G20: a meta' tra successo e fallimento

copyright White HouseLe risorse allocate dal G20 al Fondo monetario internazionale – circa mille miliardi di dollari che verranno veicolati nel corso tempo dall’Fmi stesso - non corrispondono in senso stretto a delle misure di rilancio, ma rappresentano comunque una risposta importante alla crisi. Il primo vero passo positivo è stato compiuto però verso una “moralizzazione” ed una maggiore regolamentazione dei mercati finanziari (hedge funds, paradisi fiscali).

L’altra grande rivoluzione deriva dall’imporsi della Cina come interlocutore di primo piano per gli Stati Uniti. Gli Usa non dominano più il mondo, ma si trovano di fronte ad uno scenario allargato e ad un nuovo equilibrio, caratterizzato da un rafforzato asse franco-tedesco e dalla forza prorompente dei paesi emergenti.

Il nodo gordiano riguarda l’unanime consenso sulla necessità di imporre una maggiore regolamentazione al sistema finanziario – una vera novità per il mondo anglosassone – ma il summit non è andato oltre la ratifica pubblica di questo intento.

Infine, sollecitata dal G20 – Sarkozy in testa -  l’Ocse ha pubblicato la lista dei paradisi non conformi alle regole mondiali sullo scambio di informazioni fiscali. Un’azione doverosa, che però dovrà essere accompagnata da un’altra, altrettanto forte presa di posizione contro il segreto bancario. La lista di per sé non ha senso se non sarà seguita da sanzioni vincolanti per i paesi inadempienti.

Su questo punto, purtroppo, il G20 ha taciuto. La “black list” comprende i quattro paesi che non si sono mai impegnati a rispettare gli standard internazionali: Costa Rica, Malesia, Filippine e Uruguay. Ma non finisce qui: la lista “grigio scuro” contiene trenta paesi, tra cui campeggiano il Bahamas, Liberia, Liechtenstein, San Marino e quella “grigio chiaro”, che comprende otto centri finanziari come Austria, Belgio, Lussemburgo, Svizzera e Singapore. All’interno delle liste grigie rientrano quegli Stati che, pur essendosi impegnati a rispettare le regole dell'Ocse, non le hanno, in sostanza, applicate.

Immediate le reazioni, di natura opposta. Il premier del Lussemburgo, Jean Claude Juncker ha criticato la decisione dell'Ocse di stilare una lista grigia dei paradisi fiscali. “Ho parlato con i colleghi di Austria e Belgio” – anch’essi compresi nei 38 paesi delle lista - rilevando come “l'Ocse non si è nemmeno premurato di contattare i governi dei paesi interessati”.

Sconcerto anche da parte del presidente della Confederazione e ministro delle Finanze, Hans-Rudolf Merz, il quale afferma di aver preso atto della decisione dell'Ocse, ma di deplorare il modo di procedere. Il ministro disapproverebbe i criteri in base ai quali è stata allestita la lista. “La Svizzera non è un paradiso fiscale, rispetta sempre i propri impegni ed è disposta al dialogo. Il fatto che la Svizzera, in quanto membro fondatore dell'Ocse, non sia stata coinvolta nelle discussioni in ordine all'allestimento di liste è alquanto sorprendente”. Il ministro ricorda inoltre che il 13 marzo scorso, il governo svizzero ha annunciato l'allentamento del segreto bancario.

Luci ed ombre nel giudizio del ex capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, sul vertice G20 a Londra. “Sia pure con molte difficoltà - ha infatti spiegato - si è arrivati a qualche decisione. La più importante è forse quella sui paradisi fiscali e sul maggior rigore nella finanza”.

Dello stesso tenore la dichiarazione del nostro ministro degli esteri, Franco Frattini: “L'accordo per mettere uno stop ai paradisi fiscali é importante, ma ora bisogna far sì che davvero oltre alle decisioni si passi ai fatti”.

In conclusione, questo G20 caratterizzato dalla débacle dei banchieri e dei “padroni”, dagli assalti alla Royal Scotland Bank, lancia una luce di speranza: che si arrivi, entro il 2010, alla fine del tunnel. Tre elementi possono farci sperare di uscire dalla crisi:

  • l’impatto dei piani di rilancio (ritenuti insufficienti da taluni),
  • il calo dei prezzi delle materie prime, soprattutto il petrolio e
  • la diminuzione dei tassi d’interesse.

Resta tuttavia l’incertezza del credito, legata alla capacità delle banche di rifinanziare l’economia. Incertezza che rischia di trasformarci tutti in potenziali “cacciatori di teste”, per dirla con Costa-Gavras.
(Alessandra Flora)