Fondi UE, l'Italia deve spendere 38 miliardi entro il 2023
A fine 2019 l'Italia ha speso circa un terzo delle risorse programmate nell'ambito dei Programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali europei 2014-2020. Da spendere ci sono però ancora 38 miliardi di euro, in un contesto reso più complicato dal rallentamento dell'economia per il Coronavirus.
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In audizione in Commissione Politiche europee, alla Camera, il direttore generale dell’Agenzia per la coesione territoriale Massimo Sabatini, ha fatto il punto sullo stato di attuazione dei 51 Programmi operativi cofinanziati dai fondi europei della Politica di Coesione e sugli interventi messi in campo per contrastare l’emergenza Covid 2019.
“La riprogrammazione dei fondi strutturali 2014-2020 in funzione anticrisi, l’utilizzo rapido ed efficace delle risorse aggiuntive di REACT-EU, la sinergica programmazione del Fondo Sviluppo e Coesione e l’avvio della nuova programmazione 2021-2027”, ha detto, sono decisivi per rafforzare gli investimenti pubblici e privati in questo momento di crisi.
4,2 miliardi di fondi UE da spendere entro fine anno
Alla fine dello scorso anno il livello di spesa complessiva si è attestato al 28,5% delle risorse programmate, che ammontano a 53,2 miliardi di euro, di cui 33,6 miliardi di euro a titolo di cofinanziamento del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) e del Fondo Sociale Europeo (FSE) e i restanti 19,6 miliardi di euro a titolo di cofinanziamento nazionale. In valore assoluto si tratta di una spesa certificata pari 15,2 miliardi di euro (di cui 9,6 miliardi di euro di fondi UE), con un incremento di 5,4 miliardi di euro rispetto alla spesa certificata al 31 dicembre 2018.
A livello territoriale la spesa certificata ha raggiunto il 32,1% nelle Regioni più sviluppate, mentre si è fermata al 26% in quelle del Mezzogiorno. Tutti i Programmi operativi hanno superato le soglie di spesa previste in considerazione della regola del Disimpegno automatico (N+3), ma i POR delle Regioni meno sviluppate, che sono anche i più corposi, devono ancora spendere importi significativi.
Per raggiungere il target di fino anno, ha spiegato Sabatini, restano da certificare circa 4,2 miliardi di euro, di cui oltre 2,6 di quota UE. Mentre da qui alla fine del periodo di spesa, nel 2023, l'Italia dovrà spendere complessivamente 38 miliardi di euro. Uno sforzo da non sottovalutare, ha sottolineato il direttore dell'Agenzia, soprattutto alla luce del rallentamento delle attività economiche dovuto all’epidemia di Covid-19.
Quanto allo stato dei pagamenti, il monitoraggio del sistema Open Data dell'UE, che include tutti i fondi strutturali e di investimento europei, quindi anche il FEASR per l'agricoltura e il FEAMP per la pesca, colloca l’Italia al 35%, al di sotto della media UE del 41%. Limitandosi al FESR e al FSE, i pagamenti si attestano rispettivamente al 31% e al 32%, contro una media UE del 35% e del 39%.
Pesano i ritardi del sistema degli investimenti pubblici
Se è vero che l’attuale ciclo di programmazione è partito in ritardo per tutti i Paesi europei, dato che i regolamenti UE sono stati approvati solo a fine 2013, e che le carenze progettuali delle amministrazioni pubbliche, soprattutto al Sud, hanno condizionato i tempi della Politica di Coesione, per Sabatini quello che si registra sul fronte dei fondi UE è coerente con una debolezza generale del sistema degli investimenti pubblici.
Secondo i dati dell’Agenzia, in Italia un’opera pubblica impiega in media 4,4 anni per essere realizzata, con 2 anni e mezzo per la sola progettazione e i “tempi di attraversamento” tra la fine di una fase procedurale e l’inizio di quella successiva che assorbono circa la metà della durata complessiva.
Servono quindi interventi di accompagnamento alla progettazione, come nel caso della “Task Force edilizia scolastica” che nel corso del 2019 ha permesso di eseguire circa 3.800 sopralluoghi presso 2.500 enti diversi, presidiando la realizzazione di interventi per oltre 4,5 miliardi di euro.
Le prime misure UE per fronteggiare il Coronavirus
Se la pandemia rappresenta un ostacolo al raggiungimento dei target UE, ha spiegato Sabatini, è anche vero che per rispondere alla situazione di crisi la Commissione ha reso più flessibili le regole di utilizzo dei fondi europei così da rendere disponibile liquidità aggiuntiva a favore dei beneficiari dei finanziamenti.
Tra queste, ha ricordato il direttore dell'Agenzia:
- la rinuncia ai possibili recuperi sulle anticipazioni erogate, in sede di accettazione dei conti annuali;
- il cofinanziamento dei fondi strutturali al 100% delle spese certificate nell’anno contabile 2020-2021;
- l'estensione dell’ammissibilità delle spese per il sostegno dei servizi sanitari, volte all’acquisto di materiali e apparecchiature medicali;
- il nuovo Quadro Temporaneo sugli aiuti di Stato;
- la possibilità di trasferire le risorse fra FESR e FSE e fra categorie di regioni;
- la rimozione dei vincoli di concentrazione tematica per favorire la riprogrammazione dei fondi;
- il superamento dell’obbligo di coerenza con l’Accordo di Partenariato;
- la deroga al requisito della valutazione ex ante per l’avvio di nuovi strumenti finanziari.
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Le novità per le Politica di Coesione
A queste prime misure, adottate tra marzo e aprile, ha fatto seguito il 27 maggio il pacchetto di proposte presentato dalla presidente della commissione UE Ursula Von Der Leyen: 1.850 miliardi di euro tra il Recovery fund Next Generation EU e bilancio UE 2021-2027, con novità significative per la Politica di Coesione.
Da una parte, infatti, c'è l'idea di confermare la flessibilità nel trasferimento di risorse fra fondi e di permettere anche il completamento dei progetti del periodo 2014-2020. Dall'altra, Bruxelles ha proposto di destinare 55 miliardi di euro (58,3 miliardi di euro a prezzi correnti) aggiuntivi alla Politica di Coesione 2014-2020 tramite lo strumento React EU. Si tratta di risorse che verranno ripartite fra gli Stati Membri in base alla gravità della crisi e che potranno essere utilizzate nel quadro dei Programmi operativi esistenti o presentando a Bruxelles un Programma ad hoc.
> Per approfondire: Coronavirus: da REACT-EU 55 miliardi per la Politica di Coesione
Le iniziative nazionali per accelerare la spesa
Infine, una serie di misure sono state adottate anche a livello nazionale per sfruttare i fondi strutturali nel contesto della pandemia, a partire dal decreto Cura Italia che permette alle Amministrazioni pubbliche titolari di Programmi operativi di destinare le risorse disponibili alla realizzazione di interventi finalizzati a fronteggiare l’emergenza Covid-19.
In più, con il decreto Rilancio, si è stabilito che, in via eccezionale, le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), anche provenienti da diversi cicli di programmazione, possono essere destinate ad ogni tipologia di intervento a carattere nazionale, regionale o locale connessa a fronteggiare l'emergenza sanitaria, economica e sociale conseguente alla pandemia, coerentemente con le riprogrammazioni dei Programmi a valere su fondi europei.
Per accelerare l'utilizzo dei fondi UE, il decreto Rilancio promuove anche il ricorso al cofinanziamento dell’UE al 100% degli interventi e permette di trasferire le risorse del cofinanziamento nazionale liberate dai PON e dai POR sui Programmi operativi complementari (POC) finanziati con risorse nazionali. In questo modo, ha spiegato Sabatini, i POC permettono di proseguire gli investimenti pubblici che non possono essere più finanziati nell’ambito dei Programmi cofinanziati dai fondi strutturali per fare posto alle spese emergenziali.
Sono le singoli amministrazioni responsabili dei Programmi a valutare autonomamente l’entità della riprogrammazione in base a fabbisogni e tempi di realizzazione degli interventi. "Ma è una opportunità che non va sprecata - ha avvertito Sabatini - per rafforzare l’azione di contrasto all’emergenza e favorire al contempo l’assorbimento dei fondi, anche a beneficio della finanza pubblica".
> Per approfondire: Tutte le misure del Decreto Rilancio e il testo ufficiale
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