Gervasoni, Aifi: un fondo di fondi per spingere il venture capital
“La manovra ha introdotto agevolazioni fiscali importanti per il nostro settore, ma speravamo si potesse fare di più. Magari avviando un fondo di fondi di venture capital sostenuto da capitale pubblico”. Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi, l’associazione italiana del private equity e del venture capital, commenta così in un’intervista a Fasi.biz le ultime novità per il suo settore.
Quanti soldi servirebbero per un’operazione del genere?
Non servirebbe molto. E avere capitali pubblici da affiancare a capitale privati per far partire i fondi di venture capital sarebbe importantissimo. Basterebbe creare un fondo da 150 milioni di euro per far partire dieci fondi piccoli di venture capital che potrebbero poi mettere altrettanto. In questo modo si raddoppierebbe il mercato in Italia.
Questo ruolo di sostegno potrebbe essere svolto dalla Cassa depositi e prestiti, magari usando lo schema che viene usato oggi per le aziende strategiche?
La Cassa depositi e prestiti è importantissima per il nostro Paese, si sta trasformando e credo che sia il miglior candidato per svolgere un ruolo che altrove svolgono i fondi sovrani. Tutti chiamano la Cdp per fare le cose più improbabili e sicuramente ha disponibilità per agire su molti settori. Potrebbe dare certamente un aiuto anche a noi, ma non è l’unico soggetto pubblico che potrebbe farlo. Basterebbe che in una Finanziaria qualsiasi si mettessero a disposizione del venture capital un po’ di denari ben spesi.
Con l’intervento di attori pubblici, aumenterebbe la durata media degli investimenti?
Penso di no. L’iniziativa dovrebbe restare nelle mani dei privati. E le dinamiche del mercato restano le stesse. Per questo, i tempi non potrebbero essere più lunghi del normale.
Parliamo di reti d’impresa. Lei le ha recentemente definito un “aperitivo” per i fondi di private equity...
Sulle reti d’impresa devo dire che non ho ancora esattamente capito come funzioneranno, quale sarà la loro natura dal punto di vista giuridico. Di certo, però, favoriranno il contatto tra imprese e, in questo senso, potranno diventare di fatto un’occasione importante per l’azione del private equity.
Che ruolo possono avere i fondi strutturali nel venture capital?
Certamente un ruolo importante. Ma vorremmo che venissero fatte politiche regionali più coerenti tra di loro. Oggi esiste nelle regioni un’improvvisazione che non fa bene a nessuno. Ciascuno si inventa un percorso per i programmi regionali o mette mano a misure strutturate male. Noi siamo disponibili a mettere a disposizione delle linee guida su quelle che sono le misure che meglio funzionano. Anche perché gli schemi che funzionano non sono molti.
Capitolo infrastrutture. Il partenariato pubblico privato e il project financing sono molto applicati da noi, ma con successo scarso. Secondo lei perché?
Le infrastrutture costano caro in generale e in Italia costano più che altrove, per diversi motivi, come la nostra geografia o i processi decisionali lunghi che ci caratterizzano. Un chilometro di autostrada costa in Europa 15 milioni, mentre in Lombardia almeno il triplo. Nessun privato può finanziare una cosa del genere. Per questo, in Italia, restano decisive le risorse pubbliche e quelle private potranno, almeno per ora, avere soltanto un ruolo residuale.