Economia circolare, il potenziale del settore alla prova della nuova Europa

Foto di Tom Fisk per PixelsC'è un dato di fatto: l'economia circolare non corrisponde più a una visione sperimentale del modello produttivo ma dovrebbe essere la scelta prioritaria. Nonostante le difficoltà burocratiche e la complicata giungla di norme, in dieci anni l'economia che mette al centro il riuso della materia prima è cresciuta tre volte più velocemente del Pil nazionale: 3,6% contro l'1,2% e nel 2024 ha creato 613mila posti di lavoro. I numeri sono di Confindustria che, facendo riferimento anche al rapporto Draghi, ora chiede di più. E parla all'Europa.

Le materie prime critiche: cosa prevede e come si sviluppa il piano europeo

«L'economia circolare aiuta la crescita del Paese e sostiene l'uso efficiente dell'energia e delle risorse, per questo va implementata e favorita anche con interventi legislativi». La richiesta arriva da Confindustria che pubblica il secondo Rapporto sull'economia circolare, a sette anni di distanza dal primo, realizzato nel 2018. Il documento offre un’analisi integrata, esaminando il tema non solo dal punto di vista strettamente ambientale, ma anche di politica industriale, interessando temi strategici quali l’energia, i trasporti, la logistica, le infrastrutture e gli appalti pubblici. Non è un caso che è stato presentato a Bruxelles, al Parlamento europeo, perchè è il mercato di riferimento e quando  gli industriali italiani parlano di regole più semplici e chiare non si riferiscono solo ai confini nazionali. 

Economia circolare: i numeri di un mercato in crescita

Un dato su tutti: nel solo 2024 l'economia circolare ha creato 613 mila posti di lavoro mentre le pratiche di “circolarità” hanno generato risparmi per 16 miliardi, che sono però - secondo una stima dell'associazione industriali - essere solo il 15% del potenziale totale. Quando pensiamo all'economia circolare in genere consideriamo carta, plastica, pneumatici. Confindustria accende un faro anche su un settore primario insospettabile: l'acciaio. Esso deriva  per oltre l'80% da rottami di ferro. Chiaramente, però, il ruolo principale spetta agli imballaggi: nel 2022 il loro tasso di riciclo in Italia era del 71,9%, uno dei migliori mai registrati e ben superiore alla media europea che si attestava al 65,4.

Economia circolare, il punto di partenza: i benefici per l'ambiente

I benefici per l'ambiente sono indiscussi. Confindustria calcola che il riciclo consente di risparmiare un'enorme quantità di emissioni di carbonio: se si raggiungesse un tasso di riciclo del 70% per il polimero non raccolto, si risparmierebbero 14 milioni di tonnellate di Co2 in Europa. La legislazione sui rifiuti e i rifiuti da imballaggio viene considerata troppo onerosa, in particolare per le PMI, a causa del sovrapporsi di requisiti orizzontali e settoriali, incertezze interpretative e rischi di sanzioni. Occorre creare un vero Mercato Unico per la circolarità, superando applicazioni e interpretazioni disomogenee tra Stati Membri, attraverso l’estensione dei criteri end of waste a livello UE a nuovi flussi, lo sviluppo di criteri UE per i sottoprodotti e il «green-listing» di nuovi flussi di rifiuti non pericolosi.

Le dieci raccomandazioni di Confindustria per l'economia circolare

Abbattere le barriere non tecnologiche, promuovere lo scambio di beni e prodotti circolari e potenziare ulteriormente la capacità impiantistica del Paese. Sono le tre direttrici chiave per una transizione efficace, secondo il Rapporto sull’economia circolare di Confindustria. Nel report vengono proposte dieci raccomandazioni strategiche che riflettono le istanze del mondo industriale e mirano a orientare il nuovo quadro regolatorio europeo sull’economia circolare, che verrà declinato nel prossimo Circular Economy Act.

  • 1. Favorire la piena armonizzazione e semplificazione della copiosa regolamentazione europea in materia di economia circolare, coordinando le nuove normative con il quadro esistente, evitando inutili duplicazioni di oneri burocratici ed economici.
  • 2. Semplificare le procedure autorizzative di gestione dei rifiuti e garantire stabilità normativa.
  • 3. Rimuovere le criticità sul permitting ambientale, anche per attrarre investimenti e favorire l’innovazione. Uno studio di BusinessEurope ha, infatti, evidenziato che l’83% delle imprese considera la lunghezza delle procedure di autorizzazione uno dei principali ostacoli agli investimenti in Europa.
  • 4. Razionalizzare istituti giuridici fondamentali per l’economia circolare, quali ad esempio i sottoprodotti e il c.d. end of waste, che si dimostrano ancora incapaci nel sostenere adeguatamente la transizione circolare efficiente e competitiva, a causa di criticità burocratiche e un quadro normativo poco chiaro.
  • 5. Sostenere ricerca e innovazione, elementi chiave per migliorare le tecnologie di valorizzazione dei rifiuti e dei materiali recuperati, semplificando gli adempimenti necessari per la sperimentazione e per l’impiego dei materiali ottenuti nei progetti di ricerca, chiarendo, inoltre, con adeguata regolamentazione, il fine vita dei materiali prodotti da impianti pilota. 
  • 6. Sviluppare e coordinare misure e interventi di incentivazione, atti a promuovere lo sviluppo dell’economia circolare e a sostenere il mercato dei prodotti circolari e dei prodotti realizzati a partire da materie prime rinnovabili. Sarebbe utile determinare dei “titoli di efficienza energetica circolare” che, tramite un approccio scientifico solido determini il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni di gas serra derivante dall’utilizzo di MPS anziché di materie prime primarie nei processi produttivi. Tale meccanismo prevede che il soggetto che immette MPS nel mercato, in relazione al loro effettivo utilizzo, riceva certificati che ne attestino il valore in termini di tonnellate equivalenti di petrolio (tep) o di quote di emissioni di CO2 evitate. Tali certificati potrebbero essere utilizzati all’interno di meccanismi esistenti, come i titoli di efficienza energetica o i mercati delle quote di emissioni di CO2, sia obbligatori che volontari.
  • 7. Rafforzare il ruolo degli appalti pubblici nella promozione della circolarità.
  • 8. Coordinare le politiche di transizione energetica con quelle per l’economia circolare. Favorire un uso più razionale delle risorse, infatti, da impatti anche sulla promozione delle energie rinnovabili, nonché sulle politiche di efficienza energetica, centrali anche per i settori della logistica e dei trasporti.
  • 9. Allocare risorse adeguate per consentire all’industria di raggiungere gli obiettivi già previsti dalle normative europee che si sono finora dimostrate carenti in termini di finanziamenti, sia pubblici che privati.
  • 10. Creare sinergie tra sostenibilità e sicurezza nell’approvvigionamento di materie prime, per garantire una sempre maggiore indipendenza dell’Italia e dell’Ue.

Il ruolo degli appalti pubblici e il riferimento esplicito al rapporto Draghi 

Più volte nel rapporto si fa riferimento al rapporto Draghi presentato il 9 settembre 2024, a partire da una delle sue priorità, ossia il miglioramento della circolarità dei materiali. Infatti il Rapporto dal titolo “Il futuro della competitività europea”, presentato alla Commissione Europea, evidenzia proprio la necessità di una riduzione, semplificazione e armonizzazione delle normative a livello comunitario. Lo scopo è creare un contesto regolatorio che favorisca la competitività delle imprese europee, con un’attenzione particolare per le piccole e medie (PMI). Un’urgenza, questa, che si è manifestata con particolare evidenza negli ultimi anni, specialmente in relazione all’implementazione del Green Deal europeo. All’interno di questo ambizioso piano, l’economia circolare si distingue come uno dei temi centrali, sia per la sua portata innovativa, sia per il suo potenziale di trasformazione radicale dei processi produttivi e dei mercati. 

Nel Rapporto Draghi vengono indicati quattro principi fondamentali per guidare una riforma normativa efficace:

  1. 1. Identificare in anticipo la logica e gli obiettivi della regolamentazione: è essenziale che ogni iniziativa legislativa abbia obiettivi chiari e ben definiti, che ne giustifichino la necessità.
  2. 2. Scegliere lo strumento legislativo più adeguato: la normativa deve essere progettata in modo da ridurre i costi di conformità, recepimento e rendicontazione per le imprese, minimizzando gli oneri amministrativi.
  3. 3. Garantire trasparenza e coinvolgimento degli stakeholders: è fondamentale che il processo di elaborazione normativa sia inclusivo, coinvolgendo attivamente tutte le parti interessate, dalle imprese alle associazioni industriali, fino alla società civile.
  4. 4. Assicurare una corretta attuazione e applicazione nei vari Stati membri: solo attraverso una coerenza nell’applicazione delle norme si può evitare una frammentazione del mercato europeo, che sarebbe dannosa per la competitività delle imprese.

Uno degli strumenti più importanti dovrebbe riguardare gli appalti pubblici e l'applicazione del Green Public Procurement (GPP) e dei Criteri minimi ambientali (Cam). Il mercato dei contratti pubblici vale circa il 14% del PIL, in linea con la media dell’UE. Nel 2023 il valore complessivo degli appalti di importo pari o superiore a 40.000 euro si è attestato attorno ai 283,4 miliardi di euro. Tale dato rappresenta il secondo valore più alto della serie storica, facendo registrare, rispetto al 2019 (punto di minimo della serie), un aumento di circa il 65,9%. Il trend positivo è confermato dall’importante aumento del 36,4% che il dato del 2023 fa registrare a confronto con l’anno 2021. 

Il Rapporto Draghi rileva che il potenziale degli appalti per stimolare l’innovazione è fortemente sottoutilizzato a livello europeo: gli investimenti negli appalti per l’innovazione, che comprendono sia gli appalti di ricerca e sviluppo che quelli di soluzioni innovative, rappresentano solo il 10% circa della spesa totale per gli appalti pubblici, un livello inferiore a quello raccomandato del 20%. La proposta delineata nel Rapporto, rivolta a tutti gli Stati membri, è di mettere in atto una politica nazionale ambiziosa in materia di appalti per l’innovazione, con obiettivi chiari, risorse, scadenze e misure efficaci di monitoraggio. Per ottenere una "contrattualistica sostenibile" occorrerebbe, secondo Confindustria, rendere obbligatori i CAM, impostare l'appalto sulla circolarità fin dalla fase di progettazione.

Il settore energetico e degli elettrodomestici

Secondo Enea i consumi elettrici delle abitazioni sono riconducibili per il 58% agli elettrodomestici. Da marzo 2021 è entrata in vigore la nuova etichettatura energetica per frigoriferi, congelatori, lavatrici e lavastoviglie; solo queste quattro tipologie di prodotti sono responsabili di oltre il 40% dei consumi elettrici domestici.

Il parco installato italiano di frigoriferi, congelatori, lavatrici e lavastoviglie conta oltre 73 milioni di unità, con una vita media molto alta, abbondantemente superiore ai 12 anni. Bisogna ricordare che solo poco più del 3% degli apparecchi installati è riconducibile alle classi elevate della nuova etichettatura energetica. Ipotizzando il rinnovo del parco installato per circa 2 milioni di apparecchi si consentirebbe un risparmio energetico superiore ai 630 GWh/anno, indicativamente pari al consumo elettrico di una provincia di 600 mila abitanti, come Como o Latina, il tutto contestualmente al recupero delle materie prime degli apparecchi. Un doppio vantaggio, per l'ambiente e per l'economia,secondo Confindustria che propone una misura incentivante finalizzata  a favorire anche la sostituzione degli elettrodomestici attraverso un corretto trattamento dei rifiuti elettronici. Se correttamente trattati, oltre il 95% dei materiali del vecchio elettrodomestico sono recuperabili e reimmettibili nel ciclo produttivo.

I RAEE, il target europeo ancora molto lontano

Occorre tenere presente che il tasso di avvio al trattamento dei RAEE in Italia si attesta su valori sensibilmente distanti dal target che l’Unione Europea ha assegnato agli Stati membri: ad oggi il tasso italiano di ritorno si attesta a poco più del 30%, a fronte di un obiettivo del 65%. Il mancato raggiungimento dei target è da imputare anche all’enorme flusso di RAEE “disperso”. In tal senso solo un terzo di RAEE dismessi è intercettato dai sistemi ufficiali gli altri due terzi vengono esportati o riciclati in modo ambientalmente scorretto. Secondo Confindustria, «una misura che stimoli la sostituzione delle vecchie apparecchiature domestiche agevolerebbe, allo stesso tempo, i consumatori e l’industria nazionale, in quanto consentirebbe di orientare le scelte dei consumatori verso i prodotti più performanti dal punto di vista energetico e a maggiore valore aggiunto». 

I decreti End of waste

Sono lo strumento principe per introdurre la circolarità e creare materie prime seconde. Sette decreti End of waste sono stati creati: 

  • DM 22/2013: per i combustibili solidi secondari (CSS); 
  • DM 69/2018: per i conglomerati bituminosi; 
  • DM 62/2019: per i prodotti assorbenti per la persona (PAP); 
  • DM 78/2020: per la gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso; 
  • DM 188/2020: per la carta e il cartone; 
  • DM 152/2022: per i rifiuti inerti da costruzione e demolizione; 
  • DM 127/2024: per i rifiuti inerti da costruzione e demolizione. 

Altri tre sono in fase di pubblicazione: 

  • Schema di decreto “End of Waste” per i rifiuti da spazzamento stradale; 
  • Schema di decreto “End of Waste” per le membrane bituminose; 
  • Schema di decreto “End of Waste” per i rifiuti tessili. 

I tempi, per gli industriali e anche per il rapporto Draghi, sono troppo lenti e non soddisfano le esigenze dell'evoluzione tecnologica e ambientali. «Il quadro normativo, piuttosto frammentario e limitato, rispetto all’evoluzione delle tecnologie di riciclo e alla crescente esigenza di una gestione più efficace delle risorse, evidenzia un disallineamento tra il ritmo dell’innovazione e la capacità della regolamentazione di adattarsi. La velocità di sviluppo di nuove tecnologie e pratiche circolari richiede normative tempestive e flessibili, che attualmente faticano a essere approvate in tempi adeguati. Le difficoltà non riguardano solo i regolamenti comunitari e nazionali, ma anche le autorizzazioni rilasciate “caso per caso” dalle autorità locali». 

Iniziativa Raw Materials

D'altro canto la strategicità delle materie prime critiche, necessarie per affrontare la transizione energetica ed ecologica, è chiara anche in Europa che, al culmine di una serie di provveidmenti orientati in tal senso (leggasi Green Deal) ha pubblicato il Critical Raw Materials Act. In particolar modo sono stati definitivi 4 obiettivi da conseguire entro il 2030:

  • il 10% delle materie prime critiche consumate in Europa dovrà essere estratto sul territorio europeo;
  • il 40% del consumo di materie prime critiche dovrà essere lavorato in Europa;
  • almeno il 25% del consumo europeo di materie prime critiche dovrà derivare da attività di riciclo;
  • la dipendenza da ogni singolo Paese produttore non potrà superare il 65% per ogni materia prima critica.

Per raggiungere questi obiettivi, il Critical Raw Materials Act prevede la messa a punto di progetti strategici, definiti come iniziative di investimento lungo tutta la filiera, da realizzare sia in Europa, sia fuori dai confini europei. È a questa strategia che guarda il rapporto di Confindustria sull'economia circolare, e, alla luce del mutato e mutevole quadro geopolitico, diventa più pregnante che mai.

L'executive summary del Rapporto di Confindustria

Il Secondo Rapporto completo sull'Economia circolare

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