti tedesca, ma, più in generale, monitoriamo gli sviluppi nei bilanci degli Stati membri, per quanto riguarda il deficit", ha spiegato un portavoce UE ad Adnkronos, ricordando che il deficit pubblico viene calcolato dalle autorità statistiche nazionali ed europee, in linea con una metodologia concordata da tutti, conosciuta come Esa 2010 e che ai fini della valutazione di Bruxelles "del rispetto delle regole di bilancio da parte degli Stati membri, non è possibile per alcun Paese membro escludere qualsivoglia particolare spesa dal deficit utilizzando metodi ad hoc, per esempio attraverso l’uso di fondi speciali".
Un monito che potrebbe influenzare il negoziato sulla riforma delle regole di bilancio UE che a fine settimana sarà sul tavolo dell'Ecofin informale di Santiago de Compostela.
Per approfondire: Negoziati in salita sulla riforma del Patto di stabilità