Europa divisa sulla sostenibilita' dei biocarburanti
I biocarburanti, cioè i combustibili ottenuti da biomasse, come grano, mais e canna da zucchero, si candidano come alternativa sostenibile ai combustibili fossili, utili per ridurre le emissioni di carbonio e quindi contrastare il cambiamento climatico. Produrre biocarburanti comporta, però, anche sottrarre delle terre agricole al loro uso e deforestare delle aree verdi, cioè la controversa questione del "cambiamento indiretto della destinazione dei terreni" (ILUC).
Attraverso lo sfruttamento di terreno coltivabile per la produzione di biomasse, infatti, l'obiettivo della riduzione delle emissioni di CO2 entra in cortocircuito con quello di contrastare la fame nel mondo e con la difesa della biodiversità.
Tra l'altro i paesi più ricchi non dispongono di terreno sufficiente per produrre i biocombustibili che gli occorrono, per la scarsità di terreno quanto per la grande quantità di veicoli. Così gli stati europei, alle prese con i proprio obiettivi ambientali, tendono a spostare la produzione di biomasse nei paesi meno sviluppati, aggravando il problema alimentare, facendo aumentare il costo degli alimenti, sottraendo la terra alle popolazioni e agli agricoltori locali e disboscando vaste aree forestali.
In secondo luogo, alcune ricerche mettono in discussione la validità dei biocarburanti anche rispetto all'obiettivo della riduzione dei gas ad effetto serra: sebbene nella combustione siano effettivamente meno inquinanti, bisogna considerare l'inquinamento provocato dalla produzione e dal trasporto. Il calcolo finale dei costi e benefici non è necessariamente positivo per l'ambiente.
Un recente rapporto della North Energy commissionato dalla Ong Action Aid e dalla Royal Society per la protezione degli uccelli ha sostenuto, ad esempio, che l'acquisizione di circa 50mila ettari di bosco e macchia in Kenya per costruire un impianto di biodiesel, qualora portata a termine, condurrebbe allo sfratto di 20mila abitanti ed emetterebbe tra 2,5 e 6 volte più gas serra rispetto ai combustibili fossili.
Forte delle conclusioni analoghe di circa 15 studi sull'argomento, la Commissione europea si è espressa recentemente affermando che il problema della deforestazione/cambiamento d'uso dei terreni riduce il risparmio di carbonio che ci si può attendere dai biocarburanti, scatenando le reazioni delle associazioni del settore, che hanno denunciato: "l'ILUC è un problema troppo complesso per qualsiasi correzione politica veloce".
L'incertezza politica sta ovviamente mettendo a rischio gli investimenti e molti sperano che nella revisione della normativa UE in materia prevista per il mese di luglio il giudizio sia più favorevole alla produzione di biocarburanti.
Intanto vi è una soluzione, se non proprio vicina, per lo meno all'orizzonte: sono i "biocarburanti di seconda generazione", ricavabili ad esempio dalle alghe o dalla paglia, che secondo indiscrezioni, potrebbero essere i beneficiari della nuova strategia UE.