Cul de sac per l'Unione per il Mediterraneo
Proseguono i tavoli tecnico-burocratici, ma non il percorso politico. In assenza di un accordo, infatti, non è possibile nominare un segretario generale, cioè l’anima politica dell’UpM. Se la Tunisia ad esempio si oppone ad un segretario marocchino, l’Algeria non vuole una nomina egiziana. Forse, semmai ci sarà, è probabile che il primo segretario generale dell’UpM sarà di nazionalità giordana. Si è intravista una luce con l’ascesa, un anno, fa di Barack Obama alla Casa Bianca, ma nulla di tutto questo ha a che vedere con gli sforzi sostenuti finora dall’UpM. In realtà è proprio la natura intergovernativa (auspicata e portata strenuamente avanti dal leader dell’Eliseo) di questo organismo a rendere difficile ogni passo.
Così, mentre prosegue il dialogo economico-commerciale – rafforzato dagli accordi tra le banche e le imprese delle due sponde del Mare Nostrum – se non si può definire morto, il dialogo politico appare alquanto moribondo. Diversi gli attori in gioco: da un lato la Francia di Sarkozy, che da sempre giudica il Magrheb il suo “giardinetto” e che stavolta si è sentita oscurata dall’azione diplomatica di Obama e dell’Unione Europea. E ancora, un Israele che, da Sharon a Netanyhau, non sembra aprire grandi spiragli al dialogo con i palestinesi. Insomma, sembrerebbe che, nel coltivare il suo grande sogno, Sarkozy abbia decisamente messo il carro davanti ai buoi. Se è riuscito a superare la reticenza della Germania, non è detto che stavolta riesca a risolvere una questione, quella tra palestinesi e israeliani, che va avanti quasi ininterrottamente dal secondo dopo guerra.
L’amaro bilancio è emerso nel corso di un dibattito sulle politiche di vicinato organizzato dalla Rappresenza in Italia della Commissione Europea, a cui hanno partecipato il ministro plenipotenziario Domenico Giorgi, Coordinatore per l’Unione del Mediterraneo presso il ministero degli Affari Esteri e Hugues Mingarelli, vicedirettore per le relazioni esterne della Commissione Europea.
C’è poi da dire che le vicende dell’UpM non possono prescindere dalla politica di vicinato (la cosiddetta Neighbourhood policy) dell’UE, cioè dai rapporti con i paesi confinanti a Est e a Sud. Nemmeno per l’Ue sono tutte rose e fiori, alle prese con i flussi migratori e con le relazioni commerciali con il vicinato tutt’altro che semplici, con crisi del gas e conflitti pericolosi come quello in Georgia, con Paesi come l’Ucraina e la Moldova che ambiscono a diventare paesi membri (tante belle parole, ma per ora di allargamento non se ne parla proprio). A Est poi il grande scoglio resta la Russia di Putin e di Medvedev, che rifiuta categoricamente di far parte della politica di vicinato europea, definendosi piuttosto “un partner strategico” alla pari. I rapporti tra l’Ue e il Cremlino, purtroppo, restano gelidi, soprattutto nella prospettiva di un inverno senza gas per riscaldarsi. Si intravede una luce con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, che senza dubbio rafforzerà la politica estera dell'UE, ma senza una forte volonta politica dei singoli paesi membri da un lato e di Mosca dall'altro, sarà difficile che lo status quo possa cambiare.
Ironia della sorte: Sarkozy, che aveva creato l’UpM per sdoganarsi dall’Unione Europea, si ritrova ad essa accomunato dallo stesso dilemma: non si muove foglia, senza che Israele o la Russia non voglia.
(Alessandra Flora)