Mediterraneo, immigrazione, politica di coesione, energia: intervista a Pier Virgilio Dastoli
L'Italia in Europa e nel Mediterraneo, tra continuità e nuove sfide per la crescita economica, l'integrazione politica e la sostenibilità ambientale. A pochi giorni dal Festival d'Europa, in programma a Firenze dal 6 al 10 maggio, ne abbiamo parlato con Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo (CIME) ed ex direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea.
Può parlarci della proposta del CIME per garantire la stabilità e lo sviluppo nell’area mediterranea?
La nostra proposta è che di fronte a quello che sta succedendo nei paesi arabi noi dobbiamo avere la stessa immaginazione e lo stesso coraggio politico che avemmo al tempo della caduta del Muro di Berlino e quindi dobbiamo proporre a questi paesi una prospettiva di cooperazione politica molto più forte, andando al di là sia del Partenariato euro-mediterraneo, che dell’Unione per il Mediterraneo, che è di fatto paralizzata.
Il progetto che noi abbiamo lanciato è quella di una comunità euro-mediterranea che si ispiri alle esperienze iniziali della costituzione europea, cioè della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, e quindi estendere a questi paesi questo metodo di cooperazione politica, offrendo loro una prospettiva di partenariato politico e non soltanto economico e commerciale.
Il Cime contribuirà al Festival d'Europa, in particolare con un Forum il 9 maggio. Che cosa si aspetta da questa manifestazione?
Il nostro obiettivo è di riuscire a creare una rete e un’alleanza tra le varie anime della società civile per avviare un processo di riflessione sull’evoluzione dell’Europa nei prossimi anni, in vista delle elezioni europee del 2014, rispondendo in qualche modo “provocatoriamente” all’evento centrale del Festival che si chiama Lo stato dell’Unione. La nostra impressione è che, per tutta una serie di aspetti, ci troviamo di fronte a uno stato della disunione e non dell’unione, basta guardare all’incapacità di rispondere alle rivolte dei paesi arabi, al problema della crescita economica che non trova una soluzione a livello europeo. Spetta in qualche modo alla società civile la responsabilità di dare le risposte che i governi fino ad oggi non sono stati in grado di dare. In questa prospettiva quello che noi ci aspettiamo da coloro che parteciperanno a questi eventi, anche tenendo conto del fatto che questo è l’anno in cui si celebra il settantesimo anniversario del manifesto di Ventotene di Spinelli, è allargare il consenso di organizzazioni europeiste come il Movimento europeo e che condividono la nostra idea degli Stati Uniti d’Europa.
Uno dei temi cruciali nei rapporti tra Italia e Unione Europea è quello dell'immigrazione. In questi giorni si discute di revisione del trattato di Schengen, di rafforzamento del Frontex. Secondo lei sarà possibile trovare in tempi relativamente brevi una soluzione comune e che sia favorevole anche per il nostro paese?
La soluzione può essere trovata intanto non facendo passi indietro, perché rivedere il trattato di Schengen per mettere degli ostacoli alla libera circolazione delle persone significherebbe compiere un passo indietro, non un passo in avanti. Quello cui bisogna puntare, e che già il Trattato di Lisbona prevede, è una politica dell’immigrazione comune. E' importanye che gli Stati europei si mettano d’accordo sui flussi migratori di cui hanno bisogno nei prossimi anni e sulla gestione di questi flussi in modo che ci sia una condivisione nell’affrontare la questione, tenendo presente che l’immigrazione, soprattutto di giovani e di lavoratori qualificati, è un bisogno per la nostra economia e quindi la prospettiva non è quella di ridurre il numero di immigrati. L'Italia dovrebbe lavorare perché sia dia completamente attuazione al Trattato di Lisbona, perché fino ad ora i nostri governi sono stati molto reticenti da questo punto di vista.
Un altro aspetto su cui occorrerebbe lavorare riguarda gli accordi con i paesi terzi, che dovrebbero essere realizzati dall’Unione europea e non da ciascun stato membro singolarmente. Bisogna andare al di là del Trattato di Lisbona, che prevede che l’Unione europea dia degli orientamenti sui flussi migratori e che poi ogni paesi negozi per conto proprio nei confronti dei paesi terzi. Al contrario è opportuno che i flussi migratori vengano stabiliti con un accordo e che i negoziati con i paesi terzi, penso in particolare alla Tunisia, ma non solo, vengano condotti dall’Unione europea in quanto tale e non dai singoli paesi.
Secondo lei quanto potrebbe incidere sulle politiche monetarie europee il possibile approdo di Draghi alla guida della BCE?
La presenza eventuale di Draghi alla guida del Bce rappresenta una continuità rispetto alla presidenza italiana in questi organismi, ricordo la presenza di Tommaso Padoa Schioppa al board BCE dal 1998 al 2005. Sarebbe quindi la conferma di una linea di continuità per un paese che si è sempre impegnato per una forte unione economica e monetaria, ma anche rispetto al modo in cui la banca centrale europea, attraverso la presidenza di Trichet, ha gestito le politiche comunitarie fino ad ora.
La II Commissione Barroso sta facendo abbastanza per la stabilità economica e per la crescita?
La Commissione Barroso ha contribuito a trovare delle soluzioni nel corso della crisi finanziaria. Quello che ci si deve aspettare dalla Commissione ora è l’idea che - diversamente da quanto fanno i governi, i quali puntano sostanzialmente alla stabilità finanziaria - quello di cui ha bisogno l’Europa in questo momento non è soltanto la stabilità, che è responsabilità degli stati nazionali che hanno accumulato debiti considerevoli. L’Unione europea deve assumersi la responsabilità della crescita e questo richiede un bilancio più ambizioso.
La Commissione ha presentato un progetto di bilancio per il 2012 in aumento del 5%, che alcuni paesi hanno contestato. Bisogna che la Commissione e il Parlamento siano fortemente alleati nel dire che il bilancio dell’Unione, contrariamente a quello degli stati membri, deve essere in crescita e non un bilancio paralizzato da una falsa concezione dell’austerità finanziaria. Noi come Movimento europeo sosteniamo fortemente l’idea degli eurobonds, cioè di prestiti europei che servono per finanziare gli investimenti e ci aspettiamo che la Commissione europea risponda a un appello che è venuto dal Parlamento, così come confidiamo che sostenga, nel documento di fine giugno, la proposta del parlamento di una tassa sulle transazioni finanziarie.
In Italia, e in particolare nel Mezzogiorno, si riscontra un’insufficiente capacità di programmare e utilizzare i fondi europei. Quali sono gli ostacoli, a suo avviso, che ne limitano l'utilizzo?
C’è una difficoltà di programmazione da parte di alcune regioni italiane. Sotto questo aspetto io credo che la linea che emergerà dalle proposte della Commissione sulla Politica di Coesione dal 2014 in poi sarà quella di una accordo di programma che coinvolga l’insieme delle regioni e che quindi non si avrà più una responsabilità delle regioni, ma la condivisione della programmazione a livello nazionale.
In secondo luogo bisogna andare al di là del sistema attuale, con finanziamenti a pioggia, e individuare dei grandi progetti da finanziare con la politica di coesione dell’Unione europea.
In terzo luogo bisogna rafforzare il tema della cooperazione interregionale: oggi ogni regione procede autonomamente, bisogna invece lavorare per una maggiore cooperazione tra le regioni, sia all’interno del nostro paese, che tra diversi paesi. Credo che su questo le regioni dovrebbero iniziare ad attrezzarsi fin da ora, a prepararsi ad un cambiamento nella Politica di Coesione che avverrà certamente a partire dal 2014.
Dopo la catastrofe di Fukushima, ma anche per l’instabilità nel sud del Mediterraneo, le scelte in materia di politica energetica non sono più rimandabili per il nostro paese. Il dibattito in corso riguarda sia l’opzione di ritorno al nucleare che gli incentivi alle fonti di energia rinnovabili. Qual è la sua posizione in merito?
La mia idea è che dobbiamo puntare più di quanto fatto finora sulle energie rinnovabili. Ci siamo illusi di rilanciare il discorso del nucleare, adesso il nucleare è stato accantonato. Bisogna favorire gli investimenti in ricerca per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili, in particolare l’eolico, il fotovoltaico, la geotermia, considerando che abbiamo giacimenti geotermici ancora poco sfruttati. Bisogna impegnarsi molto di più nel risparmio energetico, non soltanto per quanto riguarda i consumi privati, ma anche quelli degli enti pubblici, e per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
Sono tutte questioni connesse tra loro e che hanno visto finora l’Italia in ritardo rispetto agli altri paesi e anche in una posizione di resistenza rispetto alle decisioni dell’Unione europea. Occorre invece investire nella prospettiva che è stata delineata dall’Unione europea con gli obiettivi posti dalla Strategia Europa 2020, cioè il 20% di risparmio energetico, il 20% di energia prodotta da fonti rinnovabili sul fabbisogno complessivo e il 20% di riduzioni delle emissioni di CO2 entro il 2020.