Dai rifiuti alla simbiosi industriale: così l’economia circolare può aiutare a risolvere la crisi energetica
Dal waste to energy al biometano fino alla simbiosi industriale. Una gestione virtuosa dei rifiuti non solo può contribuire a ridurre le emissioni di CO2, ma può rappresentare una risposta alla crisi energetica attuale. E può innescare un nuovo modello virtuoso di sviluppo industriale, anche grazie all'aiuto dei fondi europei.
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I nuovi equilibri geopolitici internazionali spingono al centro dell’agenda italiana il tema dell’autonomia energetica. Un tema che può essere affrontato non solo parlando di energia tout court, quindi del ruolo che le diverse fonti energetiche possono svolgere, ma anche inserendo in questo dibattito un settore spesso sottovalutato, vale a dire i rifiuti, e l’economia circolare.
Nel pieno di una tempesta perfetta dell’energia, infatti, l’economia circolare può contribuire a risolvere la crisi energetica. Non solo perché tale modello di sviluppo economico permette di risparmiare risorse e ridurre le emissioni inquinanti, ma anche perché dalla valorizzazione dei rifiuti è possibile creare energia e dare vita a nuovi modelli di sviluppo economico.
Waste-to-energy e biometano: dal rifiuto a risorsa
L’associazione europea che rappresenta i soggetti pubblici e privati impegnati nella gestione dei rifiuti (FEAD, European Waste Management Association) ha rivendicato di recente il ruolo dell’economia circolare nel contrastare la crisi energetica.
Secondo l’associazione, gli impianti waste-to-energy, come i termovalorizzatori, possono aiutare nell’affontare la crisi energetica fornendo elettricità e calore.
Un termovalorizzatore è un impianto industriale che brucia i rifiuti ma, a differenza dei più obsoleti inceneritori, così facendo produce calore che a sua volta genera energia. Oltre alla produzione di energia elettrica, ai termovalorizzatori si può associare un impianto cogenerazione per il teleriscaldamento.
Secondo l’associazione europea, gli impianti waste-to-energy forniscono elettricità a 18 milioni di cittadini europei e calore a 15,2.
Ma al di là dei tanto discussi termovalorizzatori c’è un’altra fonte green che permette di trasformare i rifiuti in energia, vale a dire il biometano.
Una fonte rinnovabile che in Italia ha un potenziale produttivo enorme, come testimoniano i dati diffusi recentemente da CIB - Consorzio Italiano Biogas.
Negli ultimi dieci anni lo sviluppo della produzione di biogas in agricoltura, per la produzione di energia elettrica rinnovabile, ha fatto registrare 4,5 miliardi di euro di investimenti, creando oltre 12.000 posti di lavoro stabili. E il solo settore del biogas in agricoltura, ad oggi, rappresenta l’84% del totale degli impianti italiani.
Anche guardando al futuro, il biometano in Italia presenta importanti prospettive di crescita: tra il 2020 e il 2021 si è assistito a un forte sviluppo degli impianti di produzione, che sono passati da 15 a 26 in un solo anno. Anche guardando da una prospettiva più ampia è chiara l’opportunità che abbiamo davanti: come riportato nello studio “Verso l’autonomia energetica italiana: acqua, vento, sole, rifiuti le nostre materie prime” realizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con A2A, l’Italia è seconda per numero di impianti di biogas nel 2020, con un totale di 1.665, di cui una parte può essere rapidamente convertita alla produzione di biometano tramite un processo di upgrading.
In generale, sottolinea ancora lo studio presentato quest'anno al Forum di Cernobbio, i rifiuti rappresentano la quarta materia prima autoctona in Italia, aggiungendosi alle altre rinnovabili (acqua, sole e vento). In un contesto di bassa autonomia energetica va da sé che una corretta gestione dei rifiuti può svolgere un ruolo di primissimo piano.
Secondo il modello sviluppato da The European House – Ambrosetti, l’Italia presenta oggi un’opportunità di recupero energetico da rifiuti (urbani e speciali) e fanghi di depurazione di oltre 8 milioni di tonnellate. Opportunità che può abilitare una generazione elettrica di oltre 7 TWh, pari a circa il 2% dell’attuale fabbisogno annuale di generazione elettrica italiana.
Nell’ottica di valorizzazione delle risorse autoctone (e nello specifico dei rifiuti) un contributo essenziale per il raggiungimento degli obiettivi di circolarità e autonomia energetica deriva proprio dallo sviluppo della filiera del biometano, un by-product derivante dai rifiuti e, in generale, dagli scarti generati dalla nostra economia.
Per citare lo studio, lo sviluppo di questa filiera permetterebbe di valorizzare risorse attualmente non sfruttate, e spesso conferite in discarica, per produrre gas attraverso una valorizzazione di economia circolare e abbattendo le emissioni grazie alla sostituzione del gas prodotto da fonti fossili.
Tra le forze trainanti per lo sviluppo di questa filiera figura anche REPowerEU, il piano europeo per rendere il Vecchio Continente indipendente dal gas russo, che fissa obiettivi particolarmente ambiziosi in merito alla produzione di biometano, che dovrebbe passare dai 32 TWh ai 341,9 entro il 2030, con un incremento del +968%.
Secondo il modello sviluppato da The European House – Ambrosetti, è possibile raggiungere una produzione complessiva di circa 6,3 miliardi di m3 di biometano. La quantità stimata producibile corrisponde ad un equivalente elettrico di 37,8 TWh di generazione, cioè circa il doppio della produzione nazionale di gas, l’8% del consumo nazionale di gas, il 9% delle importazioni di gas estero e il 22% delle importazioni di gas dalla Russia.
Importanti opportunità per lo sviluppo del biometano in Italia dovrebbero arrivare dal PNRR, che mette a disposizione fondi importanti per questa fonte di energia rinnovabile sia attraverso un bando di prossima pubblicazione che tramite nuovi incentivi per produrre biometano.
Simbiosi industriale: i rifiuti possono disinnescare l’inflazione?
Il legame tra inflazione ed economia circolare non è scontato né immediato ma c’è: la scarsità di materie prime, infatti, spinge l’inflazione. Una soluzione efficace è ricorrere al riciclaggio e alla simbiosi industriale per dare vita a distretti produttivi circolari.
I rifiuti, infatti, non solo possono essere “trasformati” in qualcosa di diverso, come l’energia, ma possono “cambiare pelle” e tramutarsi da scarto a risorsa da reintrodurre nel ciclo produttivo.
La simbiosi industriale è un buon esempio di tale approccio virtuoso alla produzione. Un modello non nuovo (uno dei principali case study di simbiosi industriale è l’eco-parco di Kalundborg in Danimarca, che risale agli anni '60) ma che, con un approccio strategico e di sistema adeguato, può adattarsi perfettamente alla realtà attuale e risolvere parte delle gravi problematiche che riguardano il Paese. Si tratta di una sorta di “metabolismo industriale” che permette di trasformare gli scarti di un’impresa nella materia prima di un’altra. Una soluzione win-win per le imprese che, da un punto di vista economico, permette alle aziende di evitare i costi di smaltimento e ottenere ulteriori ricavi dalla vendita dei sottoprodotti e, da un punto di vista ambientale, riduce il consumo di risorse e l'impatto sul territorio.
Una strategia industriale che, in questo periodo storico in cui i costi dello smaltimento dei rifiuti così come quelli delle materie prime hanno raggiunto livelli prima inimmaginabili, potrebbe rivelarsi un game changer.
Affinché tale modello di sviluppo industriale si diffonda maggiormente serve far dialogare le imprese, “fare rete” e investire in modo importante nella trasformazione 4.0 e nell’innovazione tecnologica degli impianti industriali.
ENEA si è fatta promotrice della costituzione della prima rete italiana di simbiosi industriale, SUN - Symbiosis Users Network, che attualmente riunisce 39 partner tra Università, istituzioni politiche, enti di ricerca, società private, reti tecnologiche ed enti locali. La rete SUN si propone come riferimento italiano per gli operatori che vogliono applicare la simbiosi industriale, a livello industriale, di ricerca e di territorio.
Di cosa ha bisogno l’economia circolare in Italia? Risponde Maria Letizia Nepi di Assoambiente
I fondi europei per l'economia circolare
Promuovere la transizione verso un'economia più circolare è da tempo un tema caro all'Unione europea. Oltre a una serie di strategie e misure normative - a partire dal piano d'azione europeo per l'economia circolare, parte integrante del Green Deal - Bruxelles prevede diversi strumenti di sostegno diretto a progetti per l’economia circolare.
In primis attraverso il programma LIFE per l’ambiente e il clima, che per il periodo 2021-2027 tara 5 miliardi e mezzo e che, nel periodo 2021-2024 stanzia quasi 700 milioni per sostenere progetti focalizzati sull’economia circolare.
Focus sulla circular economy anche in Horizon Europe, il programma dedicato alla ricerca e all'innovazione, che sostiene progetti innovativi e all’avanguardia per l’economia circolare applicata a diversi settori industriali, alla bioeconomia o bandi per sviluppare tecnologie in grado di abilitare la sostenibilità e l’economia circolare.
A livello nazionale merita di essere citato innanzitutto il PNRR, che all'economia circolare dedica non solo fondi (i primi bandi hanno raccolto richieste per oltre 12 miliardi di euro per progetti di investimento in infrastrutture a supporto della raccolta differenziata e in impianti di riciclo) ma anche riforme strutturali, dalla Strategia nazionale per l'economia circolare al Programma nazionale per la gestione dei rifiuti.
Foto di Anna Tarazevich