Quali progetti traslocheranno dal PNRR verso i Fondi strutturali e FSC? Dall'ex Ilva all'alta velocità al Sud, le prime ipotesi
Per non perdere i fondi PNRR il Governo punta tutto sulla flessibilità nell’uso delle risorse, una “strategia dei vasi comunicanti” che sposterà alcuni progetti dal Recovery alla Politica di coesione, sfruttando i fondi strutturali e le risorse nazionali FSC. Un primo esempio dovrebbe essere rappresentato dal progetto legato all’ex Ilva. Ma non è il solo, in ballo c'è anche l'alta velocità nel Mezzogiorno.
Terza relazione PNRR: progressi su vincolo 40% fondi al Sud
Flessibilità è una parola ricorrente nei negoziati degli ultimi mesi tra Roma e Bruxelles, soprattutto nel dialogo in corso sulla revisione del PNRR.
Nel caso del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per salvare i fondi a disposizione e mettere a terra i progetti il concetto di flessibilità si traduce nella strategia dei vasi comunicanti, come la indicano in molti. Una strategia ribadita in moltissime occasioni dal ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR, Raffaele Fitto, che consiste nell’impiego integrato di PNRR, fondi strutturali 2021-27 e Fondo sviluppo e coesione (FSC). In pratica, Palazzo Chigi intende far transitare i progetti del Recovery più in ritardo nella programmazione della Politica di coesione europea e nazionale, che nel caso dei fondi UE si chiude al 31 dicembre 2029 e non ha scadenza nel caso del FSC.
Ma quali progetti PNRR traslocheranno su altri fondi? Ancora non si sa con certezza, anche se una prima indicazione viene dalla terza relazione sull’attuazione del PNRR, secondo cui 118 misure del Piano mostrano almeno un “elemento di debolezza”.
L’ex Ilva potrebbe essere il primo progetto che dal PNRR trasloca sui fondi della Politica di Coesione?
Da quanto si apprende da indiscrezioni di stampa ci sarebbe già un progetto candidato a traslocare dal PNRR al Fondo Sviluppo e Coesione e riguarda l’ex Ilva.
La partita è di quelle complesse e in ballo c’è 1 miliardo di euro del PNRR.
Facciamo quindi un passo indietro: nel Piano nazionale di ripresa e resilienza è previsto lo stanziamento di 2 miliardi per l’utilizzo dell’idrogeno in settori hard-to-abate, quei settori cioè caratterizzati da un utilizzo intenso di energia e difficili da decarbonizzare, non potendo ricorrere a un’immediata elettrificazione.
I 2 miliardi in questione sono stati divisi in due misure:
- 1 miliardo è andato sul bando per progetti che prevedano l’uso di idrogeno nei processi industriali, che si chiude il 30 giugno
- l’altro miliardo è andato a Dri d’Italia Spa, la società di Invitalia nata a febbraio 2022 che lavorerà alla decarbonizzazione dell’ex Ilva.
Ed è su questo secondo investimento che si potrebbe applicare la strategia dei vasi comunicanti.
Come spiega Invitalia in una nota, Dri d'Italia dovrà realizzare un impianto di produzione del "preridotto" (direct reduced iron), il bene intermedio utilizzato per la carica dei forni elettrici per ridurre la produzione di acciaio a ciclo integrato con il carbon-coke. Invitalia, tramite procedure di evidenza pubblica, dovrà procedere all’apertura del capitale della società a uno o più soci privati.
Nelle scorse settimane tra Acciaierie d’Italia, che gestisce l’ex Ilva di Taranto, e la società controllata da Invitalia ci sono state scintille, con la prima che ha chiesto di gestire direttamente il miliardo di fondi PNRR, al posto di Dri d’Italia.
Senza entrare nel vivo delle polemiche, il dubbio principale riguarda i tempi di realizzazione dell’opera per cui è stanziato il miliardo in questione: il timore è che si sfori il target previsto dal PNRR, vale a dire giugno 2026, “per effetto di uno stallo che si estende in generale al piano industriale, al riassetto azionario e al cambio della governance di Acciaierie d’Italia”, come ricostruito da Il Sole 24 Ore.
Una scappatoia potrebbe essere offerta appunto dalla strategia dei vasi comunicanti e i tecnici del Governo sarebbero al lavoro. L’ipotesi sarebbe quindi quella di stralciare dal PNRR il progetto da 1 miliardo per la produzione di ferro preridotto mediante processo direct reduced iron (i fondi destinati a Dri d’Italia spa) e spostare l'investimento sul Fondo nazionale di sviluppo e coesione, che ha il pregio di non avere scadenze.
Non solo Taranto, dal PNRR potrebbe uscire anche l'alta velocità al Sud
Il trasloco dal PNRR alla Coesione potrebbe interessare anche un gruppo di progetti infrastrutturali di particolare rilievo, vale a dire la realizzazione dell'alta velocità.
Sfogliando la relazione sull’attuazione del PNRR verrebbe da pensare che il Governo intenda pescare tra i progetti che mostrano più difficoltà attuative, vale a dire l'alta velocità ferroviaria Brescia-Padova, che presenta tre "elementi di debolezza" su quattro. Eppure potrebbe andare in modo diverso e la ragione è da ricercarsi nelle regole d'ingaggio della Politica di coesione.
Il passaggio dei progetti dal PNRR alla Coesione, infatti, impone il rispetto di vincoli territoriali ancora più stringenti: se nel Piano nazionale di ripresa e resilienza vale la cosiddetta "regola del 40%", che prevede di destinare appunto il 40% delle risorse al Mezzogiorno, la Coesione ha regole ancora più rigide da questo punto di vista. E ciò vale tanto per i fondi strutturali 2021-27 quanto, soprattutto, per il Fondo Sviluppo e Coesione: sebbene abbia il pregio non prevedere una data scadenza per la messa a terra dei progetti, l'FSC prevede che l'80% delle risorse siano destinate al Mezzogiorno. Il doppio, quindi, di quanto previsto dal PNRR.
Tradotto in pratica, in base al meccanismo dei vasi comunicanti è più probabile che escano dal PNRR e traslochino sui fondi di coesione i progetti legati agli spostamenti ad alta velocità al Sud. Progetti che valgono miliardi (4,6 miliardi come indica Italia Domani) e che serviranno a realizzare 274 km di collegamenti ferroviari veloci sulla Salerno-Reggio Calabria e la Palermo-Catania, solo per citarne alcuni.
Foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay