Tre scenari per la futura Banca Euromediterranea
Tra i dossier in cima alla scrivania del presidente francese Nicolas Sarkozy, al ritorno dalle vacanze estive, campeggia quello relativo alla creazione di una banca per lo sviluppo dei paesi che si affacciano sulle sponde meridionali e orientali del Mediterraneo. Un istituto di questo tipo, destinato a finanziare nuovi, grandi progetti infrastrutturali, rappresenta da tempo per il titolare dell’Eliseo una magnifica ossessione. Soltanto attraverso un’indipendenza economica l’Unione per il Mediterraneo (UPM) potrebbe finalmente decollare.
Una strada – quella della politica di vicinato – già battuta con successo dalle prime tre potenze mondiali: Stati Uniti, Cina e Giappone.
Oltre a paesi membri dell’Unione Europea, l’UMP coinvolge i seguenti paesi: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Egitto, Israele, la Giordania, Libano, Marocco, Mauritania, Principato di Monaco, Montenegro, Siria, territori palestinesi, Tunisia, Turchia e Libia (quest’ultima soltanto come paese osservatore).
Proprio lo scorso 25 agosto il finanziere Charles Milhaud, già numero uno del gruppo bancario d’oltralpe Caisse d'Épargne, ha consegnato a Sarkozy un rapporto realizzato da una commissione internazionale, composta da dodici membri provenienti dai paesi coinvolti del progetto, che servirà come base per realizzare questa nuova istituzione finanziaria. Tra questi anche il presidente della Cassa Depositi e Prestiti italiana, Franco Bassanini. Se ne discuterà ufficialmente in occasione del summit dei capi di Stato e di governo dell’Unione per il Mediterraneo, in programma a Barcellona a novembre.
Tre gli scenari ipotizzati. Il primo (quello raccomandato dal rapporto Milhaud) consiste nel creare una Banca per il Mediterraneo a partire dalle attività già esistenti nell’ambito della Femip, braccio operativo della BEI destinato ai paesi partner: Algeria, Egitto, Gaza-Cisgiordania, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria et Tunisia. La BEI diventerebbe così azionista con una partecipazione compresa tra il 35% e il 50%.
La seconda possibilità, di difficile attuazione perchè dispendiosa, si traduce nella creazione di una banca ex novo dalle caratteristiche specifiche, che necessiterebbe di un capitale di partenza importante.
La terza ipotesi si esplica in un istituto di misura più modesta, che possa appoggiarsi alle casse depositi e prestiti dei paesi coinvolti.
Partendo dall’assunto che i finanziamenti attuali ammontano a 20 miliardi di euro l’anno, (5 dei quali provengono dalla BEI, gli altri dalla Politica di vicinato dell'UE), il rapporto presentato da Milhaud rivela un deficit per alcuni settori strategici. A rischio, infatti, grandi progetti regionali come il piano per il fotovoltaico, per le infrastrutture idriche e lo sviluppo urbano, che potrebbero trovare una scappatoia nel partenariato pubblico-privato. Un problema avvertito sopratutto dalle Pmi operanti in questo spazio del Mediterraneo, che oltrettutto hanno dimostrato carenze di expertise nel knowledge banking.
Per Charles Milhaud la posta in gioco è alta. « Dobbiamo essere coscienti del potenziale di sviluppo dei paesi che costeggiano il Mediterraneo, esattamente come la Germania ha saputo fare con l’Europa centrale e orientale. Spero il capitale della futura istituzione possa accogliere anche il contributo dei paesi del Golfo Persico».