Codice appalti - dal Parlamento altra bocciatura

Anche le commissioni parlamentari, dopo il Consiglio di Stato e la Conferenza unificata, bocciano il Codice appalti.

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E’ questo il senso del parere che ieri pomeriggio è stato approvato dalle commissioni Ambiente della Camera e Lavori pubblici del Senato. Per la prima volta nella storia del Parlamento, due commissioni hanno approvato pareri fotocopia, con l’obiettivo di dare forza maggiore ai loro rilievi sul testo uscito dal Consiglio dei ministri. L’elenco delle correzioni auspicate è lunghissimo: sono un centinaio in tutto. Alcune su questioni minori, altre su temi strategici, come il subappalto, il massimo ribasso, le commissioni giudicatrici dell’Anac, la progettazione e il partenariato pubblico privato.

Riscrittura del Codice

Il parere licenziato dalle commissioni punta, di fatto, a una riscrittura del Codice per come è uscito dal Consiglio dei ministri. I due relatori, Stefano Esposito al Senato e Raffaella Mariani alla Camera, hanno messo a punto un centinaio di richieste, che arrivano al termine di un mese esatto di lavoro parlamentare particolarmente intenso. La prima notizia, allora, è che l’impianto generale del testo uscito da Palazzo Chigi ha lasciato molti dubbi a senatori e deputati.

Subappalto al 30%

Più nello specifico, su alcune questioni sono stati chiesti cambiamenti di grande sostanza. Una di queste è certamente il subappalto. Il Governo aveva ipotizzato una piena liberalizzazione del subappalto, non ponendo tetti massimi alla quota di lavori che le imprese aggiudicatarie possono girare a terzi. Una soluzione che è stata da subito molto criticata, soprattutto dai sindacati, perché obiettivamente riduce di molto i livelli di trasparenza del mercato. Il Parlamento, allora, chiede una marcia indietro, con il ripristino del tetto del 30%, attualmente in vigore.

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Revisione della progettazione

Una seconda retromarcia andrà innestata sulla progettazione. In questo caso diverse categorie professionali avevano sollevato dubbi su un lungo elenco di passaggi del testo. Così, le correzioni ipotizzate dalle commissioni non si contano. Su tutte, è stato abbattuto da 209mila a 100mila euro il tetto per fare ricorso alla trattativa privata nei servizi di progettazione. Ed è stata chiesta l’eliminazione del deposito della cauzione del 2% al momento dell’offerta.

Il massimo ribasso

Altro tema spinoso è il massimo ribasso. Il Codice, nella prima versione, ha fissato a un milione di euro l’asticella al di sotto della quale è possibile ricorrere al prezzo più basso come criterio di aggiudicazione. Troppo, secondo le commissioni, che vorrebbero scendere fino a 150mila euro. Tutto il resto sarà aggiudicato attraverso l’offerta economicamente più vantaggiosa. Anche su questo secondo criterio di aggiudicazione, però, servirebbe qualche miglioramento. Il limite al di sotto del quale le amministrazioni possono fare ricorso a commissioni interne, infatti, dovrebbe scendere da 5,2 milioni di euro fino ad appena 150mila euro.

Le correzioni sul PPP

Dubbi ci sono anche su concessioni e partenariato pubblico privato. Per il Parlamento, infatti, la quota massima di prezzo che le amministrazioni possono prevedere come remunerazione nel quadro dei PPP deve scendere dal 50 al 30% dell’importo totale del contratto, superando anche le indicazioni di Bruxelles. Si tratta di una prescrizione molto dura, perché rende più difficile raggiungere la soglia di equilibrio nei piani economico finanziari. Una spinta in più sarebbe necessaria anche sulle concessioni autostradali: le commissioni chiedono che sia sancito il divieto espresso di proroga dei contratti.

Verso il Cdm la prossima settimana

Insomma, dopo che il Consiglio di Stato la scorsa settimana, con un parere di 233 pagine, aveva posto una seria ipoteca sul prosieguo dei lavori sul Codice appalti, adesso le commissioni parlamentari fanno lo stesso. Va detto, comunque, che il Governo, al di là dell’opportunità politica, non è obbligato a seguire le indicazioni arrivate dai pareri. Dovrà, però, decidere cosa fare in tempi brevi. Il termine per l’entrata in vigore del provvedimento, infatti, è fissato al 18 aprile, tra dieci giorni esatti. La prossima settimana, allora, la versione finale del decreto andrà in Consiglio dei ministri, mettendo la parola fine, almeno per ora, a un lavoro durato un anno e mezzo.  

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