Professionisti insoddisfatti dei loro ordini e albi
Negli ultimi anni in quasi tutti i paesi dell’Unione Europea è aumentato il numero dei lavoratori inseriti in forma autonoma o come dipendenti nel mondo delle professioni. A scattare una fotografia di questa realtà è una ricerca dell’IRES, promossa dalla Consulta delle Professioni Cgil e dalla Filcams.
In Italia, contrariamente a quanto accade nel resto d’Europa, l’attenzione si è concentrata soltanto sui problemi e sulle derive negative del lavoro subordinato e non si è analizzato a sufficienza il mondo del lavoro autonomo e professionale, né si è intervenuto sul versante degli equilibri economici e sociali.
Intervistato Salvo Leonardi, responsabile per le relazioni industriali Ires, dichiara: "Le cause di quelle che lei chiama "discrepanza" - pur non indagate da noi in chiave direttamente comparativa - sono varie. La prima risiede nell'incidenza - dai noi assai più alta che altrove - del lavoro autonomo. La seconda nell'accentuata stratificazione verticale all'interno delle stesse categorie professionali. Ve ne sono alcune fortemente regolamentate e protette da un sistema ordinistico vetero-corporativo che - dalla nostra ricerca - rivela gravi criticità anche agli occhi di ne fa parte. Pochi paesi, in Europa, hanno così tanti Ordini o Albi come dai noi (ben 26). E l'Europa spinge proprio per ridimensionare questo assetto tipicamente italiano. Altre professioni non sono regolamentate e operano su un mercato ormai globale, sempre più corrosivo delle condizioni economiche e lavorative. Ciò che accomuna questo vasto e frastagliato segmento del mondo del lavoro è - in special modo tra i freelance - il duplice deficit di rappresentanza e di tutele. Ecco allora il terzo fattore che ci distingue/separa dal resto d'Europa: un welfare mediamente meno inclusivo e universalistico. "
Continua Leonardi: "Il sindacato, dal canto suo, ha serie opportunità di insediamento se riuscirà a battersi per una riforma del welfare e della contrattazione che sappia allargare il suo perimentro di rappresentanza. Il sindacato ha bisogno di crescere e rafforzarsi fra i lavoratori della conoscenza, come questi ultimi hanno bisogno anche del sindacato, se vogliono uscire collettivamente dalla marginalità in cui rischiano di finire isolati e lasciati a se stessi".
Dall’indagine il popolo delle Partite Iva in Italia appare variegato e complesso. Secondo i dati pubblicati sul Giornale delle Partite Iva (ottobre 2010) in Italia ci sono 8.800.000 posizioni Iva aperte. Di queste circa 6.500.000 sono attive e sono suddivise tra un milione di società di capitale, più di un milione di professionisti, oltre un milione d’artigiani e commercianti e tre milioni e mezzo di professionisti non regolamentati con attività individuale. Ogni anno si aprono circa 200 mila nuove Partite Iva mentre, secondo l’Isfol, le false Partite Iva sono attorno alle 400 mila unità.
Dalla ricerca emergono tre nuclei specifici tra i professionisti autonomi:
- l’area a “Rischio di Precarietà” che si attesta attorno al 20%. Questa componente, meno rilevante delle altre, ma a forte rischio di precarietà, evidenzia in modo strutturale le caratteristiche di abuso non solo per via dell’imposizione all’apertura della partita Iva, ma anche perché ricorrono spesso modalità di svolgimento della prestazione tipica del lavoro
- il gruppo dei “liberi professionisti con scarse tutele” (68,5%). Pur rilevando una reale autonomia nello svolgimento della prestazione, affrontano la propria attività professionale accettando le condizioni di mercato in cui operano ma con pochi strumenti di governo, protezione sociale e, soprattutto, con poche capacità di contrattazione con i propri committenti (58,4%).
- l'insieme dei “liberi professionisti Affermati” (17,8%) che, pur potendo vantare modalità di svolgimento della professione e di soddisfazione economica migliori del resto dei professionisti, soffre la necessità di accedere più facilmente a diritti di cittadinanza e, in particolare, ad un maggior riconoscimento professionale, sia in relazione al pessimo giudizio che hanno gli iscritti agli ordini dell’operato degli stessi (Il 78,7% ritengono che gli ordini non regolino la concorrenza, che non favoriscono l’accesso dei giovani 85,7% e che non certifichino le competenze professionali 73,8%), sia in relazione alla necessità di definire gli standard di riferimento dell’esercizio della professione o di avere un sistema di certificazione delle competenze.
I titoli di studio degli intervistati sono molto elevati e il 79,6% ha almeno la laurea. Nello specifico, l’8,3% una laurea breve, il 54,2% una laurea di secondo livello, il 17,1% una specializzazione, master o dottorato.
La maggior parte dei professionisti opera attraverso una partita Iva, a regime normale (per il 47,2% del campione) o a regime di contribuzione minima (23,3%).
Si registra una forte variabilità nel numero dei committenti per i quali si lavora, per cui il 44,2% è impegnato con più committenti alla pari, il 35,2% per più committenti di cui uno principale, il 20,6% per un unico committente abituale, con una forte differenziazione tra i gruppi professionali, per cui la prevalenza del committente unico si registra tra le professioni dell’area economica (39,2%), dell’area gestionale-amministrativa (30,5%) e tra i ricercatori (37,5%).
L’intensità del lavoro per i professionisti è notevole: la media di ore lavorate è di 8,7 ore giornaliere, e - considerando i livelli più elevati, di chi ha risposto “spesso” o “quasi sempre” - hanno scadenze rigide e strette l’81% dei professionisti, così come il 66,6% sostiene un ritmo di lavoro eccessivo.
In generale, i redditi più bassi si registrano nelle professioni della cultura e spettacolo (il 64,5% ha meno di 15.000 euro netti annuali), nell’informazione ed editoria (59,6%), tra gli interpreti e traduttori (50,1%), i docenti ed educatori (67,8%), i ricercatori (52,6%), tra gli operai e gli artigiani (50%).
L’attesa del pagamento è una difficoltà ampiamente riscontrata: il 60,1% attende più di 60 giorni dopo l’emissione della fattura per ricevere il pagamento.
La discontinuità occupazionale crea dei notevoli problemi anche per l’accesso al credito, riscontrati dal 71% del campione.
I professionisti iscritti a Ordini o agli Albi appaiono, in netta maggioranza, insoddisfatti dell’operato e dell’efficacia di questi organismi. Malgrado i vincoli posti dal sistema ordinistico (accesso alla professione, diritti riservati, tariffe obbligatorie, prezzi raccomandati, regolamenti pubblicitari, sanzioni e pubblicizzazione degli abusi), la stragrande maggioranza degli intervistati ritiene che gli Ordini i non sappiano regolare la concorrenza. I professionisti pensano al contempo che i loro Albi non siano neppure in grado di favorire l’ingresso dei giovani. Non favoriscono l’accesso per 79% dell’area economica, l’84,5% di quella sanitaria, addirittura l’87% di quella tecnica e di quella giuridica. E’ invece sui percorsi formativi che le valutazioni sull’operato degli Ordini e degli Albi che si registrano i livelli più elevati di apprezzamento. Qui la distribuzione delle risposte è più equilibrata, con un rapporto mediamente 40/60.
Il libro dei sogni dei professionisti? Innanzitutto tutele certe in caso di malattia e infortunio (31%), agevolazione pubblica alla formazione professionale (12%), incentivazione alla stabilizzazione contrattuale (12%), sostegno al reddito in caso di disoccupazione (11%), semplificazione degli adempienti amministrativi (10%), facilitazione dell’accesso al credito (9%).