State of the Union – Bilancio UE, quali scenari per il QFP post 2020
Brexit, riforma delle risorse proprie, futuro della Politica di Coesione e degli altri strumenti di finanziamento UE: da cosa dipenderà il prossimo Quadro finanziario pluriennale dell'Unione
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Il futuro del bilancio UE è forse il tema lasciato maggiormente nell'ombra dal discorso del presidente Juncker sullo Stato dell'Unione. Il numero uno della Commissione europea si è limitato a raccomandare l'adozione di un bilancio con una capacità adeguata alle ambizioni dell'UE, ma non ha fatto anticipazioni rispetto alla proposta per il Quadro finanziario pluriennale post 2020 attesa per maggio 2018.
Gli interrogativi sul prossimo QFP
Le indicazioni dell'Esecutivo comunitario si limitano per ora a quanto contenuto nel documento sul futuro delle finanze dell'Unione presentato a giugno, alla luce dei tanti interrogativi che richiedono risposte prima di poter determinare l'assetto del nuovo budget.
La Brexit porterà a una riduzione delle disponibilità del QFP o gli Stati membri decideranno di colmare, almeno in parte, il gap da circa 10-11 miliardi di euro l'anno provocato dall'uscita del Regno Unito aumentando l'entità dei propri contributi?
Le risorse per la sicurezza, l'immigrazione, la ricerca nel settore della difesa, gli obiettivi dell'Accordo sul Clima di Parigi - tra le maggiori novità indicate dal documento sul futuro delle finanze dell'Unione - verranno sottratte agli attuali programmi di finanziamento UE, come la Politica di Coesione, la PAC, il CEF e Horizon 2020 e in che misura? E quanto del futuro assetto della Politica di Coesione dipenderà dalle scelte circa il nesso da instaurare tra disciplina di bilancio, avanzamento delle riforme strutturali e accesso ai fondi europei?
Il calcolo delle risorse da assegnare a ciascun Paese membro sulla base del Pil procapite sarà confermato o potranno aggiungersi nuovi criteri di distribuzione dei fondi, maggiormente attenti ai Paesi contributori netti come l'Italia?
Infine, il prossimo Quadro finanziario pluriennale conterrà innovazioni sul tema delle risorse proprie? E la proposta di Juncker di richiedere solo la maggioranza qualificata, e non più l'unanimità, per le decisioni in materia di web tax, base imponibile consolidata e Iva potrà accelerare questo processo di riforma?
L'impatto della Brexit sulla capacità finanziaria del bilancio UE
Nella lettera di intenti che Juncker ha inviato al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani e al primo ministro estone Juri Ratas, in qualità di presidente di turno del Consiglio dell'Unione, l'unico riferimento esplicito al bilancio UE post 2020 riguarda la presentazione della proposta sul QFP nel mese di maggio 2018, cui faranno seguito le proposte sui nuovi programmi di finanziamento europei e su nuove risorse proprie.
Il primo nodo da sciogliere è sicuramente quello della capienza del bilancio UE, che si ridurrebbe significativamente laddove il contributo degli Stati membri rimanesse pari a circa l'1% del Pil, dal momento che, secondo le stime della Commissione, l'uscita del Regno Unito peserà per circa 10-11 miliardi l'anno sui conti di Bruxelles.
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Alcuni margini potrebbero venire dall'eliminazione del rebate britannico, che dovrebbe condurre a rivedere anche le correzioni e gli sconti ottenuti da altri Paesi UE.
In generale, però, in tempi di rigore di bilancio, un aumento del contributo dei 27 al bilancio europeo è tutt'altro che scontato e in ogni caso presumibilmente la nuova soglia non supererebbe l'1,05%.
Prima gli obiettivi, poi gli stanziamenti
Sulla dotazione del futuro QFP, il position paper dell'Italia propone un'innovazione di metodo, cioè di “partire dall’individuazione degli obiettivi, per arrivare solo in un secondo momento alla quantificazione degli stanziamenti necessari”.
Nel documento italiano questi obiettivi sono identificati come i “beni pubblici europei” e, in linea con il principio di sussidiarietà, riguardano quei problemi comuni che le politiche UE possono affrontare più efficacemente degli sforzi dei singoli Stati membri, dalla coesione economica, sociale e territoriale alla competitività dell'industria, dalla sostenibilità ambientale alla sicurezza alimentare, dalla sicurezza alla gestione dei flussi migratori.
Nel position paper italiano le priorità da mettere al centro del bilancio UE sono quattro:
- gestione del fenomeno migratorio, sul fronte dei flussi in arrivo e della capacità di intervento nei Paesi terzi;
- coesione economica, sociale e territoriale;
- mobilità del capitale umano e mercato unico;
- crescita sostenibile e contrasto ai cambiamenti climatici.
In un quadro di risorse limitate, però, questi temi diventano concorrenti tra loro: le nuove tematiche - terrorismo, difesa, immigrazione e surriscaldamento globale - impongono non solo nuove risorse, ma anche un ripensamento dell'incidenza delle politiche di finanziamento esistenti sul totale del bilancio UE.
La ricerca di nuove risorse proprie
Alla disponibilità di risorse adeguate si potrebbe rispondere in parte con un progetto di revisione del sistema delle risorse proprie, alla luce delle conclusioni del gruppo di lavoro guidato dall'ex premier italiano Mario Monti.
I contributi nazionali sulla base del reddito nazionale lordo (RNL), che ora rappresentano l'80% del bilancio dell'Unione, potrebbero essere ridotti grazie all'introduzione di nuove entrate che il gruppo di alto livello ha raccolto in due categorie:
- uno relativo a potenziali entrate collegate al mercato unico e al coordinamento fiscale, come la Value added tax (VAT), corrispondente all'Iva italiana, o la Corporate income tax (CIT), che si applica sul reddito imponibile delle società;
- l'altro che individua quelle collegate all'Unione dell'energia, all'ambiente, al clima e alla politica dei trasporti, come la Carbon tax sulle emissioni di CO2.
Il documento italiano suggerisce di approfondire soprattutto le ipotesi dell'Iva europea, dell’imposta sulle emissioni e di una tassazione comune del settore bancario e la proposta di Juncker di passare alla maggioranza qualificata per decisioni relative al mercato interno, quali la web tax, la base imponibile consolidata e la stessa Iva, potrebbe facilitare questo processo.
Quale futuro per i programmi di finanziamento UE
Se l'impatto della Brexit, la necessità di contenere la spesa pubblica e le nuove sfide europee richiedono soluzioni per recuperare maggiori risorse da destinare al Quadro finanziario pluriennale, è anche vero che difficilmente i programmi di finanziamento tradizionalmente più dispendiosi usciranno indenni da questo processo.
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Il Programma quadro per la ricerca e l'innovazione potrebbe dover cedere risorse al nuovo Fondo europeo per la ricerca sulla difesa e il Meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe Facility – CEF) sta già finanziando il Piano Juncker, che in base al recente accordo tra Commissione e Consiglio continuerà ad operare tramite il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) fino al 2020 e potrebbe proseguire nel prossimo QFP.
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Anche la Politica agricola comune (PAC) rischia un forte ridimensionamento delle sue risorse, soprattutto sul fronte dei pagamenti diretti, che tra l'altro l'Italia vorrebbe riformare superando gli aiuti ad ettaro e valorizzando l'agricoltura di qualità e gli investimenti.
Le voci critiche nei confronti dell'efficacia dei fondi europei, in termini di capacità di spesa, ma anche di risultati ottenuti, e il crescente interesse nei confronti degli strumenti finanziari remano poi in direzione di un ripensamento della Politica di Coesione.
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Uno scenario guardato con preoccupazione dal Parlamento europeo perché, sebbene l'effetto leva e il meccanismo revolving che contraddistinguono gli strumenti finanziari garantiscono un maggiore impatto delle risorse europee, le tradizionali sovvenzioni restano decisive in quei settori e territori “a fallimento di mercato” che non attraggono finanziamenti privati e che trovano nei fondi strutturali una forma essenziale di investimento pubblico.
Una posizione condivisa dall'Italia, che insiste per garantire risorse adeguate alla Politica di Coesione, migliorando però la chiarezza delle regole e l'orientamento ai risultati.
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Niente fondi senza riforme
Il position paper italiano chiede anche di subordinare l'accesso ai fondi UE al rispetto dei principi dello Stato di Diritto, dei valori fondamentali e delle regole di convivenza all’interno dell’Unione, compresi gli impegni in materia di ricollocazione di rifugiati e richiedenti asilo.
Più probabilmente, come ipotizzato dallo stesso documento sul futuro delle finanze dell'Unione, si procederà a una revisione dell’attuale sistema di allocazione dei fondi basato sul Pil pro capite - che tendenzialmente favorisce i Paesi del gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) e di più recente adesione - con nuovi criteri a vantaggio di contributori netti come Francia, Germania e Italia.
Vi è poi la proposta di Juncker di un ministro dell'Economia e delle Finanze della zona euro, responsabile tanto del coordinamento dei bilanci, quanto della promozione delle riforme strutturali e degli strumenti finanziari UE.
Seppure difficilmente concretizzabile nel corso del mandato di Juncker, la proposta segnala il consolidamento della tendenza, già emersa nel ciclo 2014-2020, ad agganciare l'accesso ai fondi europei al successo degli Stati membri in termini di disciplina di bilancio e avanzamento delle riforme.
Alla condizionalità macroeconomica, da sempre criticata dall'Italia come un ostacolo alla ripresa di Paesi in difficoltà - che dei fondi europei hanno bisogno proprio per rilanciare investimenti altrimenti non finanziabili - potrebbe quindi aggiungersi un vincolo chiaro a rispettare le raccomandazioni rivolte agli Stati membri nell'ambito del semestre europeo.
Rispetto alle attuali condizionalità, che pure richiedono riforme ai Paesi UE e che hanno finito per ritardare i tempi di avvio della programmazione 2014-2020, i requisiti per ottenere i fondi europei si farebbero ancora più stringenti.
Nel suo discorso sullo Stato dell'Unione Juncker ha rivendicato tra i successi della Commissione l'aver riportato crescita e disavanzo su binari sostenibili, combinando disciplina di bilancio e flessibilità, senza uccidere la ripresa.
Gli scenari per il prossimo Quadro finanziario pluriennale rischiano di discostarsi da questo approccio: se i programmi di finanziamento UE perderanno risorse a vantaggio di difesa, sicurezza e immigrazione e l'accesso ai fondi europei dipenderà dal rispetto del patto di stabilità e crescita e delle riforme strutturali chieste da Bruxelles, le economie maggiormente in affanno potranno trovarsi a corto di ossigeno.
Scetticismo sulle proposte istituzionali di Juncker
Molte delle proposte illustrate da Juncker nel suo discorso sono state accolte con favore dal Governo italiano, a cominciare dal meccanismo di screening degli investimenti esteri, fortemente voluto da Francia, Germania e Italia e subito definito dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda come "un passo importante nella giusta direzione".
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Tra i punti di convergenza, ha sottolineato il sottosegretario alle Politiche europeo Sandro Gozi, rientrano anche l'attenzione al pilastro europeo dei diritti sociali, l'importanza attribuita alla difesa europea e alla lotta al terrorismo, le posizioni sul piano istituzionale, come il sostegno alla proposta italiana di liste transnazionali e quella di utilizzare le cosiddette clausole 'passerella', già previste dal Trattato di Lisbona, per accelerare le decisioni su temi fondamentali come la web tax e la tassa sulle transazioni finanziarie.
Più cauto il giudizio italiano sulla trasformazione del Meccanismo europeo di stabilità (ESM) in un Fondo monetario europeo, su cui Juncker presenterà una proposta a dicembre, e sull'istituzione di un ministro delle Finanze dell'eurozona, che diventerebbe anche presidente dell'Eurogruppo.
Si tratta di riforme istituzionali considerate dalla maggior parte dei commentatori troppo ambiziose, tanto più che Juncker ha già anticipato che non si ricandiderà alla presidenza, difficilmente realizzabili.
I piani di Juncker non andranno da nessuna parte se non cattureranno l'immaginazione dei governi nazionali europei, ma almeno, dopo anni di crisi, dimostrano che c'è ancora vita a Bruxelles, scrive l'Economist. Mentre Beda Romano e Gianni Trovati osservano su Il Sole 24 Ore che "un guardiano del deficit con poteri ampi di intervento sulle decisioni nazionali resta decisamente più popolare a Berlino e dintorni che nell’area del Mediterraneo".
Ministro Finanze europeo a condizione che non soffochi investimenti
Per consolidare l’Unione economica e monetaria (UEM), il documento italiano sul prossimo QFP propone di "affiancare al bilancio UE 'tradizionale' strumenti specifici di rafforzamento dell’area dell’euro con finalità anticiclica o per incentivare l’attuazione delle riforme negli Stati membri".
Le proposte di Juncker sono comunque da valutare nel dettaglio, ha commentato il sottosegretario Gozi, a condizione che abbiano nel rilancio degli investimenti la priorità assoluta. Sulla stessa linea il presidente del gruppo S&D al Parlamento europeo Pd Gianni Pittella, secondo cui il ministro delle Finanze dell'eurozona non deve essere un oscuro guardiano dei trattati e dei conti pubblici, ma un ministro per la crescita e il lavoro.
Giovedì, poi, dal vertice intergovernativo Italia-Grecia, a Corfù, è arrivato anche il commento del primo ministro Paolo Gentiloni: "non basta fare passi avanti sul piano dell’architettura", se a questa non corrispondono "politiche più avanzate" che puntino "con maggiore convinzione su crescita e investimenti", ha detto. Dopo anni di difficoltà economiche, la crescita va incoraggiata, non depressa, ha continuato, sottolineando che l’eurozona non deve essere solo un fatto di bilanci e conti economici e che la nascita di un ministro dell’Economia della zona euro dovrebbe accompagnarsi ad una "maggiore integrazione fiscale e bancaria".
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