L’economia circolare può contrastare l’aumento dei prezzi e la carenza di materie prime
Il crescente aumento della domanda, il cambiamento climatico, la pandemia e la guerra in Ucraina hanno acceso i riflettori sulla crisi delle materie prime che, quando si trovano, hanno prezzi alle stelle. L’economia circolare potrebbe rappresentare una soluzione al problema ma ancora non decolla.
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A dirlo è il quarto rapporto nazionale sull’economia circolare, realizzato dal CEN (Circular Economy Network), la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in collaborazione con ENEA, presentato a Roma nel corso della quarta conferenza sull’economia circolare.
Quanto è circolare l’economia?
Ancora troppo poco. I dati globali dicono che tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità è sceso dal 9,1% all’8,6%. Negli ultimi cinque anni i consumi sono cresciuti di oltre l’8% (superando i 100 miliardi di tonnellate di materia prima utilizzata in un anno), a fronte di un incremento del riutilizzo di appena il 3% (da 8,4 a 8,65 miliardi di tonnellate): sprechiamo ancora una gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi.
Anche l’Italia non ha centrato l’obiettivo del disaccoppiamento tra crescita economica e uso delle risorse. Ciò significa che Pil e consumo di materiali viaggiano in parallelo: la ripresa del 2021 mostra come i due valori si stiano riportando sugli stessi livelli precedenti alla pandemia.
Eppure l’Italia è uno dei Paesi che “tiene”: nel quadro delle prime cinque economie europee si posiziona al primo posto per gli indicatori più importanti di circolarità, assieme alla Francia.
“La crisi climatica e gli eventi drammatici degli ultimi due anni, con l’impennata dei prezzi di molte materie prime, dimostrano che il tempo dell’attesa è finito. È arrivato il momento di far decollare senza ulteriori incertezze le politiche europee a sostegno dell’economia circolare”, ha dichiarato il presidente del Circular Economy Network Edo Ronchi presentando i dati del rapporto 2022. “Le nostre economie sono fragili perché per aspetti strategici dipendono da materie prime localizzate in larga parte in un ristretto gruppo di Paesi. È un nodo che rischia non solo di soffocare la ripresa ma di destabilizzare l’intera economia con una spirale inflattiva. Ed è qui che l’economia circolare può fare la differenza trovando all’interno del Paese le risorse che è sempre più costoso importare. L’obiettivo che l’Italia si deve porre è raggiungere il disaccoppiamento tra crescita e consumo di risorse”.
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Quanto vale l’economia circolare in Italia?
In media in Europa nel 2020 sono state consumate circa 13 tonnellate pro capite di materiali. Ma tra le cinque maggiori economie al centro dell’analisi del rapporto (Italia, Francia, Germania, Polonia e Spagna) le differenze sono consistenti: si va dalle 7,4 tonnellate per abitante dell’Italia alle 17,5 della Polonia. La Germania è a quota 13,4 tonnellate, la Francia a 8,1, la Spagna a 10,3. Nel 2020 per nessuno dei cinque Paesi europei esaminati si è registrato un incremento nella produttività delle risorse.
In Europa nel 2020, a parità di potere d’acquisto, per ogni kg di risorse consumate sono stati generati 2,1 euro di PIL. L’Italia è arrivata a 3,5 euro di PIL (il 60% in più rispetto alla media UE).
Il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo misura il contributo dei materiali riciclati alla domanda complessiva di materia. Nel 2020, ultimo anno per cui i dati sono disponibili, il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo nell’UE è stato pari al 12,8%. In Italia, sempre nello stesso anno, il valore ha raggiunto il 21,6%, secondo solamente a quello della Francia (22,2%) e di oltre 8 punti percentuali superiore a quello della Germania (13,4%). Spagna (11,2%) e Polonia (9,9%) occupano rispettivamente la quarta e la quinta posizione.
Come sarà la strategia nazionale per l'economia circolare?
Notizie positive per l’Italia anche sul fronte rifiuti. In Italia la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti ha raggiunto quasi il 68%: è il dato più elevato dell’Unione europea. Tra le cinque economie osservate, l’Italia è quella che al 2018 ha avviato a riciclo la quota maggiore di rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende): circa il 75%.
Per quanto riguarda i rifiuti urbani (il 10% dei rifiuti totali generati nell’Unione europea) l’obiettivo di riciclaggio è del 55% al 2025, del 60% al 2030 e del 65% al 2035. Nel 2020 nell’UE 27 è stato riciclato il 47,8% dei rifiuti urbani; in Italia il 54,4%. Sempre nel 2020 i rifiuti urbani avviati in discarica in tutta l’UE sono stati il 22,8%. Dopo la Germania, le migliori prestazioni sono quelle di Francia (18%) e Italia (20,1%).
Ci sono invece settori in cui l’Italia è in netta difficoltà. Uno è il consumo di suolo: nel 2018 nella UE a 27 Paesi risultava coperto da superficie artificiale il 4,2% del territorio. La Polonia era al 3,6%, la Spagna al 3,7%, la Francia al 5,6%, l’Italia al 7,1%, la Germania al 7,6 %. Anche per l’ecoinnovazione siamo agli ultimi posti: nel 2021 dal punto di vista degli investimenti in questo settore l’Italia appare al 13° posto nell’UE con un indice di 79. La Germania è a 154.
Infine la riparazione dei beni: in Italia nel 2019 oltre 23.000 aziende lavoravano alla riparazione di beni elettronici e di altri beni personali (vestiario, calzature, orologi, gioielli,
mobilia, ecc.). Siamo dietro alla Francia (oltre 33.700 imprese) e alla Spagna (poco più di 28.300). In questo settore abbiamo perso quasi 5.000 aziende (circa il 20%) rispetto al 2010.
Facendo le somme risulta che l’Italia e la Francia sono i Paesi che fanno registrare le migliori performance di circolarità, totalizzando 19 punti ciascuno. In seconda posizione, staccata di tre punti, si attesta la Spagna con 16 punti. Decisamente più contenuto è l’indice di performance di circolarità della Polonia e della Germania che ottengono, rispettivamente 12 e 11 punti.
Rapporto sull'economia circolare 2022