Crisi libica: le conseguenze per le imprese
Prosegue la rivolta in Libia: mentre Europa e Stati Uniti discutono i termini di un possibile intervento per la stabilizzazione del Paese, i prezzi del petrolio subiscono una prevedibile quanto fortissima impennata, sfiorando i 120 dollari al barile nella giornata di ieri. Oltre ai tragici sviluppi umanitari, preoccupano quindi gli effetti della crisi in corso sul versante energetico e in particolare sulle imprese, in un momento decisivo per la ripresa dell'economia mondiale.
Il flusso di gas dal gasdotto Greenstream, che fornisce 9 dei 9,2 miliardi di metri cubi che l’Italia importa dalla Libia, si è interrotto lunedì, tuttavia la maggior parte degli analisti è concorde nel ritenere che, se i disordini in corso in Nord Africa hanno un impatto immediato sui prezzi, l'accesso alle risorse non è invece a rischio, grazie alla possibilità di importare il greggio da altri Paesi, in primo luogo dell’Arabia Saudita che ha già iniziato a trattare con alcune compagnie europee.
Rassicurazioni anche dal ministro per lo sviluppo economico Paolo Romani che, dopo aver presieduto il Comitato per il Monitoraggio del sistema del gas, ha confermato che la situazione risulta sotto controllo e che l'Italia può contare su accantonamenti per 3,8 miliardi di metri cubi, cui si aggiungerebbero, nella peggiore delle ipotesi, 5,1 miliardi di metri cubi relativi allo stoccaggio per le situazioni di emergenza.
Meno positivo il quadro per quanto riguarda le centinaia di imprese, non solo grandi gruppi come Eni, Finmeccanica e Unicredit, ma anche PMI, che operano in Libia.
In questi giorni compagnie petrolifere come Eni e Total hanno infatti interrotto le attività e ridotto il personale, ma a lasciare il Paese sono state anche tante piccole società e operatori economici di ogni provenienza, tra cui circa 180 imprese italiane.
Più in generale, il tessuto imprenditoriale del nostro Paese rischia che il rincaro delle fonti energetiche si traduca in una perdita di competitività rispetto ad altre realtà europee. Confindustra ha infatti stimato che ad ogni aumento stabile di 10 dollari del barile di greggio il Pil italiano si riduce di 0,2 punti.
Bisogna ovviamente considerare che l’impatto del caro-petrolio non sarà lo stesso per tutti i settori, ma riguarderà soprattutto i comparti ad uso più intensivo di energia, come la siderurgia, il vetro, la chimica; d'altra parte non si può escludere l'eventualità che, estendendosi la crisi ad altri Stati del Maghreb, l'impennata dei prezzi energetici permanga nel tempo generando inflazione, nel corso di una congiuntura economica che risente già dell'aumento di altri beni di prima necessità, a cominciare da quelli alimentari.
Infine la questione delle sanzioni: Napolitano ha assicurato la disponibilità dell'Italia ad allinearsi alle decisioni dell'Europa in materia di sanzioni nei confronti della Libia, rispondendo alle voci che, dal Belgio alla Germania, hanno sottolineato le criticità che potrebbero derivare dai molti accordi tra i due governi, da quelli per le forniture di greggio e gas, all'impegno di ANAS per la realizzazione dell’autostrada Ras Adjir-Emsad, fino alla gestione dei flussi migratori.