Politica Agricola Comune - l'ombra della Brexit sui negoziati PAC post 2020
Uno studio Ue propone alcune ipotesi sull'impatto della Brexit sui negoziati per la prossima Politica Agricola Comune
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Un recente studio realizzato per conto della commissione Agricoltura del Parlamento europeo si interroga sull'impatto che l'Azione esterna dell'Ue ha avuto sulla varie riforme della Politica Agricola Comune e su come potrà condizionare i negoziati per la PAC post 2020. Nel prossimo settennato, sottolineano gli autori, il futuro della voce di spesa più consistente del bilancio Ue dipenderà molto anche dagli esiti della Brexit.
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Azione esterna e PAC
Mentre la PAC degli anni Sessanta e Settanta si concentrava quasi esclusivamente sulla stabilità dei mercati e sul controllo dei prezzi, l'attuale Politica Agricola Comune affianca al sostegno al reddito degli agricoltori un impianto fortemente orientato al raggiungimento degli obiettivi ambientali e al supporto dell'economia rurale.
Per molti versi queste trasformazioni sono nate da pressioni interne, dai costi eccessivi della Politica Agricola Comune alla difficoltà di collocare le eccedenze produttive, dai crescenti squilibri territoriali e tra le produzioni alle preoccupazioni ambientaliste. Altrettanto vero però, è la premessa dello studio, che molti cambiamenti sono riconducibili all'Azione esterna dell'Ue.
I vari allargamenti hanno contribuito alla regionalizzazione della PAC e al rafforzamento degli obiettivi ambientali e di sviluppo rurale, mentre i negoziati dell'Uruguay Round in ambito GATT (che portano, con l'Accordo di Marrakech, all'istituzione dell'Organizzazione mondiale del commercio) hanno spinto l'Unione verso nuovi impegni a limitare le sovvenzioni all'esportazione e il sostegno interno.
Altre azioni di politica esterna contribuiranno a modellare la PAC nei prossimi anni. Secondo lo studio, probabilmente l'esigenza più urgente riguarda al momento gli obiettivi assunti a Parigi e la riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030. Il cosiddetto greening, introdotto dalla riforma della PAC del 2013, dovrebbe quindi andare incontro a delle revisioni e non è da escludere l'introduzione di sistemi di aiuto per compensare gli agricoltori per il sequestro del carbonio.
Quanto ai negoziati commerciali, il completamento del ciclo di Doha costringerebbe l'Ue a riformulare le sue politiche per renderle conformi alle regole dell'OMC. Se invece l'Agenda di Doha rimanesse nel limbo, l'Unione avrebbe maggiori margini di manovra e potrebbe ridisegnare le sue politiche ambientali, attualmente limitate dalla Green Box, per cui i pagamenti non possono superare 'i costi supplementari o la perdita di reddito implicati dalla partecipazione al programma di governo'.
Il completamento dell'Agenda di Doha porterebbe anche all'accettazione di una forte riduzione delle tariffe su una serie di prodotti protetti, quali zucchero, prodotti lattiero-caseari e carne di manzo. Un impatto analogo sui prezzi di mercato, osserva però lo studio, potrebbe derivare anche dall'implementazione dei tanti accordi commerciali cui l'Ue sta lavorando, dal Canada agli Stati Uniti, dal Mercosur all'Australia.
Infine, non bisogna dimenticare le tensioni tra i produttori europei e le politiche commerciali Ue che mirano a garantire un accesso privilegiato ai prodotti agricoli provenienti dai Paesi del vicinato, e in particolare la decisione di concedere l'accesso esente da dazi al mercato europeo a tutti i prodotti dei Paesi meno sviluppati (Everything but Arms Initiative).
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Brexit
Secondo lo studio, tutti questi fattori contribuiranno a definire la PAC post 2020. Decisiva, però, avvertono gli autori, potrebbe rivelarsi l'esigenza di rispondere alla Brexit.
Una volta che il Regno Unito avrà notificato al Consiglio europeo la sua intenzione di uscire dall'Ue, avviando il percorso previsto dall'articolo 50 del Trattato di Lisbona, partirà il conto alla rovescia. La Brexit avverrà in una data da concordare tra l'Unione e il Regno Unito o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica della sua intenzione di ritirarsi 'a meno che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine'. Così il Regno Unito potrebbe lasciare l'Ue entro il 2018. E questo avrebbe sicuramente un impatto sui negoziati sul quadro finanziario pluriennale e sulla PAC post-2020.
E' vero che il Regno Unito avrebbe probabilmente poco interesse ad essere coinvolto in questi negoziati. Né, probabilmente, sarebbe interessato all'elezione di un nuovo gruppo di eurodeputati nel maggio 2019, o a negoziare la composizione del nuovo Collegio dei Commissari nello stesso anno. Nonostante ciò, secondo lo studio ci sono almeno tre modi in cui la Brexit potrebbe influenzare il futuro della PAC.
In primo luogo potrebbe darsi una stretta ai fondi di bilancio dell'Ue, una volta venuto meno il contributo netto della Gran Bretagna, che negli ultimi anni si è aggirato in media sui 6 miliardi annui. Questo a meno che il Regno Unito non venga convinto a pagare una tassa di importo paragonabile per garantirsi l'accesso al mercato unico.
In secondo luogo, la Brexit potrebbe avere impatto sui flussi commerciali, con ricadute sui prezzi di mercato in particolari regioni e per determinati prodotti. Questo dipenderà dalla configurazione che assumeranno i rapporti Ue-Uk nel settore agri-food, che è ancora del tutto incerta. E' probabile però che il settore agroalimentare irlandese, soprattutto i comparti lattiero-caseario e delle carni che hanno stretti legami con il mercato britannico, subisca il colpo di questo nuovo scenario.
Il terzo impatto potenziale deriva dall'influenza del Regno Unito sulla riforma della PAC. Il Regno Unito è stata una voce pro riforma nel Consiglio Agricoltura e la Brexit potrebbe rafforzare le voci tra gli Stati membri e gli eurodeputati che chiedono un passo indietro rispetto alle recenti evoluzioni, più attenzione al reddito degli agricoltori e un maggiore intervento pubblico sui mercati.
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Photo credit: Brian Forbes