Cresce la filiera italiana dell’idrogeno: aumentano gli investimenti, ancora poco sfruttati i fondi europei

Idrogeno - Foto di Rafael Classen rcphotostock.comBenché si tratti di una filiera ancora giovane, le imprese attive nella catena del valore dell’idrogeno in Italia già investono somme importanti nel vettore energetico. Si tratta soprattutto di risorse private, mentre sono ancora poco sfruttati i fondi europei, e ciò malgrado Bruxelles punti molto sul vettore energetico.

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E’ quanto emerge dal report realizzato da H2IT in collaborazione con la direzione Studi e Ricerche e l’Innovation Center di Intesa Sanpaolo.

L’indagine condotta dall’Osservatorio idrogeno tra ottobre e dicembre 2022 si focalizza sulle imprese associate ad H2IT e rappresentative di tutta la catena del valore dell’idrogeno, dalla produzione fino agli usi finali. Ne emerge la fotografia di una filiera giovane ma molto dinamica, il cui fatturato è già cresciuto lo scorso anno (il 2022 si è chiuso con segno positivo per il 71% delle imprese e il 58% ha incrementato il giro d’affari dell’attività dedicata all’idrogeno) e che si aspetta un’ulteriore crescita nel prossimo futuro. 

Idrogeno: le imprese investono sempre di più, soprattutto in ricerca e innovazione

Il 65% delle aziende intervistate, infatti, ha chiuso il 2022 con una crescita degli investimenti sull’idrogeno.

Le priorità principali di investimento sono legate a ricerca e sviluppo. Non potrebbe essere altrimenti, l’innovazione è fondamentale per migliorare le tecnologie esistenti e sviluppare quelle di nuova generazione, aumentare l’efficienza della produzione e diminuire i costi unitari di utilizzo rendendo l’idrogeno competitivo rispetto agli altri combustibili fossili.

Le imprese della filiera lo sanno, tanto che il 70% ha costruito dei propri laboratori interni di R&S esclusivamente dedicati all’idrogeno e il 7% ha intenzione di strutturarsi in tal senso. 

Un tema chiave per supportare gli sviluppi tecnologici di frontiera e multidisciplinari che caratterizzano la filiera dell’idrogeno riguarda la necessità di intrecciare partnership industriali, con altre aziende del settore (64% delle imprese), con le università (60%) e attraverso tavoli di lavoro nazionali e internazionali (49%), raro esempio di innovazione collaborativa nel panorama italiano dei settori manifatturieri.

Solo poco più di un terzo delle imprese (36%), si legge nel report, rende esplicita l’innovazione interna depositando dei brevetti legati alla filiera dell’idrogeno. In compenso, è alta la diffusione di brevetti tra chi si occupa di produzione dell’idrogeno (85%), mentre si scende al 30% per chi è attivo nella mobilità, al 25%nel settore energetico e al 20% nello stoccaggio. 

Italia quinta in Europa per brevetti sull’idrogeno

Quanto pesano i fondi europei e nazionali nella crescita della filiera idrogeno?

Non molto per ora. La filiera italiana che ha partecipato all’indagine condotta dall’Osservatorio di H2IT crede molto nelle opportunità di sviluppo del mercato dell’idrogeno, tanto che per il 70% autofinanzia la propria ricerca. Ancora poco sfruttati i fondi europei (pesano per il 14%) e quelli nazionali o regionali.

Eppure i fondi messi a disposizione, a livello soprattutto europeo, per l’idrogeno non mancano e il tasso di successo delle imprese che partecipano ai bandi è di tutto rispetto. Come emerge sempre dall’indagine, infatti, circa un terzo delle imprese ha ottenuto finanziamenti partecipando ai bandi Horizon 2020, Horizon Europe, Fuel Cell Hydrogen Joint Undertaking e Clean Hydrogen partnership: si tratta di fondi che mirano ad accelerare lo sviluppo di tecnologie con la realizzazione di progetti dimostrativi su larga scala come le hydrogen valleys, così da sviluppare capacità produttive locali e al tempo stesso stimolando l’apertura verso altri mercati.

Per approfondire: I bandi europei per l’idrogeno

Il focus delle aziende italiane è più spostato sui bandi nazionali: il 65% delle imprese ha partecipato a avvisi nazionali, soprattutto ai bandi PNRR (51%). Un dato che non stupisce gli addetti ai lavori: quasi tutti i bandi PNRR dedicati al vettore energetico, infatti, sono andati in overbooking.

I fondi IPCEI sono stati segnalati da un terzo degli intervistati, confermando la vocazione di sviluppo della filiera italiana dell’idrogeno in chiave europea, che si affida alla collaborazione industriale su larga scala e coinvolge ricerca pubblica e privata degli Stati europei.

Quali settori cresceranno di più nei prossimi anni?

Interessante notare come gran parte delle imprese intervistate, guardando al futuro sviluppo dell’idrogeno, punti su alcuni settori chiave. La mobilità, innanzitutto, considerata dall’85% delle imprese il settore che crescerà maggiormente da qui al 2030. 

Grazie all’assenza di emissioni di CO2 - si legge nel report - l’idrogeno si pone infatti come possibile soluzione alternativa alla mobilità elettrica a batteria nel graduale abbandono dei carburanti fossili.

In quest’ottica si aprono opportunità per l’industria italiana non solo per i veicoli ad idrogeno, ma anche per le infrastrutture di rifornimento: in entrambi i casi sono presenti imprese di grandi dimensioni e competenze per la progettazione e la costruzione di stazioni di rifornimento (che vengono già realizzate per l’estero), e per lo sviluppo di componentistica avanzata per il settore automobilistico (dai serbatoi di idrogeno ad alta pressione alle fuel cells).

Ma la mobilità non è l’unico settore destinato a svilupparsi nei prossimi anni secondo le aziende italiane: molta attenzione viene rivolta anche ai settori hard-to-abate (67%) e allo storage di elettricità rinnovabile (55%).

Gli ostacoli da affrontare

Benché si tratti di una filiera in crescita, sussistono comunque alcune problematiche che possono ostacolarne, o quantomeno rallentarne, lo sviluppo.

Un ostacolo alla produzione di idrogeno verde, ottenuto da fonti rinnovabili, è legato alle lungaggini burocratiche come il difficile ottenimento di autorizzazioni che si accompagna ad una burocrazia pesante e lenta. Ma non è questo il problema maggiore secondo le imprese: pesa soprattutto un quadro normativo poco chiaro e l’incertezza per la bassa maturità del mercato, seguiti da costi troppo elevati delle tecnologie per gli elettrolizzatori e l’enorme sforzo in nuove fonti rinnovabili da installare per poter raggiungere gli obiettivi europei, per i quali i finanziamenti pubblici sono ritenuti ancora scarsi, nonostante il massiccio apporto previsto dal PNRR per lo sviluppo di progetti nei prossimi tre anni.

Consulta l'Osservatorio H2IT: Il profilo della filiera e le sue potenzialità

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