Elezioni europee: le ragioni del voto
I risultati finali complessivi saranno resi noti domenica 7 giugno a partire dalle 22 dal Parlamento europeo.
Un voto che coinvolge ben 500 milioni di elettori. Di certo la ricorderemo come la prima campagna in cui è stato fatto un uso massiccio del tam tam dei social network. Una chiamata alle urne su cui grava tuttavia il rischio astensionismo. Le ragioni sono legate alla percezione dei cittadini del Parlamento europeo, ma anche alla situazioni poliche nazionali. In questo voto entra in gioco tutto: dalla moneta unica (eterno capro espiatorio), agli scandali nazionali, dal qualunquismo agli interessi nazionali.
A questo punto però vale la pena di scindere la politica interna dell'Unione Europea da quella estera.
Cominciamo da quest'ultima. Non esiste una politica estera condivisa, in quando non esistono gli Stati Uniti d'Europa, ma tanti Stati nazionali con le loro storie millenarie, che alla fine della seconda guerra mondiale hanno deciso di mettere fine all’orrore per ricostruire un continente messo in ginocchio e per promuovere un uso pacifico dell’energia nucleare. Infatti al momento non esiste un ministro degli esteri europeo e il progetto di una Costituzione “octroyée”, calata dall’altro, per il momento si è fermato perchè i cittadini non l'hanno voluto.
Dovremmo usare due diversi criteri per giudicare ciò che fa (o non fa) l'Ue per i suoi cittadini da un lato e il comportamento dell'UE nei confronti del resto del mondo dall'altro.
Continuiamo con la politica estera. In questi ultimi anni, con l'ascesa di Putin, la Russia è nuovamente tornata alla ribalta, com'era facilmente prevedibile, a vent'anni dalla caduta del muro. Più che l'11 settembre, direi che stanno sconvolgendo di più il mondo l'ascesa di Russia e Cina, due grandi potenze economiche del passato che stanno abbracciando il capitalismo, seppur in modo diverso.
Sarebbe stato meglio lasciare che i paesi ex Patto di Varsavia (dalla Lettonia alla Romania, dalla Slovacchia alle Repubbliche Baltiche) fossero fuori dall'UE, per allearsi nuovamente con l'ex Urss e ricreare una cortina di ferro? Oltre alle politiche di allargamento (presto entreranno Croazia Macedonia e prima o poi anche la contestata Turchia), l'UE si sta aprendo anche a stati molto vicini alla Russia, come il Kazakistan, l'Ucraina e la Georgia con degli accordi ad hoc. Sappiamo che il Cremlino non ama Saakashvili o la Timoshenko. Paesi così lontani e così vicini da noi. Pensiamo ad esempio quanto l’ultima crisi del gas abbia avuto ripercussioni anche in Italia e quanto sia stata subita da molti paesi europei, come la Bulgaria. Non dimentichiamoci che ultimamente Medvedev ha intimato l'Unione Europea di non creare, con questi accordi, una nuova coalizione anti-russa.
Sulla scelta del processo di allargamento, anch’essa spesso contestata alla luce dei flussi migratori, chiamati in causa per la questione sicurezza e per il mercato del lavoro, non credo che i polacchi risultino meno europei di noi. Karol Woitila, uno degli uomini che hanno fatto la storia del Novecento non è stato meno europeo di Papa Ratzinger. Mentre Gorbacev e Reagan abbattevano simbolicamente il muro, Papa Giovanni Paolo II ha contribuito dietro le quinte ad un importante avvicinamento agli Stati Uniti ed ha conferito un apporto fondamentale all’abbattimento del muro di Berlino e ai processi di democratizzazione dell’Est europeo, con il suo appoggio manifesto alla Solidarnosc di Lech Walesa.
Secondo un’indagine condotta nel febbraio 2009 da Gallup per conto dell’Eurobarometro, il 92% della popolazione intervistata ritiene che l’allargamento avvenuto tra il 2004 e il 2007 abbia facilitato la possibilità di viaggiare, mentre il 76% ritiene che l’allargamento abbia contribuito alla crescita economica e del Pil europeo. D’altro canto emergono anche sentimenti contrastanti: il 50% del campione avverte un più marcato senso di insicurezza ed un 54% sostiene che ci siano dei problemi di integrazione culturale tra i diversi stati membri.
Di buono c'è che l'Italia, per andare avanti, usufruisce del budget europeo (Fas, Pon, Por) per creare progetti, corsi di formazione e posti di lavoro reali. Addirittura non riesce neppure a spendere i fondi per incapacità progettuale ed imprenditoriale. Su questi fondi l’UE continua a vigilare e ad alcuni paesi ha persino tagliato i fondi strutturali a causa di un’eccessiva corruzione nella gestione degli stessi. Per chi viaggia per svago e lavoro non c'è più bisogno di visti e passaporto. Basta la carta d'identità e non è poco. Inoltre i paesi "new comers" sono stati costretti, per entrare nell'UE, ad adattare le proprie leggi a determinati standard qualitativi nel campo della sanità, dell'istruzione, della formazione, del turismo, della ristorazione, delle infrastrutture, dei giocattoli, degli alimenti.
Alla vigilia delle elezioni il problema è legato anche al depauperamento della scenario politico internazionale. Che il problema è legato all'assenteismo degli eurodeputati, indipendentemente dalla nazionalità, che talvolta scambiano lo scranno per una panchina. Dipende dai politici che eleggiamo e che mandiamo a rappresentarci a Strasburgo e a Bruxelles.
Oltre agli europeisti più convinti, che si ispirano al pensiero dei padri fondatori Altiero Spinelli e di Robert Schuman, la generazione più europeista è quella nata dopo gli anni Ottanta, quella che non ha vissuto la guerra fredda, la cortina di ferro. E' una generazione cosmopolita che viaggia in continuazione, che ha usufruito dell'abbassamento dei prezzi del trasporto aereo, dei low cost, dell'Erasmus, dell’Inter Rail. E' la prima ad aver conosciuto il fenomeno di massa degli stage all'estero post lauream o dei viaggi estivi per imparare le lingue. Una parte non irrilevante di questa generazione si è trasferita a Barcellona, a Madrid, a Londra, a Rotterdam. Giovani che fanno l'Erasmus e decidono di mettere radici, che lavorano e guadagnano meglio che in Italia, nonostante la crisi. E non hanno bisogno del permesso di soggiorno.
Quale potrebbe essere la soluzione per accrescere la fiducia dell’UE? Rafforzare le istituzioni europee, conferire loro un potere decisionale maggiore? Accelerare le spinte protezionistiche affinchè l’interesse dei paesi membri venga difeso prima di quello del resto del mondo (vedi ciò che non è avvenuto con il caso Opel)? Fin’ora la strategia europea è stata quella dello “stop and go”. Lo abbiamo visto nel settore ambientale, quanto in quello della concorrenza. Da un lato troppo attenta alle esigenze dei singoli paesi, delle Confindustrie e dei gruppi di pressione. Dall’altro additata come centro nevralgico di burocrazia. Grazie al trattato di Lisbona, una volta attuato, potranno essere ulteriormente ampliati i poteri decisionali degli eurodeputati in materia di questioni comunitarie. A livello legislativo, il Parlamento europeo sarà allo stesso livello dei ministri degli Stati membri in quasi tutti gli ambiti della politica comunitaria.