Brevetto europeo: gli indugi dei ministri europei danneggiano le Pmi
Nulla di fatto per il brevetto comunitario. A causa degli interessi nazionali divergenti nessun accordo è stato raggiunto in occasione del consiglio Competitività che si è svolto lo scorso 11 ottobre a Lussemburgo. Il ministro per le politiche comunitarie, Andrea Ronchi, ha ribadito nuovamente ai suoi omologhi la sua volontà di porre il veto qualora la proposta del "trilinguismo" andasse in porto.
Ciononostante è davvero necessario che la situazione si sblocchi: durante il summit il Belgio, presidente di turno dell'UE, ha rilevato che nel sistema attuale una società che intenda commercializzare lo stesso brevetto nei 27 paesi membri deve sborsare circa 25 mila euro per gli aspetti amministrativi e legali.
E' dal 2003 che si cerca di sviluppare un brevetto comunitario per l'UE, ma i progressi sono stati vanificati dagli ostacoli linguistici, tecnici e legali. Il costo per creare e proteggere i brevetti in Europa è più alto che negli Stati Uniti o in Giappone e le associazioni commerciali si lamentano in continuazione delle decisioni frammentarie e inconsistenti prese volta per volta dai tribunali europei.
Le imprese devono portare avanti delle azioni giudiziarie in più paesi alla volta e i tribunali giungono spesso a delle conclusioni contradditorie sullo stesso caso. Un tribunale unico sui brevetti renderebbe i contenziosi meno cari.
Nel luglio 2010 la Commissione aveva presentato una mozione tesa a mettere fine all'impasse legato alle questioni linguistiche. Il commissario Michel Barnier ha proposto di mantenere solo l'inglese, il francese e il tedesco come lingue ufficiali per il deposito del brevetto comunitario. Questa strada ha tuttavia incontrato l'opposizione dei paesi esclusi, primo fra tutti l'Italia.
La presidenza belga, attualmente in carica, ha dichiarato che la risoluzione dei problemi legati al brevetto sarebbe stata la priorità dei suoi sei mesi alla guida del Consiglio dell'UE. Nel frattempo, però, i ministri europei continuano a essere divisi in due correnti. La prima, guidata dalla Francia e dalla Germania, sostiene il sistema trilingue per i brevetti europei proposto dalla Commissione. Il secondo, costituito da Italia, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Cipro, preferirebbe invece un regime monolingue o multilingue. C'è poi chi come il commissario per l'Industria, Antonio Tajani, vorrebbe un sistema che agisse almeno su cinque lingue.
La lingua utilizzata per proporre, difendere e diffondere un brevetto è un elemento cruciale per la competitività degli Stati. I ricercatori e le Pmi che hanno la possibilità di utilizzare la loro lingua madre per i brevetti sono avvantaggiati rispetto ai loro concorrenti che devono adottare una lingua diversa.
Bisogna ammettere però che il sistema attuale, pur proteggendo tutti gli idiomi, dà vita ad una incertezza legale e a costi troppo elevati. Il mercato interno è perennemente messo in pericolo dalla frammentazione dei mercati nazionali. Inoltre i paesi in cui un brevetto non è registrato rischiano di essere invasi dai prodotti contraffatti, danneggiando sia i produttori sia i consumatori.