Una vera riforma per la gestione efficiente degli incentivi allo sviluppo

Corrado Passera - foto di Niccolò CarantiIl recente intervento del vicedirettore generale della Banca d'Italia Fabio Panetta ad un convegno, dove ha dichiarato che gli incentivi erogati in 15 anni nel Mezzogiorno hanno avuto un effetto modesto, è l'occasione per alcune considerazioni sulla legge 488/92 - la regina delle agevolazioni alle imprese per oltre un decennio - e per esprimere un paio di suggerimenti sulla profonda riforma della materia di cui il Paese ha bisogno, soprattutto quando urge impiegare le risorse Ue 2007-2013, si sta negoziando la nuova programmazione finanziaria 2014-2020 e questi fondi avranno un ruolo sempre più importante vista la scarsità di mezzi a cui il Paese può ormai ricorrere.

Le conclusioni del vicedirettore non sono una novità, perchè è evidente lo stato deprecabile in cui versa il Mezzogiorno nonostante gli ingenti contributi erogati per anni alle imprese del sud. Anche l'analisi delle cause è condivisibile. La ricetta per migliorare la materia non è però chiara, né ci si sbilancia sulla recente riforma degli incentivi varata dal Ministero dello Sviluppo Economico.

La legge 488/92 è stata senza dubbio il più importante strumento di incentivazione dello sviluppo di imprese fino all'ultimo bando emanato nel 2006, sia per numero di progetti finanziati ed importi erogati, sia soprattutto perchè è la norma di riferimento per la programmazione negoziata (patti territoriali, contratti di programma, contratti d'area). Per la valutazione dettagliata di questo strumento rimandiamo a una recente e interessante analisi del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica del Ministero.

Qui vale invece la pena di evidenziare, tra i pregi e difetti della l. 488, che le banche, gestori per conto del ministero, riuscivano a far funzionare - bene o male - lo strumento, istruendo le domande, valutando i progetti ed erogando i contributi, tant'è che in 10 anni sono stati emanati 33 bandi e approvate oltre 40mila iniziative imprenditoriali.

Il peggior difetto della l. 488 stava nel meccanismo di presentazione delle richieste di agevolazioni. Imprese e consulenti sceglievano autonomamente l'istituto bancario a cui inoltrare la domanda. Le banche facevano di tutto per accaparrarsi il maggior numero di progetti perchè le valutazioni istruttorie erano ben pagate dal Ministero, ma poi dovevano “fare attenzione” a non respingere troppe richieste di agevolazioni per non perdere “clienti” al successivo bando.

Le conseguenze di tale politica di marketing bancario sulla fattibilità e bontà dei progetti ammessi sono facilmente intuibili. Meglio sarebbe stato inoltrare le richieste di agevolazione direttamente al Ministero per poi suddividerle tra le banche, magari con un'asta per l'assegnazione basata sui costi delle istruttorie. Tuttavia lo strumento era “vivo”, nascevano iniziative e, se l'ambiente dove crescere fosse stato più adeguato, magari potevano pure fiorire.

Con l'esaurimento della legge 488/92 e delle risorse finanziarie, il numero di iniziative imprenditoriali che usufruisce di agevolazioni dal 2007 ad oggi cala drasticamente. Si inizia a parlare di riforma degli incentivi, viene emanato un nuovo regime d'aiuto (finanziaria 2007 - Dm 06-08-2010 – Investimenti produttivi innovativi, la cosidetta "nuova 488"), le banche non sono più protagoniste nella gestione degli strumenti agevolativi, un nuovo soggetto gestore viene individuato per legge dal Ministero nella persona giuridica di Invitalia. Alcune iniziative considerate strategicamente molto rilevanti, Industria 2015, sono di fatto un fallimento. I tempi di valutazione e di erogazione dei contributi sui pochi bandi emanati si dilatano enormemente, i fondi per i contratti di sviluppo nel mezzogiorno al settore industria sono in gran parte inutilizzati.

Con il governo Monti, la riforma degli incentivi prende alla fine forma, se non sostanza. Il ministro Passera evidenzia la necessità di accorpare i molti strumenti esistenti. Le leggi saranno pure tante, ma è vero sopratutto che a funzionare – così così – sono solo i bandi PON, il FIT, il FAR ed il credito d'imposta per la ricerca (quest'ultimo solo se si riusciva ad inviare la richiesta nei primi 30 secondi dall'apertura dello sportello telematico, il famoso click day).

L'economista Giavazzi, incaricato dal governo, redige una dettagliata relazione sulla materia invitando a tagliare la spesa per incentivi per poter ridurre le tasse ed evidenzia che non si hanno prove economiche dei benefici generati dai sussidi se non per le attività di ricerca e sviluppo, purchè siano limitati alle Pmi e alle start-up.

I ministri Passera e Grilli varano quindi nel marzo 2013 il decreto interministeriale di attuazione del Decreto legge Sviluppo (83-2012) che disciplina il nuovo Fondo per la Crescita Sostenibile, dove è scritto che gli interventi sono attuati con appositi bandi o direttive che dovranno stabilire quasi tutto, dai criteri di valutazione ai termini e le modalità di presentazione delle domande di agevolazione. Per la gestione degli stessi il Ministero ha ampia facoltà di manovra, tra società in house o società ed enti in possesso dei necessari requisiti. La procedura di valutazione prevalente sarà quella negoziale, insieme a quelle automatiche e valutative.

Nella sostanza, non ci sono grosse novità, e neanche sembra possibile sperare di vederne nei bandi attuativi. Più che di riforma si potrebbe parlare di un nuovo regime di aiuti basato su un'unica provvista finanziaria, che mutua assetti e funzioni di strumenti già esistenti, senza introdurre particolari innovazioni. Le regole per ottenere aiuti dipendono dal Decreto Sviluppo, dal decreto interministeriale, da bandi, direttive e chissà da quali e quante altre circolari applicative.

Un riforma radicale avrebbe inciso sulla semplicità ed unicità delle regole, primo fattore per ottenere efficienza nella gestione degli aiuti e consentire alle aziende di programmare il loro sviluppo a medio/lungo termine sulla base di norme ed obiettivi conosciuti, compatibili peraltro – almeno questo è stato scritto – con le strategie della programmazione finanziaria UE.

Soprattutto, una vera riforma non si sarebbe limitata solo ad accennare - nell'art. 2 del decreto interministeriale 8 marzo 2013 - alla "partecipazione finanziaria delle Regioni", ma avrebbe invece sviluppato questo concetto per contrastare l'eccessiva regionalizzazione/frammentazione delle risorse in strumenti gestiti da una miriade di soggetti diversi. Ciò senza nulla togliere alle Regioni in termini di fondi e di politica regionale (la 488 aveva bandi nazionali eppure le Regioni dicevano la loro nella definizione dei punteggi che formavano le graduatorie) ma solo al fine di garantire una centralizzata, efficiente, efficace e trasparente gestione degli aiuti.

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