Architetti: il ruolo dei giovani nell'affidamento degli interventi pubblici
Le difficoltà di inserimento dei giovani architetti nel mondo degli affidamenti degli incarichi attraverso procedure pubbliche sono state al centro di un convegno presso la sede romana dell’Ordine degli Architetti PPC all’Acquario Romano.
Diverse le personalità nel panel dei relatori, con professionalità provenienti non solo dal privato e dal pubblico, ma anche dal mondo del diritto amministrativo, oltre che da quello tecnico. A intervenire, il professor Franco Karrer, attuale commissario straordinario del Porto di Napoli (nonché ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici), il professor Paolo Stella Richter, amministrativista, Livio Sacchi, presidente dell’Ordine di Roma, gli architetti Tamburini, Antonio Stella Richter e Saverio Camaiti, quest'ultimo giovane professionista, promotore e moderatore del convegno.
Tra le tematiche toccate durante il confronto, gli sbarramenti posti agli architetti in sede di bandi, con la richiesta di requisiti di curriculum ed economici che nessun giovane professionista, anche in con un'alta capacità tecnico-progettuale, è in grado di esibire, e la conseguente necessità di unirsi, nel migliore dei casi con un ruolo di comprimario, a gruppi molto più strutturati.
Da qui il dibattito si è orientato verso le varie forme di affidamento attraverso le quali, nel settore pubblico, si esprime l’attività progettuale: concorso di idee, concorso di progettazione, appalto integrato, concessione di costruzione e gestione, ecc. In questo contesto, hanno sottolineato i relatori, il superamento delle criticità nell’accesso a un grado soddisfacente di svolgimento della professione da parte dei giovani, soprattutto nel settore pubblico, passa inevitabilmente attraverso una riqualificazione della professione del progettista in senso lato.
Il degrado della professione di architetto, cui si assiste ormai da quasi 40 anni, è stranamente somigliante a quello della distribuzione della ricchezza nel mondo: da un lato i ricchi sono sempre più ricchi, dall’altro aumenta la massa dei poveri. La classe intermedia, la borghesia, composta in massima parte dai professionisti, va progressivamente estinguendosi. Qualcosa di analogo sta accadendo in Italia nel caso degli architetti in Italia: si è creata una classe di pochi “archistar” che scontano parcelle stellari, cui fa da contraltare una pletora di professionisti ai margini inferiori, giovani e meno giovani che, pur bravi, si cannibalizzano per ottenere incarichi di qualsiasi tipo offrendo ribassi umilianti. La schiera di professionisti intermedi, che ha sempre costituito lo zoccolo duro della progettazione, non esiste più.
Questa crisi si deve in buona parte al mancato processo di liberalizzazione della professione, sempre più compressa tra gli incentivi dei tecnici all’interno della PA e la invadenza delle università, che possono assumere incarichi senza gara.
Quanto alla questione dei livelli di progettazione, per i relatori, se da un lato la normativa vigente sui contratti pubblici (e il conseguente atteggiamento delle stazioni appaltanti) ha ridotto sempre di più le distanze tra il progetto preliminare, quello definitivo e quello esecutivo (tutti e tre di grande impegno economico e professionale), dall’altro viene trascurato proprio quel grado di progettazione che dovrebbe costituire la base per tutte le riflessioni e decisioni inerenti le scelte strategiche della Pubblica amministrazione: lo studio di fattibilità.
A confermare questa analisi è la difficoltà con cui le amministrazioni aggiudicatrici predispongono il documento che precede l’avvio delle progettazioni vere e proprie, il documento preliminare alla progettazione, che dovrebbe individuare le linee guida rispetto agli obiettivi “di sistema” perseguiti dalla PA e che invece risulta troppo spesso superficiale e nebuloso nella sua formulazione. In questo modo si generano confusione e incertezza tra gli aggiudicatari degli incarichi di progettazione, col risultato di un prodotto di scarsa qualità.
Alcune proposte
Alla luce di queste riflessioni, è opportuno ragionare sulla figura del Responsabile unico del procedimento (RUP), dei criteri con cui viene selezionato e delle responsabilità che gli vengono attribuite, spesso eccessive rispetto ai suoi skills professionali.
Altre proposte emerse dal convegno e assumibili in sede governativa, superando eventuali resistenze di lobby burocratiche che possono danneggiare l'efficienza della PA, sono:
- ridurre drasticamente il numero degli enti aggiudicatori, creando accorpamenti di piccoli Comuni;
- riportare allo Stato molte competenze strategiche, gestire da troppo tempo con inefficienza a livello regionale: l’urbanistica, la programmazione infrastrutturale, l’edilizia sociale, l’ambiente;
- portare il livello decisorio della Conferenza dei Servizi allo studio di fattibilità, e non più al progetto definitivo, lasciando solo le verifiche di correttezza tecnica di quest’ultimo agli organismi di competenza (VVFF, ASL, Sovrintendenze, ecc) e sottraendo una volta per tutte a questi ultimi la facoltà di entrare nel merito delle scelte strategiche degli Enti locali,
- imporre agli Enti locali di redigere i piani triennali sulla base di quadri esigenziali efficaci e studi di fattibilità seri, evitando di stilare liste dei sogni nel cassetto,
- imprimere alle professioni una decisa direzione verso la piena liberalizzazione, sopprimendo tutti i privilegi e gli incentivi di cui godono i tecnici pubblici e le università, che falsano il mercato dell’offerta dei servizi,
- codificare in modo altrettanto preciso e puntuale rispetto agli altri livelli di progettazione la predisposizione degli studi di fattibilità, introducendo i parametri tecnici, legali, di mercato ed economici che definiscono un’opera come rispondente ad un quadro esigenziale. Solo così facendo potranno essere soddisfatti alcuni criter fondamentali per la crescita del Paese: la credibilità nei confronti della domanda esterna di investimenti; la restituzione al momento della progettazione di un ruolo centrale; la qualità dei progetti, compresi quelli, da non trascurare assolutamente, destinati all’ottenimento dei finanziamenti europei, il cui nuovo settennato, già partito (2014-2020) è l’ultima chance per l’Italia di godere di decine di miliardi di euro per colmare i vari gap che lo separano ancora dai Paesi più sviluppati,
- rendere incomprimibili nei Quadri tecnici economici (QTE) i costi di progettazione, come già avviene per i costi della sicurezza,
- creare una scuola pubblica dei RUP.
Photo credit: Christian 胡萝卜男 / Foter / CC BY-NC-SA