Imprese: chi è green è più resiliente. E con il digitale cresce anche il fatturato
Il rapporto GreenItaly 2020 di Fondazione Symbola e Unioncamere parla chiaro: le imprese più green sopravvivono meglio quando le difficoltà crescono. E green e digitale insieme rafforzano la capacità competitiva delle aziende, facendo crescere il fatturato. Il Recovery Fund e il Green Deal sono quindi un’occasione unica per uscire dalla crisi migliori di come ci siamo entrati.
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Prima della pandemia oltre 432mila imprese italiane dell’industria e dei servizi hanno investito in prodotti e tecnologie green. In pratica quasi una su tre.
E proprio questa fetta di imprese ha reagito meglio allo shock causato dal Covid-19: secondo un’indagine svolta da Symbola e Unioncamere nel mese di ottobre 2020 su 1.000 imprese manifatturiere, chi è green è più resiliente.
Le imprese green resistono meglio alle crisi
Tra le imprese che hanno effettuato investimenti per la sostenibilità il 16% è riuscito ad aumentare il proprio fatturato, contro il 9% delle imprese non green.
Ciò non significa che la crisi non si sia fatta sentire, ma comunque in misura più contenuta: sono l’8,2% le imprese manifatturiere il cui fatturato è sceso nel 2020 di oltre il 15%. Ma la percentuale sale quasi al doppio (14,5%) tra le imprese non eco-investitrici.
Il vantaggio competitivo delle imprese che hanno fatto investimenti green si conferma anche in termini occupazionali (assume il 9% delle green contro il 7% delle altre) e di export (aumenta per il 16% contro il 12%).
Green e digitale insieme fanno crescere il fatturato
Questo anche perché le aziende eco-investitrici innovano di più (73% contro 46%), investono maggiormente in R&S (33% contro 12%) e utilizzano o hanno in programma di utilizzare in misura maggiore le tecnologie 4.0.
Dal rapporto GreenItaly 2020 emerge chiaramente che green e digitale insieme rafforzano la capacità competitiva delle nostre aziende: le imprese eco-investitrici orientate al 4.0 nel 2020 hanno visto un incremento di fatturato nel 20% dei casi, quota più elevata del citato 16% del totale delle imprese green e più che doppia rispetto al 9% delle imprese non green.
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Economia circolare, agricoltura green, chimica sostenibile: i settori in cui l’Italia eccelle
Molte delle imprese italiane, nonostante la crisi prodotta dal Covid-19, non hanno rinunciato a innovare e scommettere sulla sostenibilità ambientale, anzi, alcune hanno deciso di alzare la posta per essere ancora più competitive e resilienti, si legge nel rapporto.
Siamo infatti il campione europeo nell’economia circolare e nell’efficienza dell’uso delle risorse. L’Italia, dice Eurostat, è in assoluto il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti: 79%, il doppio rispetto alla media europea (solo il 39%) e ben superiore rispetto a tutti gli altri grandi Paesi europei (la Francia è al 56%, il Regno Unito al 50%, la Germania al 43%). Non solo. Complessivamente, la sostituzione di materia seconda nell’economia italiana comporta un risparmio potenziale pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate di CO2. Si tratta di valori equivalenti al 14,6% della domanda interna di energia e al 14,8% delle emissioni climalteranti (2018).
Per ogni chilogrammo di risorsa consumata, l’Italia genera – a parità di potere d’acquisto (PPS) – 3,6 euro di PIL, contro una media europea di 2,3 euro e valori di 2,5 della Germania o di 2,9 della Francia (mentre la produttività è più elevata nel Regno Unito, 3,9 euro/kg, per ragioni anche connesse alla struttura economica meno industriale).
Produciamo meno rifiuti: 42,3 milioni di tonnellate per ogni milione di euro, contro i 58,9 milioni della media dei grandi Paesi UE (e i 59,5 della Germania).
L’economia circolare diventa mainstream e tutti i settori ricorrono in maniera più consistente a materiale di recupero, anche nelle produzioni di fascia alta (ad esempi gli agglomerati di quarzite o l’arredamento di design). L’industria italiana del legno arredo è prima in Europa in economia circolare: il 93% dei pannelli truciolari prodotti in Italia è fatto di legno riciclato.
Con il taglio record del 20% sull’uso dei pesticidi (2011-2018) l’agricoltura italiana si conferma la più green d’Europa, a fronte di un trend opposto in Francia e Germania (forse anche per questo, pur essendo la meno sussidiata, occupa il primo posto in UE per valore aggiunto con 31,8 miliardi di euro).
Siamo il primo Paese europeo per numero di aziende agricole impegnate nel biologico dove sono saliti a ben a 80.643 gli operatori coinvolti (2019). Crescita trainata anche dal mercato interno, che persino durante il lockdown ha mostrato un incremento dell’11% delle vendite di prodotti bio nei supermercati.
L’Italia ha poi il primato comunitario di giovani (gli under 35 alla guida di un’impresa agricola sono oltre 56 mila) e donne in agricoltura (un’azienda agricola su quattro – 28% – è guidata da donne: quasi 210mila imprenditrici).
L’Italia è uno dei campioni mondiali nel campo della chimica verde e sostenibile e delle bioplastiche, soprattutto per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione, grazie ad alcuni tra i leader globali che guidano i progressi del settore (come Novamont). E i prodotti di questa nuova chimica sono utilizzati dalle imprese di filiera sempre più numerose, dall’agroalimentare al tessile. Proprio il nostro settore tessile guida la conversione sostenibile della moda: nelle fibre e, appunto, nell’uso di prodotti chimici più sostenibili.
Da questa crisi potremmo davvero uscirne migliori. Ma occorre cambiare marcia
“La green economy è la migliore risposta alla crisi che stiamo attraversando”, afferma il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci.
“Un’Italia che fa l’Italia ed è la sperimentazione in campo aperto di un paradigma produttivo fatto di cura e valorizzazione dell’ambiente, dei territori e delle comunità, che ci può aiutare ad uscire dalla crisi migliori di come ci siamo entrati. Che può contribuire a superare i mali antichi del Paese: non solo il debito pubblico ma le diseguaglianze, l’illegalità e l’economia in nero, una burocrazia spesso inefficiente e soffocante. Un paradigma che ci può portare, come recita il Manifesto di Assisi, senza lasciare indietro nessuno e senza lasciare solo nessuno, verso una nuova economia più a misura d’uomo, per questo più resiliente e competitiva, che può diventare la missione del Paese. Possiamo farlo se mettiamo in campo i nostri migliori talenti, li incoraggiamo e sosteniamo, puntiamo su di loro. Il Recovery Fund e il Green Deal sono l’occasione per farlo. Un’occasione che non possiamo perdere senza compromettere il nostro futuro”.
“Dal Rapporto emergono quattro punti fondamentali”, ha sottolineato il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. “1. La transizione verde è un percorso su cui le imprese italiane si sono già avviate: un quarto di esse, malgrado le avversità di questo periodo, intende investire nella sostenibilità anche nel prossimo triennio. 2. Le imprese della greeneconomy sono più resilienti: nel 2020, hanno registrato perdite di fatturato inferiori alle altre, sono ottimiste più delle altre e ritengono di recuperare entro 1-2 anni i livelli di attività precedenti alla crisi. 3. Le imprese green innovano di più, investono maggiormente in R&S, utilizzano di più le tecnologie 4.0 e privilegiano le competenze 4.0. 4. Le imprese giovanili guardano di più al green: il 47% delle imprese di under 35 ha investito nella green economy nel passato triennio contro il 23% delle altre imprese”.