Le misure anti-covid dell’UE per sostenere la liquidita’ delle imprese
Liquidità, accesso al credito e garanzie sono stati i temi al centro del confronto online tra istituzioni, banche, imprese ed eurodeputati, promosso da Parlamento e Commissione europei. Un webinar in cui si spiega quali sono le misure per le imprese, con un’analisi sulle principali sfide che attendono l’Italia nei prossimi mesi.
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“Senza accesso al credito e senza finanziamenti alle imprese, l’economia si ferma e la base industriale si sgretola”. Non usa mezze misure Carlo Corazza, Responsabile del Parlamento europeo in Italia, nell’aprire i lavori della digital conference “Accesso al credito e strumenti finanziari nel bilancio Ue 2021-2027”.
E’ questa quindi la strada da seguire per uscire dalla crisi e su cui l’UE sta lavorando dall'inizio della pandemia. Molte misure sono già state varate, ma nei prossimi giorni inizierà la vera partita su cui sono puntati tutti i riflettori: la negoziazione sull Recovery fund e sul nuovo bilancio Ue 2021-2027 su cui, conclude Corazza, "il Parlamento europeo si batterà perché non si scenda al di sotto della proposta avanzata dalla Commissione".
Gli fa eco Antonio Parenti, Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione che sottolinea come “la ripresa dell’Italia dipenda da tre fattori: la capacità della base produttiva e sociale di ripartire; la capacità dello Stato di fornire risposte rapide e costruttive alle sfide che abbiamo davanti; infine la capacità di tutti (Stato e imprese) di accedere al credito in modo equo e in tempi rapidi”. E su questo molto dipenderà, appunto, dalle misure finanziarie che saranno adottate nei prossimi mesi. Una negoziazione su cui l’Italia dovrà giocare la partita della vita.
Cosa sta facendo l'Ue contro il coronavirus
- Le misure già in campo e quelle che verranno
- Cosa rischia l’Italia e cosa sta facendo il governo
- Il ruolo delle banche per concedere liquidità alle imprese colpite dalla crisi
- Le posizioni degli eurodeputati italiani
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Le misure già in campo e quelle che verranno
Sia le misure già varate sia quelle che verranno, si basano su un presupposto molto chiaro: in una crisi come questa, nessun paese si salva da solo. Il motivo risiede nell'interconnessione dell’economia europea a cominciare dalle catene del valore, fino ad arrivare all’export.
“Il costo di una non-Europa - afferma Antonio Misiani, Vice Ministro dell'Economia - vale 3mila miliardi di euro di Pil in meno nei prossimi anni. Per questo - conclude Misiani - una risposta comune serve non solo all’Italia, ma anche ai paesi del nord”.
E allora vediamo quali sono le misure già varate e quelle che arriveranno nei prossimi mesi. Tra le prime (quelle già operative) ci sono:
- La sospensione del Patto di stabilità che permette agli stati di aumentare il debito pubblico per mettere in campo misure a favore di imprese, lavoratori e famiglie;
- Il temporary framework sugli aiuti di stato che ha dato ai governi più margini di manovra per attuare misure di sostegno alle imprese (che normalmente non sarebbero state possibili);
- La possibilità di usare i fondi europei ancora disponibili per fronteggiare l'emergenza economica causata dalla pandemia, dando quindi agli stati e alle regioni la possibilità di cambiare la destinazione d’uso di questi fondi;
- Il quantitative easing della Bce, cioè il piano di acquisto di titoli di stato da parte della Banca centrale europea che nel corso di questi mesi si sta ampliando sempre più, permettendo di tenere sotto controllo lo spread e consentendo ad un paese indebitato come l’Italia di raccogliere risorse sui mercati in modo sostenibile (dal punto di vista dell’indebitamento).
A queste misure si aggiungono gli interventi da 540 miliardi di euro concordate dal Consiglio europeo di fine aprile e che saranno attive a breve. Si tratta de:
- Il Meccanismo europeo di stabilità (MES) per il rafforzamento del sistema sanitario, che all’Italia darebbe 36 miliardi di euro;
- Il programma SURE che erogherà fino a 100 miliardi di prestiti per sostenere l’occupazione;
- Il Fondo di garanzia da 25 miliardi della Banca europea per gli investimenti (Bei) che permetterà di erogare fino a 200 miliardi di finanziamenti.
Infine ci sono le misure che fanno capo al nuovo bilancio UE 2021-2027 e a Next Generation EU (cioè il Recovery Fund) lo strumento per sostenere la ripresa dell’economia europea e che nella proposta della Commissione presentata a fine maggio ha una dotazione di 750 miliardi di euro (di cui 500 miliardi come sovvenzioni e 250 miliardi come prestiti).
Tra quelle che toccano più da vicino le imprese, illustra Alessandro Carano, Senior Adviser DG EcFin in Commissione europea, c’è anzitutto il Solvency Support Instrument. Si tratta di un nuovo strumento da 31 miliardi (che potrebbero mobilitarne oltre 300 con l’apporto di capitali privati) per sostenere quelle aziende sane prima della crisi e che utilizzerà come cinghia di trasmissione intermediari come Cdp, fondi di equity, piattaforme di investimenti, etc. La misura - sottolinea Carano - è diretta ad aziende basate ed operanti in Ue, indipendentemente dalla proprietà.
L’altro fronte è il potenziamento di InvestEU (ex Piano Juncker) attraverso una nuova finestra di finanziamento per gli investimenti strategici europei e garanzie per 75 miliardi euro, con l'obiettivo di realizzare investimenti fino a mille miliardi di euro.
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Cosa rischia l’Italia e cosa sta facendo il governo
Quello italiano è stato uno dei lockdown più severi al mondo, indispensabile però per salvare vite umane. I dati epidemiologici oggi sono molto migliori, ma non c’è dubbio che nei prossimi mesi l’Italia dovrà continuare a convivere con il virus e le misure di distanziamento sociale continueranno a pesare sull’economia.
A snocciolare i numeri è il viceministro dell’economia Antonio Misiani. Secondo l'Istat nel 2020 il Pil italiano si attesterà sul -8,3% (ben lontano purtroppo nell'anno peggiore della grande crisi di dieci anni fa, quando nel 2009 il Pil raggiunse il -5,3%). Secondo l’Ocse i dati rischiano di essere ancora peggiori, con una caduta del Pil del -11,3% (e questo nel caso in cui non ci siano altre ondate di contagi).
In media l'Italia ha una previsione di caduta del Pil di 2,5 punti percentuali maggiore rispetto alla media UE, complice anche il peso del turismo (uno dei settori più colpiti) per la nostra economia.
A questi dati si aggiungono quelli sull'occupazione. Sono infatti 8 milioni gli italiani che attualmente si trovano in cassa integrazione. Parliamo di circa la metà dei dipendenti del settore privato. Qui il rischio da scongiurare a tutti i costi è che nei prossimi mesi una parte di questi lavoratori cassaintegrati si trasformi in disoccupati.
Davanti a scenari di questo tipo, il governo italiano tra marzo e maggio ha varato misure senza precedenti per portata e articolazione, che valgono 75 miliardi di indebitamento netto. Uno sforzo che si è già tradotto in numerose misure per la liquidità, incluse:
- La moratoria sui prestiti, su cui i dati sono molto buoni;
- La concessione di nuovi crediti su cui, invece, si va più a rilento. Su questo fronte - sottolinea Misiani - serve il lavoro di tutti. Il governo è intervenuto in sede di conversione del dl liquidità, cercando di migliorare lo strumento. Ma serve più sprint anche da parte delle banche.
Il punto cruciale per reggere l’urto della crisi - conclude Misiani - è quello di ripartire il prima possibile, garantendo adesso (e non domani) la liquidità alle imprese. Solo così possiamo salvare la base produttiva italiana ed impedire che diventi vittima del credit crunch.
Nelle risposte messe in campo dal governo, un ruolo fondamentale è quello di Cassa depositi e prestiti (Cdp), come illustrato da Nunzio Tartaglia, Chief responsabile della Divisione Imprese di Cdp. Oltre alle misure per gli enti locali, incluso l’anticipo di 12 miliardi per permettere i pagamenti dei debiti della PA a favore delle imprese creditrici, infatti, Cdp sta intervenendo su tre aree:
- Garanzia Italia che integra il sistema di garanzie del Medio credito centrale per operazioni che riguardano le medie e grandi imprese;
- Il finanziamento diretto alle imprese con un plafond di 6 miliardi di euro (di cui per ora ne sono stati usati due);
- Patrimonio rilancio a sostegno della ricapitalizzazione delle imprese strategiche e su cui, adesso, è in atto un confronto con la Commissione per la validazione dello schema di decreto attuativo.
> Le misure di Cdp contro il coronavirus
Il ruolo delle banche per concedere liquidità alle imprese colpite dalla crisi
Per far si che le misure varate e i fondi stanziati dall’UE e dal governo italiano arrivino davvero in tasca alle imprese, c’è bisogno delle banche. Rispetto alla crisi del 2008, l’UE è intervenuta meglio e più velocemente, mettendo in campo risposte adeguate per garantire che il settore bancario europeo fosse in grado di finanziare subito imprese e famiglie.
“Mai come oggi - afferma quindi Giovanni Sabatini, Direttore generale di ABI - gli interessi di imprese e banche sono convergenti. I problemi di oggi delle imprese, infatti, saranno i problemi di domani delle banche e per questo le istituzioni bancarie hanno tutto l'interesse a erogare i finanziamenti per tenere in piedi le aziende, evitando così di riempirsi la pancia di crediti deteriorati”.
In prospettiva, però, secondo l’ABI sarà importante che le autorità europee procedano ad un phase out delle misure adottate sufficientemente lungo, a cominciare dagli interventi che facilitano le moratorie.
Di futuro condiviso tra banche e imprese e di preoccupazioni per la prossima fase, parla anche Sergio Gatti, Direttore Generale di Federcasse. Tra le altre cose, infatti, Gatti sottolinea come dovranno essere adottate nuove politiche per i non performing loans (destinati inevitabilmente a crescere), mentre per quel che riguarda la tenuta complessiva socio-economica, il DG di Federcasse parla di un “debito pubblico produttivo” capace di generare sviluppo, evitando così che l’aumento della spesa di oggi si trasformi in un’eredità avvelenata per le prossime generazioni.
Gli operatori che si rivolgono alle banche, però, non sono tutti uguali e hanno esigenze diverse. Le micro e piccole imprese infatti, spesso non vanno in banca ma preferiscono rivolgersi ai confidi. E di questa platea parla Gianmarco Dotta, Presidente di Assoconfidi, che sottolinea come in questa fase i confidi possano generare due vantaggi:
- Intercettare imprese di taglia piccolissima, che se non sarebbero tagliate fuori dalle misure varate;
- Operare come acceleratore della garanzia privata per far arrivare subito i soldi in tasca alle imprese per finanziamenti già decisi ma per i quali servono tempi più lunghi (come nel caso della cassa integrazione o dell'ecobonus).
A lamentare una eccessiva lungaggine e complessità degli strumenti messi in campo per la liquidità, sono invece le imprese. Secondo un campione intervistato da Cna, infatti, i ⅔ delle aziende lamenta un’eccessiva lentezza e afferma di essere ancora in attesa di risposte. A fornire i dati è Mario Pagani, Responsabile del Dipartimento Politiche industriali di Cna Nazionale secondo cui il vero problema dell’Italia non è tanto la dimensione media delle aziende (sostanzialmente in linea con quella degli altri paesi europei, sottolinea Pagani), bensì la messa a punto di strumenti più difficili da usare. Secondo Cna, quindi, una delle priorità deve essere quella di innovare le modalità di accesso agli interventi pubblici.
> Guida al Fondo di garanzia PMI: come funziona, modulistica, circolari, novita'
Le posizioni degli eurodeputati italiani
Se sulle misure varate dall’UE il giudizio unanime è abbastanza positivo (si tratta in effetti di interventi che mettono in campo una potenza di fuoco mai vista prima), i distinguo emergono su quello che ci attende nel medio periodo.
Brando Benifei, (Capo delegazione PD) punta l’attenzione sull’ampliamento delle risorse proprie dell’UE, in modo da garantire una sostenibilità nel medio termine a questo piano. I primi bacini da cui attingere - secondo Benifei - dovrebbero essere la carbon tax e la web tax. Ma per la tenuta del sistema produttivo europeo sarà anche fondamentale tutelare le catene globali del valore, evitando che in questa fase di emergenza i fornitori e subfornitori europei vengano rimpiazzati da aziende extra-Ue.
Antonio Rinaldi (Europarlamentare Lega in Commissione ECON) e Raffaele Stancanelli (Vice Presidente della Commissione Giuridica, Fratelli d’Italia), invece, esprimono preoccupazione per cosa succederà finita l’attuale fase di emergenza. Secondo entrambi, infatti, non si può tornare alle vecchie regole del passato (in primis patto di stabilità e normative sugli aiuti di stato) caratterizzate da un insieme di lacci e lacciuoli troppo stringente. Se così fosse, il rischio - sottolineano gli eurodeputati - sarebbe che, superata la prima emergenza, imprese e famiglie non riescano a superare invece i prossimi mesi tornando ad essere gravati da regole troppo rigide.
Tiziana Beghin (Capo delegazione del Movimento 5 Stelle) evidenzia invece la vittoria dell’Italia di aver ottenuto una sorta di “indice covid” come criterio da usare per allocare le risorse (sulla base cioè dei danni e delle necessità create dalla pandemia e non su altri criteri). In questo modo per la prima volta l’Italia non sarà più un contributore netto, bensì il Paese probabilmente più privilegiato per ricevere i fondi stanziati. Quanto al futuro, rispondendo ad una preoccupazione sollevata dal collega Rinaldi sul pericolo che il green deal possa cancellare posti di lavoro, Beghin sottolinea invece come la svolta green e digital sia l’unica strada per mantenere competitiva l’industria europea.
SURE e politiche industriali, infine, sono i due focus di Massimiliano Salini (Forza Italia, Membro delle Commissioni Trasporti e Industria). Sul primo Salini sottolinea come SURE possa essere usato non solo per finanziare la cassa integrazione, ma anche come investimento per il futuro agendo sulle politiche attive per il lavoro che però, secondo l'eurodeputato, in Italia non ci sono. Per quanto riguarda il cambio di paradigma industriale che sarà causato dal green deal, invece, il pericolo è un atteggiamento naif dell’UE che non tenga conto delle esigenze di politica industriale alcuni settori cruciali, come il siderurgico o la chimica.