Riforma Patto Stabilità: Roma chiede flessibilità e sostegno agli investimenti
Per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, pur superando alcuni limiti della governance economica attuale, la proposta della Commissione europea non basta a coniugare i percorsi di rientro del debito con il sostegno alla crescita. Per il titolare del MEF servono più flessibilità, strumenti di finanziamento comuni per gli investimenti strategici e un negoziato che proceda in parallelo con quello sul Green deal industrial plan e sul nuovo Quadro temporaneo per gli aiuti di Stato.
Paesi UE divisi sulla riforma del Patto di Stabilità
L'intervento di Giorgetti, in audizione il 2 marzo presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato, segue di un giorno quello della presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari, che - come il ministro - ha valutato positivamente il quadro generale di riforma della governance economica dell'Unione presentato dalla Commissione e in particolare la previsione di piani di aggiustamento pluriennali, la partecipazione dei 27 alla definizione dei rispettivi sentieri di aggiustamento di bilancio e la scelta di unico obiettivo annuale di policy, cioè l’indicatore della spesa primaria netta.
I due convergono però anche su alcuni rilievi: per entrambi c'è poca chiarezza sulla flessibilità concessa ai paesi UE in caso di cicli migliori, e soprattutto peggiori, del previsto oppure in caso di insediamento di un nuovo Parlamento, così come entrambi concordano sulla necessità di completare la riforma della governance progredendo verso la costituzione di una capacità di bilancio dell’area dell’euro.
Non è possibile rispondere alle sfide che l'Unione ha di fronte affidandosi solo alle possibilità delle finanze nazionali, ha spiegato Giorgetti: il dibattito sulla governance, quindi, dovrebbe andare di pari passo con il confronto su nuovi strumenti di finanziamento comuni e sulle nuove regole materia di aiuti di Stato. E a loro volta queste novità dovrebbero essere accompagnate da maggiore flessibilità sull'uso dei fondi europei, per mitigare le disparità di mezzi finanziari dei paesi membri.
Un punto su cui è intervenuto a margine del Consiglio Competitività del 2 marzo anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso: “la revisione delle norme sugli aiuti di Stato deve essere temporanea e selettiva in una logica di pacchetto con la piena flessibilità sull’uso delle risorse europee già stanziate con PNRR, RepowerEU e fondi di coesione, al fine di mantenere l’integrità del mercato interno”, ha dichiarato.
Per approfondire: Fondi europei, si cambia: le partite incrociate su PNRR, Coesione e aiuti di Stato
La posizione italiana nel negoziato sul Patto di stabilità
La proposta della Commissione europea, ha spiegato Giorgetti in audizione in Parlamento, vuole creare le condizioni per affrontare le sfide attuali dell'Unione, ridurre i debiti in modo realistico, graduale e duraturo e insieme promuovere investimenti per la crescita e le transizioni verde e digitale. A fronte di queste intenzioni positive e di alcune innovazioni che migliorano il quadro rispetto alla governance attuale, sono anche diversi i punti critici.
La proposta non modifica i parametri del limite del 3% per il rapporto deficit/Pil e del 70% per il rapporto debito/ Pil, ma prevede che ciascun paese adotti un piano, con un orizzonte di programmazione pluriennale, per l'aggiustamento del debito, con una maggiore titolarità nazionale delle regole di bilancio e un unico indicatore, incentrato sulla spesa primaria netta, su cui basare la sorveglianza fiscale.
Questi piani, concordati con la Commissione e approvati dal Consiglio, dovrebbero durare 4 anni, prolungabili a sette per facilitare la realizzazione di riforme particolarmente ambiziose, e sarebbero il perno della sorveglianza economica. Non sarebbe però possibile cambiarli nel periodo di riferimento, se non attivando le clausole di salvaguardia per eventi eccezionali a livello UE o dei singoli Stati membri, che comunque richiederebbero il consenso del Consiglio.
L'obiettivo della presidenza di turno svedese del Consiglio è raggiungere un accordo di massima sulla governance già nel mese di marzo. Per Giorgetti, invece, la proposta della Commissione è solo un punto di partenza.
Non è infatti ancora chiaro come funzionerebbe la verifica del rispetto dei piani concordati, quali criteri permetterebbero di attivare le clausole di salvaguardia e neanche quali voci rientrebbero nell'aggregato di spesa e quali ne sarebbero escluse. Si tratta di un tema chiave per capire quanto le nuove regole sarebbero maggiormente orientate a sostenere la crescita, perchè lo scomputo delle spese per investimenti strategici, ad esempio, per le transizione gemelle potrebbe cambiare di molto il quadro per paesi indebitati come l'Italia.
In generale, secondo Giorgetti, serve una riflessione a livello UE sulle sfide che dovremo affrontare nei prossimi anni. Richiederanno molti investimenti e “le modalità del loro finanziamento – ha sottolineato - non saranno neutrali”. “Se gli interventi fossero finanziati solo a livello nazionale potrebbe deriverne un'ulteriore frammentazione del mercato unico”, ha aggiunto.
Da qui, le due grandi richieste che, al di là dei singoli elementi tecnici della riforma, caratterizzano la posizione italiana: da una parte, che il dibattito sulla governance si svolga tenendo conto dei numerosi altri tavoli in corso e che il confronto avanzi di pari passo con quello sul Piano industriale per il Green deal e in particolare sulle proposte di allentamento delle regole sugli aiuti di Stato; dall'altro, che l'UE accentri il finanziamento degli investimenti che hanno una valenza strategica per l'intera Unione, completando la riforma della governance con la creazione di una capacità fiscale centralizzata o comunque con la predisposizione di uno strumento di finanziamento comune.
Giorgetti non lo cita, ma uno strumento in tale direzione è previsto già nel Green deal industral plan: sarebbe il Fondo di sovranità europeo, al momento il tassello più in bilico del pacchetto presentato da Bruxelles.