Ventotene o Visegrad? Come negoziare il bilancio UE
Mentre ci affanniamo a ricordare i meriti storici dell’Europa di Ventotene, nel negoziato sul bilancio UE post 2020 non vorremmo prendere lezioni da quella di Visegrad. E' il monito di Francesco Tufarelli in un articolo della rivista "Gli Stati Uniti d'Europa", qui pubblicato su gentile concessione. Il numero è intitolato “Federalismo o Barbarie”, come l'appello lanciato dalla rivista per una iniziativa federalista europea.
> La proposta della Commissione per il bilancio UE 2021-2027
“Ce lo chiede l’Europa”. E’ questo l’inciso con cui una generazione di politici ha “maldestramente” nascosto diverse battaglie perse, o spesso addirittura non combattute sui tavoli di Bruxelles.
A parte la basica considerazione secondo la quale “l’Europa siamo noi” e lo siamo da sempre, avendo fatto parte dei paesi fondatori, è opportuno chiarire come la strategia “di caricare” su indefiniti e imprecisati colpevoli europei le lacune nazionali, oggi più di ieri, appare difficilmente percorribile.
La politica di coesione, nei diversi cicli di programmazione e nelle sue diverse declinazioni, ha costituito l’ideale obiettivo per imputare colpe non sue alle pur “burocratizzatissime” direzioni generali della Commissione europea. Dagli anni in cui i soldi ottenuti superavano i contributi, fino all’attuale situazione di contributore netto, deficienze e falle del sistema italico sono state ascritte a problemi dell’Unione, senza per altro una precisa individuazione di responsabilità.
Nella scorsa programmazione il nostro Paese, al netto delle valutazioni politiche, difficili comunque da esprimere su un governo dichiaratamente tecnico, ha potuto disporre di una squadra di straordinario valore in fase di negoziato e programmazione. Mario Monti, Enzo Moavero Milanesi, Fabrizio Barca, Vittorio Grilli, Mario Catania e Francesco Profumo hanno costituito una “spettacolare falange”, dall’elevatissimo livello tecnico, che ha assicurato al nostro Paese una più che dignitosa porzione di fondi, nonostante le poco gloriose vicende legate alla certificazione e alla spesa effettiva.
L’idea peraltro di introdurre il criterio della “better spending” e di costituire un terzo tavolo ad hoc, che inizialmente appariva penalizzante per il nostro Paese, ha consentito di ridurre le aspettative dei Paesi che, storici destinatari di sconti, avevano tentato di incidere negativamente sulla posizione italiana. La minaccia di verificare la persistente fondatezza di tali sconti, evocata dal Governo italiano, ha costituito un potente deterrente nei confronti degli “eterni scontati”.
Oggi la situazione appare ancor più complessa e la spesa continua ad essere un problema. Tuttavia prima di iniziare “a maledire” le complicazioni europee e le lungaggini del sistema comunitario, sarebbe probabilmente importante “stringere i bulloni” della nostra organizzazione nazionale, verificando chi fa cosa, quando, perché e come.
Dipartimento o Agenzia? Regioni o coordinamento nazionale? Sono decisioni da assumere in maniera veloce e decisa, preferibilmente rispettandole, ed evitando di dilatare i tempi andando a creare un sistema di controlli e veti incrociati che blocca la nostra spesa ben prima dei controlli europei.
Invece di intrattenerci ipotizzando apocalittici scenari post Brexit o dilungarci su discussioni di teoria generale di governo dell’economia, è importante che si abbia una visione completa della spesa concernente la programmazione in corso, coordinando i diversi progetti e i proponenti tra di loro, allineando in maniera coerente le diverse scadenze.
L’alternanza dei governi, i cambi ai vertici delle organizzazioni, le modifiche strutturali di direzioni generali e agenzie, non possono in alcun modo essere evocate come scusanti di una politica della coesione “a singhiozzo”. A tutti i ventisette Paesi dell’Unione è capitato di incorrere in “cambi di governo in corsa” ma pochissimi di loro hanno consentito che tali eventi incidessero sulla capacità di spesa e di utilizzazione dei fondi europei.
Occorre essere chiari su diversi elementi, il principale dei quali è costituito dalla necessità di mettere a disposizione in maniera chiara tutti i fondi necessari ai cofinanziamenti, avendo la coscienza che ogni euro rimosso incide proporzionalmente sulla quota europea, anche se i risultati di tale intervento si rendono manifesti solo dopo diversi anni. La programmazione europea dispiega i suoi effetti in cicli pluriennali e non può essere dunque asservita a logiche di “riassetto quotidiano dei conti”.
Proprio mentre ci affanniamo a ricordare i meriti storici dell’Europa di Ventotene non vorremmo, nella materia in esame, prendere lezioni da quella di Visegrad.