UE: la Direttiva sui fondi di investimento alternativi non convince
Con la direttiva Alternative Investment Fund Managers (AIFM) la Commissione europea ha inteso regolamentare il mercato dei fondi di investimento alternativi ed armonizzare le politiche europee in materia di controllo e di vigilanza dei rischi attraverso l’introduzione di obblighi comuni a carico degli operatori che ne curano la gestione. La normativa ha però provocato sin dall'inizio la reazione negativa dei rappresentanti del settore, che in più occasioni ne hanno evidenziato le criticità.
L'AIFM stabilisce l’obbligo giuridico dell’autorizzazione ad operare e il regime di vigilanza per tutti i gestori di fondi di investimento alternativi dell’Unione Europea, ad eccezione di quelli che gestiscono portafogli di fondi di investimento alternativi con meno di 100 milioni di euro di attività o con meno di 500 milioni di euro per gli operatori che non utilizzano la leva finanziaria e i cui fondi prevedono il blocco dei diritti di recupero delle quote per un periodo di almeno 5 anni.
In linea generale la direttiva viene accusata di essere inopportuna nella misura in cui limita il ricorso ai fondi alternativi di investimento in un momento in cui le imprese vivono difficili condizioni di accesso al credito.
Inoltre è condivisa la convinzione che sbagli il bersaglio nel rispondere ad una crisi che ha evidenziato problemi di gestione del rischio e ha visto il fallimento di banche di investimento, regolamentando un settore che non viene riconosciuto come elemento di rischio sistemico.
Un altro aspetto molto contestato riguarda il fatto che il gestore, per ottenere la suddetta autorizzazione ad operare dall’autorità competente del Paese in cui ha la sede, deve fornire una serie di informazioni, che vanno dall’identità degli azionisti e dei soci alle caratteristiche dei fondi che prevede di gestire, fino alle modalità adottate per la custodia delle attività dei fondi di investimento alternativi, e produrre ogni anno una relazione contenente il bilancio o lo stato patrimoniale, il conto dei redditi e delle spese dell’esercizio, un resoconto sulle attività svolte.
Nello specifico le criticità sollevate dalla direttiva riguardano:
- l'applicazione di una procedura omogenea a fondi diversi che gestiscono almeno 500 milioni di euro, trascurando di distinguere invece fondi di private equity e hedge funds ed esonerando d'altra parte gli investitori personali, i trust di famiglia, le fondazioni, i fondi pensione e i fondi sovrani dall’obbligo di autorizzazione/pubblicità dei dati.
- l'insorgere di costi inutili, connessi al rispetto di regole sulla valutazione, la custodia degli strumenti finanziari, deleghe di gestione, etc., del tutto irrilevanti per il settore del private equity e per aziende non quotate in borsa.
- l'indebolimento della competitività delle imprese, compromettendo una delle poche fonti di capitale di rischio oggi a loro disposizione. Infatti, come segnalato da Uli Fricke, presidente della European Venture Capital Association (EVCA), la direttiva AIFM rischia di depotenziare gli sforzi per sostenere le imprese in rapida crescita nella misura in cui impone loro la condivisione di informazioni relative agli investimenti in ricerca e alle strategie di business. Questo potrebbe disincentivare il ricorso al venture capital da parte delle PMI perché "Le regole di pubblicità le mettono in una condizione di svantaggio commerciale rispetto ai concorrenti che hanno altre fonti di finanziamento".
In un comunicato la Commissione europea ha detto che rivedrebbe l'applicazione di alcune direttive di sicurezza del mercato, comprese le direttive esistenti in materia di obblighi di trasparenza e di abusi di mercato, per garantire la loro conformità con il principio "Pensare anzitutto in piccolo" sancito nello Small Business Act.
Directive on Alternative Investment Fund Managers