Le incognite sulle partite incrociate di PNRR, fondi strutturali e FSC
Il perno della strategia del Governo per salvare i fondi del PNRR è la flessibilità nell'uso delle risorse, confermata anche dalle conclusioni dell'ultimo Consiglio europeo come contrappeso al nuovo Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato. La strategia dei vasi comunicanti tra Recovery e Politica di coesione rischia però di sottrarre la gestione di fondi strutturali e FSC ai territori, che rivendicano autonomia sulle risorse alla luce della natura place based della politica regionale. Un tema che, nonostante i toni concilianti di Bruxelles, preoccupa anche la Commissione.
Consiglio europeo: c'è il compromesso tra aiuti di Stato e flessibilità sui fondi europei
Come noto, entro fine mese il Governo deve presentare alla Commissione europea la sua proposta di modifica del PNRR. Un passaggio necessario ad integrare il Recovery con il nuovo capitolo REPowerEU, dedicato agli investimenti per la transizione energetica, ma anche ad affrontare il problema ormai non rinviabile dell’inadeguatezza dell’attuale versione del Piano.
Complice il contesto complicato dalla guerra in Ucraina e dall’aumento dei prezzi, il PNRR ha accumulato ritardi tali da spingere il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR Raffaele Fitto ad ammettere che non tutte le opere del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono realizzabili entro la scadenza UE del 2026.
La soluzione individuata dal Governo è quella di utilizzare in maniera integrata il PNRR, i fondi strutturali 2021-27 e il Fondo sviluppo e coesione, facendo transitare i progetti del Recovery più in ritardo nella programmazione della Politica di coesione europea e nazionale, che nel caso dei fondi UE si chiude al 31 dicembre 2029 e non ha scadenza nel caso del FSC. Fitto ne ha discusso già a fine febbraio incontrando a Bruxelles i commissari all’Economia e alla Coesione, Paolo Gentiloni ed Elisa Ferreira, e il 4 aprile il tema è stato affrontato nuovamente in occasione dell’incontro con il commissario al Bilancio, Johannes Hahn.
Nella stessa giornata Hahn ha incontrato anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, principalmente per discutere del bilancio UE, sia di quello 2024 che il prossimo Quadro finanziario pluriennale, ma anche per fare il punto sul PNRR. E anche qui, si legge nella nota del MEF, la flessibilità sarebbe stata individuata da entrambi come “lo strumento per modificare e portare a termine quei progetti in difficoltà a causa di eventi straordinari”.
Tutto risolto quindi? Più o meno. Perché già la commissaria Ferreira aveva avvertito che i progetti diretti a migliorare impatto ed efficienza dei fondi europei devono comunque rispettare la natura place-based della Politica di coesione e la sua logica regionale. E anche i governatori delle regioni, da giorni impegnati in vari scontri a distanza su quali territori dovrebbero ottenere i fondi liberati dai progetti stralciati dal PNRR, cominciano a chiarire che non sono disposti a rinunciare alla gestione delle risorse della Politica di Coesione.
Una grana non da poco per il ministro Fitto, che ha potuto contare sul via libera non scontato della Conferenza unificata alla centralizzazione prevista dal decreto PNRR Ter e che ora potrebbe trovare meno semplice portare a termine il suo progetto.
Per approfondire: PNRR, Fitto: Governo riferirà alle Camere
La chiamata alla Politica di Coesione per salvare il PNRR
La modifica del PNRR può contare sulle risorse stanziate per il capitolo RepowerEU, che nel caso dell’Italia ammontano a circa 5 miliardi di euro. Di questi però 2,7 miliardi provengono da sovvenzioni supplementari REPowerEU, 146,8 milioni di euro dalla riserva di adeguamento alla Brexit e circa 2,1 miliardi deriverebbero dalla possibilità per gli Stati membri di utilizzare fino al 7,5% dei fondi assegnati a titolo del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), del Fondo sociale europeo Plus (FSE+) e del Fondo di coesione (FSC) per sostenere gli investimenti nella transizione energetica. Per gli aiuti a imprese e famiglie contro il caro energia ci sarebbe invece una quota dei fondi europei non spesi della Politica di coesione 2014-2020, incluso ReactEU, fino a un massimo del 10% del totale, come previsto dal pacchetto Safe.
Il Governo in più vorrebbe fare posto a ulteriori investimenti per la transizione green, tra cui quelli proposti dalle società partecipate, stralciando i progetti PNRR che all’esito della ricognizione che i Ministeri completeranno entro il 20 aprile risulteranno irrealizzabili e spostandoli sulla programmazione dei fondi europei 2021-27, appena partita, e sul Fondo sviluppo e coesione.
In questo modo neanche un euro del PNRR dovrebbe andare perso, come hanno dichiarato ieri i vice premier Matteo Salvini e Antonio Tajani, con una sorta di richiamo ai ranghi dopo che il capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, aveva ventilato l'ipotesi di rinunciare a una parte della quota a debito del Recovery and Resilience Facility. L’accentramento in capo a Palazzo Chigi e MEF di Recovery Plan e Politica di Coesione previsto dal decreto PNRR ter dovrebbe dare gambe al disegno.
Ponendo come premessa che rivedere ora l'Accordo di partenariato 2021-27 approvato a luglio significherebbe rallentare ulteriormente una programmazione già in ritardo, ponendo un'ipoteca ancora più grande sul raggiungimento anche di questi target di spesa UE, c’è un problema anche di metodo. Il progetto dei vasi comunicanti parte dall’assunto, esplicitato in più occasioni dal ministro Fitto, che i programmi della Politica di Coesione siano contenitori vuoti in cui collocare i progetti avviati e poi rivelatisi non compatibili con il PNRR.
La Politica di Coesione, però, non può essere calata dall’alto e su questo rischiano di aprirsi crepe nel supporto della Commissione e delle regioni ai piani del Governo. Anche se i piani del Governo italiano sono per ora troppo vaghi per una presa di posizione compiuta da parte della Commissione, l’Esecutivo UE ha già chiarito a febbraio che la Politica di Coesione deve rimanere ancorata ai territori, tanto più che nella gestione dei fondi strutturali le performance delle autorità nazionali sono in molti casi peggiori di quelle regionali.
La programmazione FESR e FSE+ 2021-27 delle regioni, inoltre, è più avanzata di quella dei Ministeri, in molti casi sono già disponibili i cronoprogrammi dei bandi e alcuni avvisi sono già stati pubblicati. E se almeno per i dieci Programmi nazionali è vero quanto dice Fitto, che si tratta di documenti strategici ancora riempibili con progettualità specifiche, è vero anche che ambiti di intervento e finalità sono ormai definiti e i progetti PNRR da ricollocarvi dovrebbero riguardare le stesse aree tematiche, se non si vuole riaprire il negoziato con Bruxelles.
Maggiori margini sono disponibili sul Fondo Sviluppo e Coesione 2021-2027. In questo caso ad aprile 2022 è arrivato il via libera del CIPESS al documento che individua gli obiettivi strategici per le 12 aree tematiche FSC e i Piani non sono ancora stati approvati. Ma le regioni difficilmente rinunceranno alla titolarità di queste risorse, peraltro destinate per l’80% al Sud.
Lo ha già chiarito il governatore della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che il 4 aprile sui fondi FSC ha dichiarato: “Leggo che sarebbero accentrati, non si capisce a quali fini e perché. Quelle risorse io pretendo di averle come Emilia-Romagna e con i sindaci voglio usarle per le idee che abbiamo, perché abbiamo dimostrato che sappiamo usarli". E ancora: "Le risorse del FSC solitamente e storicamente vengono assegnate alle Regioni, per noi sono alcune centinaia di milioni di euro che noi spenderemmo per interventi infrastrutturali”.
La partita sui Programmi del Fondo sviluppo e coesione, tra l’altro, doveva chiudersi a breve. E su questo Bonnaccini è categorico: "O ci vengono assegnati nelle prossime settimane o sarà protesta pubblica. Quelle risorse spettano alle Regioni. Se il governo non ha intenzione di usarli così lo deve dire pubblicamente".