PAC 2014-2020: l'Italia dice no alle proposte della Commissione Ue
Il progetto di riforma presentato dal commissario europeo all'Agricoltura Dacian Ciolos “non ci soddisfa, perché dimentica il valore delle imprese agricole italiane”. Così il ministro delle Politiche agricole Mario Catania, inaugurando l'edizione 2012 di Fieragricola a Verona e i festeggiamenti per i 50 anni della PAC. Nel corso dei negoziati, assicura il ministro, premeremo per ottenere una Politica agricole comune che tuteli le specificità e la qualità dei prodotti made in Italy.
Le ragioni dell'opposizione italiana alle proposte dell'Esecutivo Ue sono ormai note. Nel novembre 2011 le principali organizzazioni del comparto - Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Copagri – hanno raggiunto un'intesa su un documento comune da sottoporre al commissario Ciolos che chiedeva di rivedere tre aspetti:
- le risorse;
- il greening;
- la definizione di agricoltore attivo.
Tutti temi dibattuti a Verona nel corso del convegno organizzato dalla Rappresentanza italiana della Commissione europea sui 50 anni della PAC. A discuterne Aldo Longo, direttore presso la direzione generale agricoltura della Commissione europea, Felice Assenza, dirigente rapporti internazionali del Ministero delle Politiche agricole, e Alessandra Pesce, responsabile del servizio ricerche dell’Istituto nazionale di economia agricola.
Per quanto riguarda i fondi, due sono gli aspetti critici per l'Italia.
Innanzitutto la spesa prevista, 435,5 miliardi a prezzi correnti. Per Longo un successo, dato che nonostante la contingenza economica negativa, si mantiene il budget sul valore attuale. Per Assenza, un risultato migliorabile, dato che l’inflazione nei sette anni di programmazione determinerà una perdita del 12%.
Il secondo tema è la redistribuzione delle risorse tra gli Stati membri. La Commissione ha infatti stabilito di utilizzare come parametro per il calcolo dei pagamenti diretti la superficie coltivata. Per l'Italia questo significa che deve cedere fondi, a vantaggio di altri stati. Ma il pagamento ad ettaro, sottolinea Essenza, finisce per privilegiare il latifondo e produzioni marginali, a scapito degli agricoltori specializzati, che sfruttano meno terra ma investono di più per ottenere prodotti di qualità.
Se il calcolo degli aiuti prendesse a parametro, invece, la redditività, continua il dirigente del Mipaaf, l'Italia non dovrebbe perdere fondi ma anzi risulterebbe al di sotto della media Ue per rilevanza degli aiuti.
Altro nodo da sciogliere, la questione del greening. La Commissione ha individuato tre misure ambientali cui dedicare un terzo degli appezzamenti: pascoli permanenti, diversificazione e aree di interesse ecologico. Secondo le associazioni di categoria e il ministero si tratta di interventi modellati sull'agricoltura continentale, che trascurano colture altrettanto benefiche per l'ambiente presenti nelle aree mediterranee, quali le coltivazioni legnose, e rischiano di scoraggiare gli agricoltori. Per Essenza, ad esempio, piuttosto che dover diversificare, e adempiere alle pratiche burocratiche necessarie, gli agricoltori potrebbero decidere di abbandonare quelle porzioni di suolo.
Un rischio da evitare, secondo Alessandra Pesce, se si considera che negli ultimi 50 anni sono stati abbandonati 8 milioni di ettari di terreno fertile.
Infine l'agricoltore attivo. L'Italia chiede che si lasci agli Stati membri la disciplina su chi può accedere agli aiuti comunitari; la Commissione sostiene che si andrebbe incontro a troppi regimi diversi e forse incompatibili e difende la sua definizione come l'unica strada percorribile.
I negoziati sul progetto di riforma inizieranno tra qualche mese. La partita si annuncia lunga.