Bulgaria: molteplici sfide per un paese a piu' velocita'
Vent’anni sono pochi per sterzare e cambiare di corsa direzione, uscire dalla sfera d’influenza russa a cui la Bulgaria è stata fortemente legata sin dal dopoguerra - a differenza della Romania e dell’ex repubblica Jugoslava, anch’essi paesi dell’area comunista - ed entrare prima nella Nato, poi nell’Unione a 27. Vent’anni passati un lampo, fatti di duri sacrifici, patiti soprattutto nel primi anni Novanta, quando nei supermercati la merce stentava ad arrivare, l’inflazione sgretolava i salari e si è passati da una oligarchia con le sembianze del regime comunista ad una democrazia aperta al capitalismo e agli investitori stranieri.
A differenza dei giovani europei, dai sogni e dalle idee “decotte” dalla troppe certezze, i coetanei bulgari non hanno paura di emigrare, di migliorare ed un incredibile motore li spinge a rimboccarsi le maniche. Tuttavia, a differenza di quello romeno, fratello distante e indifferente del nord, a cui è spesso frettolosamente accumunato a causa della prossimità geografica, il popolo bulgaro è più stanziale e legato alla sua terra. Sofia, capitale soltanto da 150 anni, è una città relativamente piccola e moderna, il cui centro storico trasuda i cinquecento anni di dominazione ottomana. La presenza degli investitori stranieri è tangibile, soprattutto quella del settore bancario, le cui insegne al neon dominano i grattacieli. In Bulgaria il colosso Unicredit ha investito fondando la Bulbank, con la stessa strategia messa in atto in Ucraina e la Polonia, gettando anche qui le basi di un’iniziale espansione dei consumi ed ora, inevitabilmente, una restrizione creditizia. Intendiamoci però: la Bulgaria presenta diversi fattori di certezza rispetto ad altri Paesi dell’area: un costante surplus di bilancio e relativa stabilità dei conti pubblici. In più, l’impatto del credit crunch potrebbe anche essere positivo in quanto contribuirà ad una riduzione dello squilibrio di bilancia commerciale.
Due anni fa le aspettative erano enormi, mentre le ultime previsioni di Unicredit affermano che la Bulgaria sta entrando in una recessione che durerà come minimo due anni. Un report di Bulbank stima che tra il 2009 e il 2010 il tasso di crescita scenderà dal 3 all’1%. Gli investimenti stranieri, come altrove, hanno già subìto una battuta d’arresto, passando dal 16,7% del Pil registrato nel 2008 al 7,5% nel 2009. Altro grave segnale è rappresentato dall’aumento del tasso di disoccupazione, che nel 2010 dovrebbe attestarsi al 12%. Uno dei pochi effetti positivi di questo rallentamento sarà il calo dell’inflazione, che passerà dal 3,5% del 2009 all’1,5 % nel 2010. In sintesi il gruppo Unicredit ha dovuto ridimensionare i pronostici per tutta la regione orientale: dalla Romania, alla Bosnia-Erzegovina, dalla Croazia alla Slovenia.
In questi ultimi anni colossi italiani come Miroglio, Italcementi ed Enel hanno portato in Bulgaria grandi investimenti. Il polo industriale e commerciale di Plovdiv – storica città ad un’ora di auto da Sofia, fondata da Filippo il Macedone ed in seguito avamposto della Tracia, provincia romana - ha rappresentato il fulcro di questo boom industriale. Negli ultimi anni la Bulgaria è divenuta mèta competitiva per i set cinematografici, dove sono stati girati colossi come Ritorno a Cold Mountain di Anthony Minghella, ma anche fiction nostrane e videoclip, primi fra tutti quelli di Tiziano Ferro. Anche il settore edilizio-immobiliare ha vissuto una vera e propria bolla immobiliare. A Sofia nuovi quartieri accoglienti e moderni hanno affiancato i palazzi sovietici e l’intero paese, comprese le località balneari sul Mar Nero, come Varna, hanno cominciato a rappresentare una interessante meta di investimento. Come molti paesi dell’Est Europa, anche la Bulgaria ha saputo offrire agli investitori stranieri un mix di produttività, competenze e basso costo del lavoro, ma l’anello mancante continua ad essere quello infrastrutturale, legato anche al fenomeno della corruzione che ha bloccato numerosi importanti appalti pubblici.
In questo momento la Bulgaria deve affrontare una grande sfida. Prima di tutto politica, legata alle elezioni politiche e a quelle europee che si svolgeranno, in momeni distinti, nel mese di giugno. Alle urne i bulgari si troveranno a giudicare l’esito negativo del governo uscente socialista, reo di non aver portato a compimento l’attesa e necessaria riforma del settore della giustizia e di non aver affrontato la piaga più dura a debellare, la corruzione ad ogni livello, che è costata al paese la sospensione dell’ultima tranche del fondi europei di pre-adesione. I socialisti – eredi del vecchio partito comunista – si scontreranno con il centro-destra, guidato dal sindaco-sceriffo di Sofia, Boiko Borissov. La vigilia del voto è segnata da un costume conosciuto anche in Italia, vale a dire quello di “aggiustare” le regole elettorali a proprio favore. Ecco perché in questi giorni la commisisone parlamentare creata ad hoc per varare la nuova riforma elettorale e dominata dal partito socialista che tutt’ora detiene la maggioranza relativa sta cercando di introdurre nell’attuale sistema proporzionale elementi maggioritari e soglie più alte di sbarramento. Queste ultime in particolare mirate a colpire le forze di centro-destra hanno avviato un processo di aggregazione dopo un periodo di estrema frammentarietà. Proprio qui e un poì paradossalmente è intevenuto il presidente della Repubblica – l’ex leader socialista Georgi Parvanov – il quale contrariamente alla linea del suo vecchio partito ha bloccato l’innalzamento della soglia. Insomma, una situazione assai poco chiara. Uscirne dipenderà non solo dall’ampiezza della vittoria di Borissov (tutti i sondaggi lo danno attualmente in vantaggio), ma anche dalla capacità del centro-destra di ritrovare un’unità, anche alla luce della comune appartenenza al partito popolare europeo.
E proprio l’Europa, per l’ennesima volta, sarà l’obiettivo e l’indicatore del cambiamento perché, oltre alla crisi economica in corso, la Bulgaria ha una partita fondamentale da completare, che consiste nel riconquistare la fiducia dei propri partner europei e dimostrare che l’adesione non è stata regalata, come molti, da più parti, sostengono.
(Alessandra Flora)