Docenti, rettori e bilanci nel mirino della riforma dell'Universita'
La notizia è che i costi della riforma verranno in parte sostenuti dai proventi dello scudo fiscale: “Le risorse economiche saranno disposte con la Finanziaria – ha affermato Tremonti a Palazzo Chigi - ed è prioritaria la destinazione alle università dei fondi raccolti con il rimpatrio dei capitali”.
Il provvedimento è stato caratterizzato da una lunga gestazione e un percorso di concertazione con la conferenza dei Rettori (Crui), il Consiglio degli studenti universitari (Cnsu) e il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnsvu).
Il fulcro della riforma riguarda i concorsi per accedere alla carriera universitaria e cioè le modalità con cui si diventa professori e ricercatori. Il meccanismo prescelto prevede l’abilitazione nazionale a numero aperto, con la successiva chiamata dei singoli atenei. In questo modo è comunque lasciata una certa discrezionalità alle università, che allo stesso tempo però vengono responsabilizzate. Per la prima volta le commissioni di abilitazione saranno aperte ad autorevoli membri esterni, anche stranieri. L'abilitazione ha durata quadriennale ed è distinta per le funzioni di professore di prima e di seconda fascia. L’abilitazione attesta la qualificazione scientifica che costituisce il requisito necessario per l’accesso alla prima e alla seconda fascia.
Sempre sul fronte della docenza, i professori dovranno garantire un pacchetto annuo 1500 ore. Di queste, 350 devono essere comprensive sia della didattica, che del ricevimento degli studenti. Le diverse attività svolte devono essere certificate. Per quanto riguarda le progressioni di carriera, gli scatti di stipendio aumenteranno ogni tre anni (non più due) e non automaticamente, ma previa valutazione delle produzioni scientifiche e del merito.
Le università, nell'ambito delle disponibilità di bilancio, possono conferire assegni per lo svolgimento di attività di ricerca di durata compresa tra uno e tre anni, rinnovabili una sola volta.
L’altra grande rivoluzione riguarda la governance degli atenei. Le Università avranno sei mesi per rivedere i loro statuti ed è offerta loro la possibilità di federarsi o di fondersi con altre strutture con l’obiettivo di eliminare quelle sedi distaccate che non riescono ad autoalimentarsi, ma anche di limitare i corsi di laurea inutili. E’ prevista una netta distinzione tra senato accademico e consiglio di amministrazione, che vedranno diminuire entrambi il numero dei loro componenti. Per il senato è fissato un tetto di 35 membri, mentre il Cda potrà averne al massimo undici. L’altro obiettivo della riforma è quello di garantire una maggiore trasparenza e chiarezza nella contabilità degli atenei. A tale proposito il ministero emanerà appositi regolamenti che andranno a disciplinare la i bilanci di ogni ateneo. Verrà inoltre stabilito per tutti un limite all’indebitamento per evitare i dissesti finanziari
Giro di vite per i rettori: il loro mandato potrà durare al massimo otto anni per favorire un fisiologico ricambio generazionale. La norma è stata pensata per quegli atenei dove il “Magnifico” governa da più di vent’anni. Obbligatoria anche l’adozione di un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interesse legati alle parentele e per favorire la trasparenza.
Il ddl, almeno nelle intenzioni, vuole conferire un maggior potere decisionale alle rappresentanze studentesche. Il loro peso sarà rafforzato garantendo per legge la loro partecipazione ad una commissione paritetica che sia in grado di valutare l’attivazione o la soppressione dei corsi di laurea. Per la prima volta nella storia dell’università italiana, poi, gli studenti avranno diritto ad esprimere per iscritto una valutazione sull’operato dei docenti. Viene previsto, infine, di un fondo speciale per il merito che possa incoraggiare eccellenza e merito dei migliori studenti tramite borse di studio e garanzie sui prestiti d’onore.
(Alessandra Flora)