Nel futuro immediato di Corrado Passera non c’è la politica
In un’intervista in esclusiva al Financial Times il Ceo di Intesa San Paolo smentisce le voci di una sua possibile entrata in campo nell’agone politico italiano, ma non nega di voler influenzare il Bel Paese con le sue scelte nel mondo della finanza. Cenando a Place Vendôme nell’esclusivo ristorante dell’hotel Ritz, tra un flûte di champagne e un morso di aragosta, Corrado Passera rivela al reporter di FT di vivere un vero e proprio momento magico, sia sul piano della vita privata che su quello professionale.
Padre per la terza volta alla non più giovane età di cinquantasei anni, Passera è saldo alla guida dell'importante gruppo bancario italiano. Ma soprattutto il “banchiere che ama la bella vita, più vicino al centro-sinistra che alla destra” – così lo dipinge l’autorevole quotidiano londinese - sembra restare fermamente in sella, al contrario del suo ex rivale, Alessandro Profumo, disarcionato rocambolescamente dai vertici di Unicredit e di altri grandi “patrons de banque” cui è stato dato in benservito, vedi Eric Daniels (Lloyds Banking Group), John Varley (Barclays) e Etienne Pflimlin (già alla guida di Crédit Mutuel).
“Gli ho rivelato il mio disappunto di fronte a un articolo di un giornale italiano della scorsa estate in cui si affermava che conviene diventare un banchiere, piuttosto che un insegnante, per via dello stipendio” è la provocazione del giornalista. “Credo che sia folle e sbagliato – replica Passera – ma non è soltanto un problema italiano. E’ una tendenza comune quella di trasformare in eroi coloro che raggiungono dei risultati finanziari in poco tempo, che smantellano piuttosto che creare qualcosa”. Membro dell’international advisor board della Wharton School presso l’Università della Pennsylvania, dove ha conseguito il suo MBA, Passera è critico nei confronti del sistema scolastico italiano, che poco si adatta alla realtà in cui viviamo. Tra le altre cose, Passera propone un prolungamento della scuola dell’obbligo. “Ma non siamo qui per discutere di scuola e politica” taglia corto il manager.
Passera ci tiene a mettere in luce il suo record: “Non abbiamo subprime. Siamo l’unica grande banca passata attraverso la crisi senza chiedere finanziamenti agli azionisti o al governo. Il nostro capitale si trova ai livelli ante-crisi. Fortunatamente abbiamo compreso molto presto che un debito eccessivo, troppi derivati e un’eccessiva diversificazione non potevano essere uno strumento per la creazione di valore”. Continua il banchiere comasco: “Abbiamo deciso di essere grandi, ma non enormi, di diversificarci ma non troppo e di mantenere un profilo di rischio più basso. Il risultato è che non abbiamo fatto i fuochi d’artificio, né con perdite né con profitti stellari”. Ciò non gli ha impedito di riportare nel primo semestre ben 1,7 miliardi di euro di profitti (il 6,4 % in più rispetto allo stesso periodo del 2009).
Passera ama definirsi un banchiere dell’economia reale. “Non siamo una banca di trading impegnata in attività inutili per l’economia e per la società. Durante la crisi non abbiamo mai tagliato il credito. Il nostro ruolo è quello di contribuire a creare occupazione, favorendo e finanziando progetti a supporto delle pmi e il social housing”.
Il numero uno di Banca Intesa è uno dei rari banchieri a invocare una più stringente regolazione e un commercio più trasparente dei derivati. Nella sua carriera Passera ha inanellato un’esperienza dietro l’altra – non tutte così indimenticabili - da McKinsey a Olivetti, fino a Poste Italiane e ha affiancato due “grand commis” come Carlo De Benedetti e Giovanni Bazoli (definito da Ft “il papa della finanza italiana”).
Al report che gli chiede a quale “salotto buono” appartenga, Passera risponde di non conoscere l’indirizzo. Quello che non dice è che di questi tempi, per molti in Italia, quell’indirizzo coincide con il suo ufficio a Milano.