CCS, passi avanti per la governance e per i fondi

Foto di Gerd Altmann da PixabayCon l'entrata in vigore del decreto-legge Infrastrutture è nato ufficialmente il Comitato CCS presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica e si entra nella fase due delle politiche di governance per la realizzazione della strategia per la cattura e lo stoccaggio della CO2. Del CCS si è occupato anche il nuovo PNIEC, spedito nei giorni scorsi a Bruxelles, secondo cui «la cattura e lo stoccaggio/utilizzo della CO2 è indispensabile per traguardare l'obiettivo di contenimento del riscaldamento globale».

Anche la CCS nei contratti di sviluppo Net Zero, rinnovabili e batterie del PNRR

Il Comitato CCS è un organo collegiale composto da cinque membri, appartenenti a Mase, Ispra e Conferenza Unificata. Inoltre il dl Infrastrutture ha previsto una segreteria tecnica con rappresentanti del Ministeri dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, dell’Università e Ricerca, dell’Interno, oltre che della Conferenza Unificata, dell’Istituto Superiore di Sanità, di Ispra e del Comitato Centrale per la sicurezza tecnica della transizione energetica e per la gestione dei rischi connessi ai cambiamenti climatici. In via transitoria sarà il Comitato ETS, integrato di tre componenti, a svolgere le funzioni del nuovo organismo, garantendo così la necessaria continuità delle procedure autorizzative in corso.

Il comitato avrà il compito di esaminare le istanze per il rilascio delle autorizzazioni, valutare la capacità di stoccaggio, elaborare dati e comunicarli, approvare un piano di monitoraggio, emanare prescrizioni per la tutela della salute pubblica, promuovere concliazioni in caso di diatribe sui territori, prevedere un piano per la fase di post-chiusura dei siti di stoccaggio. La governance, insomma, spetta al Mase, Ministero a cui è affidato anche il compito di realizzare uno studio propedeutico a “delineare un quadro di riferimento normativo per promuovere l’effettivo sviluppo della filiera; a elaborare schemi di regolazione tecnico-economica dei servizi di trasporto e stoccaggio della CO2 e schemi di regole tecniche per la progettazione, la costruzione, il collaudo, l’esercizio e la sorveglianza delle infrastrutture e dei servizi di trasporto, comprese le reti per il trasporto della CO2; a individuare, nei settori energivori e termoelettrico, i potenziali fruitori del servizio di trasporto e stoccaggio della CO2; nonché a definire le modalità per la remunerazione ed eventuali meccanismi di supporto per le diverse fasi della filiera della cattura trasporto utilizzo e stoccaggio della CO2”.

«L’istituzione del nuovo Comitato – spiega il ministro Pichetto Fratin – ci consentirà di far fronte alle crescenti iniziative in materia, aggiungendo un ulteriore elemento di garanzia tecnico-scientifica allo sviluppo di questa ambiziosa tecnologia, che potrà aiutarci a raggiungere gli obiettivi del Pniec». 

Intorno al CSS ruotano sia finanziamenti del PNRR/REPower, sia sinergie con programmi di finanziamento gestiti dalla Commissione UE, che, tra l'altro, ha inserito un progetto italiano tra quelli di Interesse Comune che riguarda proprio lo stoccaggio dell'anidride carbonica.

CCS, cos'è?

La CCS (Carbon Capture and Storage) è il processo di cattura dell'anidride carbonica prodotta in lavorazioni industriali e il successivo stoccaggio sottoterra, in giacimenti di idrocarburi esauriti o in formazioni rocciose. Serve soprattutto a catturare ed evitare che le emissioni di gas serra finiscano in atmosfera da parte di settori produttivi dove queste emissioni sono difficilmente eliminabili (i cosiddetti "hard to abate"): acciaierie, cementifici, raffinerie, fabbriche di fertilizzanti, cartiere.

La CCS ha un costo per le aziende: tanto è vero che in questa fase viene spesso sovvenzionata, affinchè la spesa per la decarbonizzazione non mandi fuori mercato le fabbriche. Nell'Unione europea il sistema di tassazione della CO2, attraverso il sistema ETS di scambio delle quote di emissioni, sta portando a oneri sempre crescenti per le imprese: il prezzo della CO2 viene aumentato ogni anno da Bruxelles, per spingere i produttori a decarbonizzare. In questo contesto, la CCS viene vista come un'opportunità per ridurre il carico fiscale.

La CCS può essere poi usata anche per la produzione di idrogeno blu: il gas viene ricavato dal metano, e l'anidride carbonica di scarto viene interrata, in modo che l'idrogeno risulti a zero emissioni in atmosfera. Insomma la CCS evita che l'anidride carbonica di scarto finisca in atmosfera e faccia effetto serra.

Per raggiungere la piena decarbonizzazione al 2050 nei settori hard-to-abate industriali in Italia occorrerebbe una spesa variabile tra i 30 e gli 80 miliardi di euro per l’acquisto delle tecnologie a ridotto o nullo impatto ambientale  e i relativi costi operativi tra cui quelli per l’elettricità e il vettore idrogeno nella sua forma meno emissiva. Lo stoccaggio geologico dell'anidride carbonica emessa è una soluzione win-win per l'industria e per le istituzioni. Ma, per essere tale, come prescrive anche l'Unione Europea, deve essere residuale rispetto all'adozione delle migliori tecnologie per l'abbattimento della CO2. 

E c'è il tema della sicurezza: in aree sismiche caratterizzate dalla presenza di faglie note, come la fascia adriatica, non si può escludere che terremoti modifichino la capacità futura di un sito di stoccaggio di trattenere affidabilmente il contenuto, così come esiste evidenza di sismicità indotta da attività di estrazione e reiniezione di fluidi. La dimensione di queste incognite in termini di durata del presidio necessario (a tempo indeterminato) e difficoltà di controllo dei fattori di rischio impone una logica di cautela.

La strategia italiana sulla CCS

Già nella Strategia Italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del gennaio 2021 veniva riconosciuto il contributo della CCS al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, poi, nella prima proposta di revisione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e Clima (PNIEC)  trasmessa dall’Italia alla Commissione UE nell'estate 2023, si leggeva chiaramente che: «il ricorso alla cattura e allo stoccaggio/utilizzo della CO2 è indispensabile per traguardare l’obiettivo di contenimento del riscaldamento globale».

Nell'aggiornamento del PNIEC, spedito a fine giugno 2024 a Bruxelles, la cattura e lo stoccaggio della CO2 riveste un ruolo primario. L'Europa, nelle raccomandazioni a commento della prima versione del documento, chiedeva maggiore definizione degli obiettivi al 2030 e dettagli sui piani per il trasporto della CO2 da stoccare. 

Nel PNIEC si afferma l'importanza della tecnologia CCS

Nel PNIEC targato 2024, c'è scritto che «l’Italia intende sviluppare la filiera della Carbon Capture and Storage. Assieme a Francia e Grecia è stato elaborato e presentato a marzo 2023 un piano regionale a sostegno dello sviluppo delle infrastrutture di CCS nel bacino del Mar Mediterraneo nell’ambito di applicazione del Regolamento TEN-E (Trans-European Networks for Energy) 2022/869. Il piano transfrontaliero è scalabile e lo sviluppo di catene del valore della CCS, come quelle presentate di seguito, consente la promozione di ulteriori progetti nella regione mediterranea. Di conseguenza, altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo potrebbero aderire successivamente per rafforzare la cooperazione regionale in materia di CCS». Si immagina, quindi, un hub di stoccaggio nel Mediterraneo con l'Italia al centro.

Tanto che «con riferimento ai flussi internazionali di CO2 provenienti da altri Paesi dell'area mediterranea - è scritto nel PNIEC - sono pervenute manifestazioni di interesse di iniezione in Italia, nell’ambito delle procedure del Regolamento TEN-E, da emettitori esteri, per un totale di oltre 1 Mton/anno di CO2, provenienti principalmente dalla Francia, che si aggiungono a quelle relative agli impianti nazionali di almeno 3,6 Mton/anno e una potenziale cattura ed esportazione dall’Italia verso la Grecia entro la prima metà del 2030. Sono probabili ulteriori sviluppi, in quanto la potenziale espansione della rete e la grande capacità dei siti di stoccaggio di CO2 sul territorio italiano consentono di ricevere volumi significativi di CO2, captata da impianti industriali nazionali e di altri paesi del Mediterraneo, in particolare dalla Francia». Tempi ravvicinati, quindi, con obiettivi spinti dall'azione dei privati, Eni in testa.

I due corridoi transfrontalieri attivi per la CCS

I progetti di interesse comunitario, inclusi nella lista entrata in vigore a inizio 2024, riguardanti la regione del Mediterraneo sono: il progetto “Callisto Mediterranean CO2 Network” e “Prinos CO2 storage”, e coinvolgono l'Italia a diversi livelli.

Il primo rientra nell'ambito più ampio del progetto italiano Ravenna CCS, che mira a fornire un'infrastruttura ad accesso aperto su vasta scala, mirata a industrie e centrali elettriche situate sia in Italia che nel Sud Europa con emissioni di CO2 difficili da abbattere. Callisto coinvolge l'Italia lungo l'intera filiera CCS, come paese destinatario delle emissioni di CO2 di altri Paesi. Nel progetto di stoccaggio di CO2 di Prinos, invece, l'Italia è parte del processo come paese emettitore, poiché lo stoccaggio di CO2 è previsto presso il sito di stoccaggio di Prinos (Grecia).

Un quadro normativo che nasce da lontano

L'Unione europea dispone ad oggi di una serie di previsioni normative a sostegno di cattura, utilizzo, trasporto e stoccaggio del carbonio. Si parte dalla  Direttiva relativa allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio del 2009 (Direttiva 2009/31), la disciplina EU ETS e il suo Regolamento implementativo (Direttiva 2023/959; Regolamento esecutivo 2018/2066) oltre che la disciplina europea sugli aiuti di Stato CEEAG, il Regolamento TEN-E, la Direttiva per le fonti rinnovabili.

Inoltre, la strategia dell'UE sulla gestione industriale del carbonio (cd. Industrial Carbon Management Strategy adottata in febbraio 2024), la Comunicazione Cicli del carbonio sostenibili del 2021, il Regolamento sulle rimozioni di carbonio (cd. Carbon Removals and Carbon Farming Regulation) e il Net Zero Industry Act, delineano una serie di linee di indirizzo per lo sviluppo legislativo a venire. In particolare, la direttiva 2009/31/CE, recepita in Italia dal DLgs 162/2011, ha delineato un quadro normativo volto a consentire lo stoccaggio della CO2 in formazioni geologiche idonee. Lo scorso anno il decreto-legge 9 dicembre 2023, n. 181, il cosiddetto decreto Energia, ha integrato il quadro normativo.

L'intervento del DL Energia

Il DL Energia (181/2023) ha dedicato una parte del testo allo stoccaggio geologico di CO2. L’Italia dovrà realizzare un piano delle aree idonee allo stoccaggio, attualmente in fase di VAS, nelle more saranno considerati idonei i giacimenti di idrocarburi esauriti situati nel mare territoriale e nell’ambito della zona economica esclusiva e della piattaforma continentale. Poi sono stati definiti i programmi sperimentali di stoccaggio di CO2 per un periodo di tempo limitato nei giacimenti di idrocarburi esauriti in mare. Due nuovi articoli hanno disciplinato lo svolgimento di programmi sperimentali di stoccaggio di CO2. Per quanto riguarda le licenze di esplorazione, il DL energia prevede, tra l’altro, che dopo i primi tre anni di validità si possano richiedere fino a un massimo di tre proroghe e per una durata non superiore a due anni ciascuna. Il Mase ha un ruolo prioritario, non solo per la parte regolatoria e delle concessioni, ma anche per il monitoraggio e la gestione delle conflittualità che, come lo stesso Ministero scrive nel PNIEC, «riguarda soprattutto cittadini e associazioni». Il potenziale di stoccaggio indicato dal documento del Mase è di circa 750 Mt (1 Mt= 1 milione di tonnellate) distribuite tra offshore e a terra e in riferimento principalmente ai siti di stoccaggio di ex giacimenti oil&gas esausti, quindi improduttivi, di Eni.

Al fine di testare anche la prontezza del mercato verso la tecnologia CCS, Eni e Snam hanno lanciato negli ultimi mesi un’indagine di mercato «Indagine sul potenziale mercato per il trasporto e lo stoccaggio di CO2 presso il sito di Ravenna CCS» indirizzato a soggetti con siti emissivi sul territorio italiano e rimasta attiva dal 7 febbraio al 5 maggio 2024. Le manifestazioni di interesse non vincolanti raccolte corrispondono ad un potenziale di cattura pari a circa 30 Mton/anno di CO2 intorno il 2030. Il Ministero nel PNIEC individua le regioni costiere del Sud e delle Isole e la Pianura Padana come aree privilegiate, anche per la vicinanza alle industrie hard to abate. Il trasporto per l'off shore avverrà prevalentemente via nave, mentre per la Pianura Padana si prevede di realizzare una rete di pipeline per spedire la CO2 ai siti individuati. 

Il ruolo dell'UE e la piattaforma STEP

Il potenziale della CCS nella transizione energetica è da tempo ampiamente riconosciuto dalla Commissione UE, che negli anni ha adottato diverse iniziative e provvedimenti per favorirne lo sviluppo. Tra queste, l’adozione il 6 febbraio scorso della Strategia industriale della UE per la gestione del carbonio.

L'UE vuole stoccare almeno 50 milioni di tonnellate di Co2  all'anno entro il 2030; attualmente però, le strutture di  stoccaggio di Co2 hanno una capacità di circa due milioni di tonnellate all'anno. Lo stoccaggio dovrebbe integrare gli obiettivi di emissione esistenti, in particolare lì dove sarebbe particolarmente difficile impiegare altri tipi di tecnologie.

Con il Net-Zero Industrial Act Bruxelles ha autorizzato permessi accelerati per i progetti strategici per la decarbonizzazione dell’industria europea, prevedendo due classificazioni: 

  • progetti di produzione tecnologica a zero emissioni nette o progetti regolari: un impianto commerciale previsto o l'ampliamento o la riconversione di un impianto esistente per la produzione di tecnologie a zero emissioni nette (definizione contenuta nell'orientamento generale del Consiglio);
  • progetti strategici per tecnologie a zero emissioni nette: un progetto di produzione di tecnologie a zero emissioni nette, un progetto di stoccaggio di CO2 o un progetto di infrastrutture per il trasporto di CO2 ubicato nell'Unione, che uno Stato membro ha riconosciuto quale progetto strategico per tecnologie a zero emissioni nette.

Nell'ambito del Green deal industrial plan, la Commissione europea ha anche presentato la Strategic Technologies for Europe Platform (STEP), cioé la piattaforma europea dedicata alle tecnologie critiche per le transizioni verde e digitale nell'UE e per la sovranità strategica dell'Unione, che intende rafforzare gli investimenti per la produzione di tecnologie emergenti critiche rilevanti per la transizione verde e digitale europea e per la sovranità strategica dell’Unione.

I tre macrosettori focus della piattaforma STEP sono il digital e deep tech (ad esempio il cloud computing, l’intelligenza artificiale o il 5G), il clean tech (nel quale rientra la cattura e lo stoccaggio del carbonio), e le biotecnologie (le biomolecole e le loro applicazioni, i prodotti farmaceutici e la bioproduzione). 

La piattaforma, istituita ufficialmente a fine febbraio 2024 con il varo del Regolamento 2024/795, doveva contare, nella proposta della Commissione europea, su 10 miliardi di euro di fondi europei aggiuntivi per porsi come “soluzione ponte” nel breve periodo per fornire un sostegno rapido e mirato agli investimenti per la transizione verso un’industria net-zero. Al termine del negoziato tra i legislatori UE solo lo stanziamento da 1,5 miliardi per l'European Defence Fund è stato accordato, ma la piattaforma permette comunque di mobilitare risorse già previste nell’ambito dei programmi di finanziamento esistenti, ad esempio per la ricerca nell'ambito di Horizon Europe, per i progetti pilota e dimostrativi su scala commerciale nell'ambito dell’Innovation Fund, per le infrastrutture nel caso del Connecting Europe Facility (CEF). Agli obiettivi della Piattaforma STEP possono concorrere anche i fondi strutturali della Politica di Coesione, attraverso la riprogrammazione dei Programmi 2021-2027 (in Italia i criteri sono stati appena delineati dal decreto Coesione.

La recente comunicazione della Commissione europea “Industrial Carbon Management Strategy” ha inoltre previsto che, a partire dal 2024, la Commissione collaborerà con gli Stati membri per un possibile importante progetto di comune interesse europeo (IPCEI) sulle infrastrutture di trasporto e stoccaggio di CO2.

I progetti del Mimit

L'altro Ministero chiave per la strategia CCS è il Ministero per le imprese e il made in Italy (Mimit), titolare del Programma nazionale Ricerca, Innovazione e Competitività per la transizione verde e digitale 2021-2027, con Mur e Mase in qualità di organismi intermedi. In base al decreto Coesione, 300 milioni del PN RIC 21-27 saranno destinati a mini contratti di sviluppo per il finanziamento di investimenti coerenti con gli ambiti tecnologici di STEP, quindi anche investimenti in CCS, di importo compreso tra 5 e 20 milioni di euro.

Il Mimit partecipa con il Mur anche alla CETP, acronimo di Clean Energy Transition Partnership, il partenariato europeo co-finanziato dal programma Horizon Europe e realizzato da un consorzio di agenzie e istituzioni di 30 paesi (23 stati membri UE e 7 paesi associati). Obiettivo della partnership è rafforzare la transizione verso l'energia pulita e contribuire all'obiettivo dell'UE di diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, allineando i finanziamenti per la ricerca e l’innovazione nazionali e regionali verso lo sviluppo di tecnologie e soluzioni di sistema necessarie per realizzare la transizione. A settembre sarà pubblicata la nuova call CETP 2024, che include la voce sulla cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio, la quale beneficerà di finanziamenti di importo compreso tra 1 e 4 milioni di euro.

Per approfondire: Anticipazioni sulla prossima call CETP

Ma il Mimit gestisce anche gli oltre 1,7 miliardi di euro dell'Investimento 7 Sottoinvestimento 1 Missione 1 Componente 2 del PNRR - Contratti di sviluppo Net Zero e Rinnovabili e batterie, disciplinati dal decreto direttoriale del 14 giugno 2024 e che finanziano anche investimenti nella filiera dei dispositivi per la cattura e lo stoccaggio del carbonio.

La dipendenza dal CCS “sarebbe dannosa”

La tecnica di Carbon Capture and Storage (CCS) è uno dei punti cruciali del più ampio dibattito sul phase-out (uscita) dalle fonti fossili ed è stato il vero ago della bilancia nei negoziati alla Cop28 a Dubai nel 2023.

Una forte dipendenza dalla CCS per raggiungere gli obiettivi di zero emissioni intorno al 2050 sarebbe "enormemente dannosa dal punto di vista economico", con un costo superiore di almeno 30.000 miliardi di dollari rispetto a un percorso basato sulle energie rinnovabili, l'efficienza energetica e l'elettrificazione, secondo un rapporto della Smith School of Enterprise and the Environment dell’Università di Oxford. E la cifra di 30.000 miliardi di dollari è circa il doppio di quanto costerebbe la decarbonizzazione della Cina, secondo la Banca Mondiale.

Chiara Di Mambro, responsabile Politiche della Decarbonizzazione di Ecco –  il think tank italiano per il clima - ha spiegato che «attualmente, a livello globale sono operativi circa 40 impianti commerciali di cattura della Co2, catturando annualmente 45 milioni di tonnellate di Co2, equivalenti allo 0,12% delle emissioni globali del 2022 legate all’energia. Pur avendo un ruolo nel percorso verso le emissioni nette nulle al 2050, la CCS è una  tecnologia sviluppata ad una scala molto limitata, e, in linea  con la posizione europea o con la Iea (Agenzia internazionale dell'energia), dovrebbe essere dedicata alle sole emissioni non altrimenti evitabili, dove non vi siano alternative disponibili, come nel caso di alcuni processi industriali hard to abate».  

Per approfondire: In Gazzetta ufficiale il dl Infrastrutture e investimenti strategici

Le raccomandazioni europee al PNIEC italiano