ANAC, via i limiti al subappalto. No però a subappalti al 100%
Secondo l’ANAC i limiti italiani al subappalto vanno eliminati, ma questo non significa il far west, né subappalti al 100%. Per evitare le infiltrazioni, l’Autorità anticorruzione punta a controlli preventivi e alla qualificazione delle stazioni appaltanti.
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La soglia del 30% al subappalto - che adesso, con lo Sblocca cantieri è al 40% - non può più rimanere. A dirlo Giuseppe Busia durante un’audizione in Commissione Politiche UE della Camera, in cui il presidente dell’ANAC conferma come la norma italiana debba essere cambiata dopo le ripetute sentenze europee sul tema.
No a subappalti al 100%
Eliminare il tetto al subappalto non significa però il tana libera tutti, passando ad avere commesse subappaltabili al 100%. “Non è questo che chiede la Corte di Giustizia” ha infatti spiegato Busia.
Se si andasse verso questa direzione “si cadrebbe nel paradosso di contrastare con la logica stessa del subappalto che punta a tutelare le PMI”, spiega il numero uno dell’ANAC, arrivando ad avere “una cessione di commessa senza gara”. Mentre, invece, la direttiva UE parla di “parti del contratto” da subaffidare e non della commessa tout court.
Le proposte dell’ANAC per risolvere il problema del subappalto
Davanti alla necessità di eliminare il limite al subappalto, Busia propone un set di soluzioni per assicurare comunque che negli appalti non ci siano infiltrazioni.
La prima è di attribuire una quota di responsabilità anche ai subappaltatori. ”Oggi - spiega infatti Busia - l'unico titolare di responsabilità piena nei confronti della stazione appaltante è l'impresa principale”. Bisognerebbe invece mettere in piedi un sistema che, superate certe soglie di subappalto, permetta di recuperare una quota di responsabilità anche in capo ai subappaltatori coinvolti nella commessa.
In secondo luogo, il presidente dell’ANAC punta sulle stazioni appaltanti a cui andrebbe comunque assicurata la facoltà di prevedere determinate soglie per commesse caratterizzate da alcuni elementi scivolosi come la natura del contratto o le condizioni del mercato (si pensi in questo caso al rischio, ad esempio, di intese tra le imprese). Ma non solo. I limiti potrebbero essere opportuni anche per appalti relativi a categorie superspecialistiche, oppure nel caso di attività considerate ad alto rischio di infiltrazione mafiosa.
Infine c’è il tema di sapere in anticipo i nomi dei subappaltatori - e le parti del contratto che sarebbero loro affidate - in modo da poter fare i controlli prima di chiudere la gara. Non si punta, però, a tornare all’obbligo di indicare la terna dei subappaltatori “che ha dato tanti problemi in passato”, afferma Busia. L’idea sarebbe piuttosto quella di permettere alle imprese di indicare in anticipo “eventualmente fino a tre nomi” di subappaltatori, in modo da aiutare le stazioni ad effettuare i controlli.
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Usare il Recovery per qualificare le stazioni appaltanti
Al di là delle varie soluzioni per creare un sistema efficace di controlli, capaci di arginare il fenomeno delle infiltrazioni, la conditio sine qua non è di avere valide stazioni appaltanti.
Secondo il presidente dell’ANAC, infatti, “la qualificazione delle stazioni appaltanti è l'arma più forte che abbiamo per combattere le infiltrazioni criminali negli appalti e migliorare la qualità della spesa. Un uso intelligente del Recovery fund - ha quindi affermato Busia - non può prescindere dalla destinazione di risorse per l'assunzione di personale qualificato all'interno delle amministrazioni e per investire nella digitalizzazione delle procedure di gara, sinonimo di trasparenza e semplificazione”.
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