Difesa commerciale - Calenda, UE rimuova regola dazio minore

L'UE, ha detto il ministro Calenda, tuteli il settore manifatturiero con efficaci strumenti di difesa commerciale e protegga le imprese dal dumping della Cina.

Trade - Photo credit: JAXPORT via Foter.com / CC BY-NC

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Il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha tenuto nelle scorse ore un'audizione alla Commissione Attività produttive della Camera dei deputati in merito a due dei temi centrali dell'attuale politica commerciale dell'UE: l'ammodernamento degli strumentiper la difesa dalle importazioni oggetto di dumping (Trade Defense Instruments, TDI) da parte dei Paesi extra UE e il riconoscimento dello status di economia di mercato (Market Economy Status, MES) alla Cina.

Nella politica commerciale internazionale, ha esordito Calenda, l'UE persegue "comportamenti offensivi", con gli accordi di libero scambio, e "comportamenti difensivi", nei confronti della concorrenza sleale. Sono esclusi, invece, "comportamenti protezionistici", non contemplati dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), di cui l'UE è membro. In tale contesto generale, le posizioni degli Stati membri in politica commerciale sono contrapposte su due fronti. Da un lato vi è chi, come l'Italia, "tutela gli interessi della manifattura" e, dall'altro, vi sono i Paesi nordici, che hanno un approccio orientato all'importazione.

Per l'Italia, in particolare, il rispetto delle regole, ha proseguito il ministro, è un "aspetto prioritario". Nel 2015, infatti, le esportazioni italiane hanno totalizzato un valore di 414 miliardi di euro e nel periodo gennaio-novembre 2016 hanno raggiunto quota 380 miliardi.

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Il Paese ha un saldo positivo dell'interscambio pari a 45 miliardi di euro. Se si esclude il comparto energia "il saldo dei beni manifatturieri supera gli 80 miliardi di euro e in alcuni casi, con un conteggio strettamente legato ai beni industriali, sfiora i 100 miliardi". Si tratta, ha specificato Calenda, del quinto surplus di beni manifatturieri al mondo.

Di fronte agli "squilibri del commercio internazionale" o al mancato rispetto delle sue regole, la risposta, secondo il numero uno del MISE, non può essere il protezionismo.

Ammodernamento degli strumenti di difesa commerciale

Rispetto al testo "decisamente pro-industria" approvato dalla plenaria del PE in prima lettura ad aprile 24, la proposta per l'ammodernamento dei TDI che l'Italia presentò al Consiglio Ue nel semestre di presidenza, ha ricordato Calenda, non rifletteva gli interessi italiani ma era, piuttosto, "un compromesso che cercava di tenere conto delle posizioni di tutti".

Quella proposta fu, tuttavia, bloccata in sede di Consiglio UE per l'opposizione di alcuni Paesi UE, che rifiutavano di rivedere la cosiddetta regola del dazio minore (lesser duty rule). Il dossier, ha continuato Calenda, è rimasto fermo per almeno un anno; solo la crisi dell'industria dell'acciaio ha riportare attenzione sulla questione della modernizzazione dei TDI.

Nell'autunno del 2015 il dibattito in Consiglio UE ha quindi "ripreso vigore"; tuttavia, nonostante i rischi per l'industria e l'occupazione UE, la posizione di alcuni Stati membri "è rimasta ideologicamente ancorata all'idea di non modificare la regola del dazio minore". Regol che, ha ricordato il ministro, è "una garanzia WTO Plus", dunque "non obbligatoria", tanto che "numerosi partner internazionali, Stati Uniti compresi, non applicano".

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In tale contesto di opposizione, solo il 13 dicembre 2016 il Coreper, ha proseguito Calenda, ha adottato la decisione del Consiglio UE per l'avvio del trilogo con Parlamento e Commissione. Per l'Italia, ha detto il ministro, "la posizione del Consiglio è deludente", perchè non tiene conto degli interessi della manifattura europea.

Se da un lato la proposta contiene "elementi estremamente negativi" per il settore manifatturiero, quali il rimborso dei dazi a scadenza in caso di review negativa e la cosidetta pre-disclosure, accompagnata dalla non applicazione dei dazi per un periodo di 4 settimane, dall'altro "la parziale disapplicazione della lesser duty rule" non basta a controbilanciare con un efficace effetto positivo. Essa, infatti, ha spiegato il ministro, è estremamente limitata - poichè circoscritta solo al caso di distorsioni di mercato nell'utilizzo di materie prime - e "vincolata ad un sistema di soglie legato al costo di produzione e sottoposto al superamento del test sull'interesse del sistema economico europeo che potrebbe anche riguardare soggetti non direttamente interessati all'indagine antidumping".

Tale disapplicazione, ha proseguito Calenda, non dà garanzie di un vantaggio, che risulta piuttosto "limitato, incerto e di difficile conseguimento". L'Italia, ha concluso sul primo punto, è e continuerà ad essere dunque "contraria alla proposta di compromesso" fin quando gli elementi negativi non saranno meglio bilanciati da aspetti positivi e, soprattutto, finchè la disapplicazione della regola del dazio minore non diventerà qualcosa di concreto e utile per le imprese.

Riconoscimento alla Cina del MES

Premesso che il testo del paragrafo 15 del Protocollo di accesso all'OMC di Pechino (relativo alla conclusione del regime provvisorio imposto alla Cina per tutelare i suoi partner commerciali da comportamenti sleali) è effettivamente "redatto in modo non chiaro", per l'Italia, ha aperto Calenda sul secondo punto in agenda, "la scadenza di dicembre non comporta l'obbligo di utilizzare i prezzi e i costi cinesi per il calcolo del valore normale nelle indagini antidumping".

"L'italia - ha continuato il ministro - si è battuta contro l'iniziale proposta della Commissione" di concedere di fatto il MES alla Cina con una modifica della normativa Ue antidumping, seppur con alcuni elementi di "mitigazione" che garantissero la difesa dal dumping cinese. Secondo il governo italiano, infatti, tale proposta "andava oltre gli obblighi previsti dal Protocollo di accesso all'OMC" di Pechino e "metteva a rischio milioni di posti di lavoro in Europa".

Grazie alla "mobilitazione di industria, Parlamento europeo e forze sociali degli Stati membri", la Commissione, ha spiegato Calenda, a inizio 2016 ha "rallentato il percorso del dossier" sul MES alla Cina - avviando una valutazione di impatto e aprendo una consultazione pubblica - e ha successivamente "modificato la traiettoria del documento", decidendo di non riconoscere lo status di economia di mercato a Pechino. Esiste ora una nuova proposta dell'Esecutivo, che andrà affrontata e modificata con Parlamento e Consiglio.

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Premesso che la Cina non è un'economia di mercato, la nuova proposta della Commissione, ha detto il numero uno dello sviluppo economico, "innova completamente il Regolamento base antidumping" dell'UE, eliminando del tutto la distinzione tra economie di mercato e non, e sostituendola con quella tra "Paesi membri OMC, cui si applica la metodologia di calcolo standard", e "Paesi non membri OMC, cui si può applicare la metodologia di calcolo del Paese analogo". Per i membri dell'Organizzazione - Cina inclusa - che presentino "significative distorsioni di mercato" è prevista la possibilità di "applicare una metodologia diversa, basata su un paniere di costi internazionali, simile a quella in uso negli Stati Uniti". Si tratta di una "soluzione Country-neutral", nella quale "la Cina è equiparata a qualsiasi altro membro OMC".

L'Italia, ha specificato Calenda, avrebbe preferito "l'applicazione di quella parte del paragrafo 15 del Protocollo di accesso di Pechino che è rimasta in vigore dopo il 12 dicembre 2016". Ciò, infatti, "avrebbe garantito la piena rispondenza del Regolamento base antidumping al quadro normativo dell'OMC", negando, al contempo, il MES alla Cina.

Pur riconoscendo i passi in avanti fatti dall'Esecutivo nel rivedere la propria posizione iniziale e la necessità di un "coordinamento con i partner commerciali dell'UE", il governo italiano, ha detto Calenda in chiusura di intervento, richiede che "la proposta della Commissione sia radicalmente rivista" in alcuni dei suoi punti centrali:

  • il paragrafo 15 del Protocollo deve diventare "base giuridica della proposta" stessa di Bruxelles;
  • i criteri per valutare la presenza di "significative distorsioni" di mercato devono coincidere con i 5 criteri in base a cui l'UE ha valutato fino ad oggi lo status di economia di mercato o meno di un Paese;
  • il ruolo del report macroeconomico della Commissione previsto dall'attuale proposta va chiarito. Il rapporto deve essere "un obbligo, non una possibilità", oltre che "una condizione necessaria e sufficiente" affinchè le distorsioni significative sia acclarate;
  • la procedura di adozione deve essere semplice, non deve lasciare margine di discrezionalità;
  • evitare l'inversione dell'onere della prova sulle spalle dell'industria europea.
  • i servizi giuridici della Commissione devono preventivamente analizzare e accertare la tenuta del nuovo sistema.

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