Svimez: PNRR e Coesione cruciali per crescita Mezzogiorno
La piena attuazione del PNRR permetterebbe di colmare il divario Nord-Sud. E parte degli interventi in ritardo del Recovery Plan potrebbero transitare sui fondi europei della Politica di Coesione. Fondi decisivi anche per sostenere i progetti di ricerca e innovazione delle imprese meridionali operanti nelle filiere produttive strategiche, in grado di generare lavoro di qualità e di contenere la fuga dei cervelli. È quanto emerge dalle anticipazioni del Rapporto Svimez 2023 "L'economia e la società del Mezzogiorno".
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Le anticipazioni del rapporto Svimez 2023 stimano per il PIL italiano una crescita del +1,1% nel 2023, con un aumento dello 0,9% nel Mezzogiorno, solo tre decimi di punto percentuale in meno rispetto al Centro-Nord (+1,2%).
Queste previsioni si basano sull’ipotesi di un utilizzo parziale delle risorse del PNRR. Con la piena efficienza del piano, il PIL potrebbe far segnare già nel 2023 una crescita superiore di circa 5 decimi al Sud (fino all’1,4%) e di circa 4 decimi al Centro-Nord. In seguito, sempre in questo scenario di utilizzo ottimale dei fondi europei, il contributo aggiuntivo del Recovery plan al Pil tenderebbe ad aumentare più al Sud, fino a chiudere il divario di crescita con il Nord nel 2025.
Complessivamente, nel triennio di previsione 2023-2025, gli investimenti dovrebbero crescere in maniera più pronunciata nel Mezzogiorno, grazie ai ritmi di crescita del 2024-2025 stimati al di sopra della media delle regioni centro-settentrionali. D’altra parte, la Svimez stima una composizione dell’espansione degli investimenti disomogenea tra le due macroaree: nel Mezzogiorno cresceranno più velocemente gli investimenti in costruzioni, nel Centro-Nord quelli in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto.
I dati del Rapporto Svimez "lasciano intendere grandi potenzialità e rischi per il Mezzogiorno, luci e ombre. Le potenzialità vanno accompagnate e i rischi evitati anche con interventi di riprogrammazione che stiamo portando avanti", ha affermato il ministro agli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR, Raffaele Fitto, intervenendo alla presentazione del rapporto.
Il Sud partecipa alla ripresa nazionale post-Covid
Nel 2022 l’economia italiana ha registrato un tasso di crescita di due decimi di punto superiore alla media europea (+3,7 contro +3,5%), confermandosi tra le più reattive economie europee nel post-Covid.
Confermando l’inedita reattività nella fase di ripresa post-Covid, il Mezzogiorno ha partecipato attivamente alla crescita nazionale anche nel 2022, registrando uno standard di crescita "europeo" (+3,5%). Complessivamente, nel biennio 2021-2022, l’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7% più che compensando la perdita del 2020 (-8,5%). Nel Centro-Nord, la crescita del 2021-2022 è stata leggermente superiore (+11%), ma ha fatto seguito a una maggiore flessione nel 2020 (-9,1%).
Va tuttavia considerato che il PIL del Mezzogiorno, nonostante la ripresa sostenuta, rimane ancora di oltre sette punti al di sotto del livello del 2008, da quando ha preso le mosse una lunga stagione di ampliamento dei divari territoriali.
PNRR, restano i divari territoriali su servizi per l'infanzia e scuole
La Svimez ha valutato il grado di aderenza del PNRR alle sue finalità di coesione territoriale studiando gli esiti della fase di allocazione delle risorse agli enti territoriali responsabili dell’attuazione delle linee di investimento relative ad asili nido e istruzione.
Per i 10,7 miliardi circa assegnati alle amministrazioni locali, si osserva una sostanziale assenza di correlazione tra livelli di spesa per studente e relativi indicatori di fabbisogno a livello provinciale. In altri termini, i territori non sono risultati beneficiari di risorse proporzionali ai rispettivi fabbisogni di investimento.
Sebbene la "quota Sud" sia stata rispettata, gli enti territoriali delle tre regioni meridionali più popolose – Sicilia, Campania e Puglia – hanno avuto accesso a risorse per studente per infrastrutture scolastiche inferiori alla media italiana, nonostante le pronunciate carenze nelle dotazioni infrastrutturali che le contraddistinguono.
La distribuzione provinciale delle risorse assegnate ai Comuni segnala significative differenze intra-regionali, soprattutto nelle regioni più grandi: in quasi tutte quelle meridionali, la provincia con il maggior fabbisogno di investimenti non coincide con quella che ha ricevuto le maggiori risorse per studente. Questa situazione caratterizza, in particolare, Napoli e Palermo che si trovano tra le ultime quindici province nella graduatoria per risorse per studente assegnate pur avendo, ad esempio nel caso delle mense, una percentuale bassissima di studenti che possono usufruirne (rispettivamente 5,7 e 4,7).
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La riprogrammazione del PNRR attraverso i fondi europei per la coesione
La terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR presentata al Parlamento a fine giugno affronta, per la prima volta, il tema dell’effettivo grado di implementazione degli interventi previsti nel Piano e della loro concreta possibilità di realizzazione in coerenza con le modalità, le dimensioni e le tempistiche concordate con la Commissione europea.
Nella Relazione, inoltre, sono evidenziati gli 83 interventi che presentano i maggiori elementi di debolezza e quindi il maggior rischio di fallimento rispetto ai target del PNRR. Il valore complessivo di questi 83 interventi ammonta a 95,5 miliardi euro, di cui circa 45 miliardi di euro riferibili alla cosiddetta "quota Sud".
A tal proposito, Svimez ha operato un’analisi ricognitiva per verificare la possibilità di trasferire alcuni interventi 'a rischio' del PNRR sui Programmi finanziati con i fondi europei per la coesione, al fine di poter prevedere la loro realizzazione entro il più ampio orizzonte temporale del 2029.
Dalla ricognizione risulta che, degli 83 interventi del PNRR caratterizzati da elementi di debolezza, 29 presentano una coerenza con gli obiettivi e i regolamenti dei fondi UE per la coesione e potrebbero, previo accordo con le Amministrazioni titolari, trovare una loro potenziale collocazione nell’ambito dell’attuale struttura dei Programmi FESR e FSE+. Tale collocazione riguarderebbe, nella stragrande maggioranza dei casi, i Programmi regionali. Il valore finanziario di questi interventi ammonta a oltre 8,2 miliardi di euro, di cui 4,1 rientranti nella "quota Sud" del PNRR.
L’analisi ricognitiva, inoltre, ha individuato ulteriori 17 interventi con elementi di debolezza (per oltre 22 miliardi di euro, di cui 10,5 miliardi afferenti alla quota Sud), per i quali, pur essendo rispettata la condizione di coerenza con gli obiettivi e i regolamenti dei Fondi europei per la coesione, il potenziale finanziamento attraverso il FESR richiederebbe una incisiva e non semplice revisione e riprogrammazione del Programmi regionali, soprattutto da parte delle Regioni più sviluppate.
Mercato del lavoro: cresce l'occupazione anche nel Mezzogiorno
Il Mezzogiorno ha fatto segnare nel periodo successivo allo shock del Covid una crescita occupazionale sostenuta, grazie alla quale è tornato su livelli di occupazione superiori a quelli osservati nel pre-pandemia (+22 mila occupati nella media del 2022 rispetto al 2019). D'altra parte, va rilevato che i posti di lavoro, al Sud, rimangono ancora al di sotto di circa 300 mila unità rispetto ai livelli raggiunti nel 2008.
Tra il primo trimestre del 2021 (durante il quale si è raggiunto il picco negativo dell’occupazione) e il primo trimestre del 2023 (l’ultimo per il quale sono disponibili i dati di interesse), l’occupazione è cresciuta a livello nazionale del +6,5% (+1,4 milioni di occupati) e del +7,7% nelle regioni del Mezzogiorno (+442 mila occupati). Per la prima volta dopo molti anni è cresciuta anche la componente a tempo indeterminato, soprattutto al Sud (+310 mila unità; +9% rispetto al +5,5% del Centro-Nord).
La crescita occupazionale si è concentrata nei settori delle costruzioni e dei servizi in tutto il Paese. Solo nel Centro-Nord l’industria in senso stretto ha contribuito alla ripresa dell’occupazione.
Nel Mezzogiorno, la crescita dell’occupazione nel terziario è stata trainata in particolare dalle attività di alloggio e ristorazione che, con circa 100 mila addetti aggiuntivi, spiegano circa un quarto della crescita complessiva. Al Sud sono cresciuti anche gli occupati nelle costruzioni, mentre si è rivelato modesto il contributo del settore industriale, soprattutto comparativamente alle perdite occupazionali sofferte dal settore negli anni passati.
La questione nazionale dei salari si aggrava al Sud Italia
La dinamica inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali in Italia. I più recenti dati di fonte OCSE evidenziano una generalizzata erosione del potere d’acquisto dei salari rispetto al pre-pandemia. In tale contesto, i salari reali italiani hanno subito una contrazione ancor più pronunciata (-7,5% contro -2,2% della media OCSE). In Italia, la perdita di potere d’acquisto ha interessato soprattutto il Mezzogiorno (-8,4%) per effetto della più sostenuta dinamica dei prezzi.
Nel Sud, il peso della componente del lavoro a termine rimane a livelli patologici, soprattutto se confrontato con il resto del Paese e le medie europee. La quota di occupati a termine sul totale dei dipendenti è pari al 22,9% al Sud contro il 14,7% del Centro-Nord. Soprattutto, nel Mezzogiorno si resta precari più a lungo: quasi un lavoratore meridionale a termine su quattro è occupato a termine da più di cinque anni, quasi il doppio rispetto al resto del Paese.
Il tema del lavoro povero, aggravatosi per effetto della pressione inflazionistica ancora in corso, ha riportato al centro del dibattito politico la proposta di introduzione di un salario minimo legale.
In base alle stime Svimez risultano circa 3 milioni di lavoratori che percepiscono una retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi in Italia, pari al 17,2% del totale dei lavoratori dipendenti (esclusa la Pubblica Amministrazione): circa 1 milione nel Mezzogiorno (pari al 25,1% degli occupati dipendenti) e circa 2 milioni nelle regioni del Centro-Nord (15,9% degli occupati dipendenti).
Fuga dei cervelli e carenza di competenze STEM
Tra il 2001 e il 2021 circa 460.000 laureati si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord, per una perdita netta di circa 300.000 laureati nell’area.
Tra il 2001 e il 2021 la quota di emigrati meridionali con elevate competenze (in possesso di laurea o titolo di studio superiore) si è più che triplicata, da circa il 9 a oltre il 34%. La SVIMEZ stima che nel 2022, per la prima volta nella storia delle migrazioni interne italiane, la quota di laureati sul totale degli emigrati meridionali supererà quelle relative a titoli di studio inferiori.
Dei 460.000 laureati che si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord tra il 2001 e il 2021, si stima che circa 130.000 erano in possesso di una laurea STEM. Nel solo 2021 circa 9.000 laureati che hanno lasciato il Mezzogiorno (su un totale di 27.000) possedevano competenze STEM: un terzo dell’investimento meridionale in competenze scientifiche e tecnologiche si è “disperso” a favore dei sistemi produttivi diversi da quelli insediati al Sud.
Industria nel Mezzogiorno: le filiere strategiche
Nel Mezzogiorno opera un gruppo "di testa" di imprese posizionate sui vari segmenti delle catene del valore "strategiche", che si contraddistinguono per performance economiche particolarmente soddisfacenti. Si tratta di imprese che soddisfano i requisiti della "Smart Specialization Strategy" (S3), condizione abilitante da rispettare a livello di Paese per l’accesso ai fondi FESR che finanziano progetti in ricerca e innovazione.
Un terzo delle imprese meridionali con oltre 10 addetti (circa 90 mila su 265 mila imprese) sono S3 (dati ISTAT, 2018-2019). Le principali filiere di appartenenza interessano, in termini di quota di valore aggiunto sul totale delle imprese S3 meridionali, il comparto "energia e ambiente" (13%), l’agroalimentare (10%), la chimica verde e il "made in Italy" (con quote pari in entrambi i casi al 7%) e l’aerospazio (5,8%). Complessivamente, le imprese S3 meridionali assorbono circa il 44% degli addetti e il 53% del valore aggiunto dell’area; sono responsabili del 78% dell’export e rappresentano la maggioranza delle imprese che investono in R&S (76%), digitalizzazione (71%) e internazionalizzazione (83%), oltre ad essere più aperte a collaborazioni esterne: il 66% delle imprese che collaborano con le Università è S3.
Ampliare e integrare le filiere produttive strategiche a elevato contenuto di innovazione nel Mezzogiorno significa contrastare fattivamente la fuga di competenze, trattenendo e attirando lavoratori altamente qualificati per realizzare processi di innovazione, ammodernamento produttivo e internazionalizzazione.
Per questa via si creano posti di lavoro "di qualità" e a maggiore retribuzione. Questa operazione necessita di un quadro di policy sistemico, organico e prospettico volto a sostenere e qualificare l’offerta produttiva del Mezzogiorno anche mediante strumenti di politica industriale complementari e selettivi: Contratti di sviluppo (CdS), Zone Economiche Speciali (ZES), Fondi per l’internazionalizzazione, Accordi di Innovazione.