Finanza sostenibile: pro e contro della tassonomia europea
Nella Settimana dell’Investimento Sostenibile e Responsabile (Settimana SRI), che si svolge fino al 21 novembre tra Milano, Roma e Napoli, il presidente del Forum per la Finanza Sostenibile Pietro Negri illustra pro e contro della tassonomia europea per individuare le attività economiche sostenibili.
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Circa 31 trilioni di dollari in tutto il mondo possono essere ricondotti alla categoria degli investimenti sostenibili, e il mercato europeo si pone al primo posto nel mondo, seguito da Stati Uniti e Giappone.
Cifre che danno l’idea dell’importanza del settore, e di come gli investimenti sostenibili abbiano caratteristiche precise già oggi. Quel che manca è un linguaggio comune a livello internazionale, una definizione univoca di quale investimento può definirsi o meno sostenibile.
Bruxelles ha definito una tassonomia ispirata alle classificazioni statistiche esistenti e pensata per orientare gli investimenti su quelle attività che possono essere definite realmente sostenibili. Ma una visione troppo tecnica e rigida rischia di essere controproducente, avverte Pietro Negri, Presidente del Forum per la Finanza Sostenibile e Responsabile Sostenibilità e Corporate governance di ANIA.
E’ davvero necessaria una tassonomia che definisca cos’è un investimento sostenibile? L’approccio europeo è quello giusto?
La tassonomia cerca, a livello europeo - ma l’ambizione è che si adotti a un più ampio livello internazionale - di definire quali attività possano rientrare nel concetto di sostenibilità.
La Commissione individua una serie di target che dovrebbero essere considerati nella valutazione del grado di sostenibilità di un'attività economica, a partire dalla mitigazione dei cambiamenti climatici, come le attività volte all’eliminazione della plastica, e l’adattamento al Climate Change, vale a dire quelle attività che pur non essendo in grado di abbassare nell’immediato la produzione di CO2 aiutano le altre attività ad essere più resilienti.
Gli altri target riguardano la tutela degli ecosistemi, delle acque eccetera (si tratta di uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine, la transizione a un'economia circolare, compresi la prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti, prevenzione e il controllo dell'inquinamento e la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, ndr).
Ai target si affiancano alcuni requisiti previsti nella tassonomia: innanzitutto per poter essere elegibile un investimento non solo deve centrare uno dei target, ma non deve nuocere o ostacolare il raggiungimento degli altri obiettivi.
Poi c’è il requisito del rispetto dei diritti umani, criterio che è stato fortemente voluto dal Parlamento europeo. Infine, gli investimenti devono essere conformi ai criteri di vaglio tecnico.
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Un investitore dovrebbe quindi utilizzare questi parametri per capire quanto il proprio portafoglio d’investimento contribuisce a produrre CO2 e che impatto ha sul clima, e indirettamente, sulla società.
Personalmente ho qualche dubbio sulla definizione di tassonomia rigida, perché è sì importante tenere conto dell’aspetto tecnico degli investimenti, ma ciò che dovrebbe ancor più essere messo in risalto è avere un’idea complessiva dello sviluppo che si vuole perseguire a livello politico e istituzionale.
Uno degli obiettivi della tassonomia è evitare il rischio “greenwashing”. Basterà? Come si fa a garantire un adeguato livello di trasparenza?
Il greenwashing va senz’altro stigmatizzato, ma in alcuni ambiti la questione è un’altra ed è legata a un certo livello di incertezza.
Ad esempio, in passato l’industria del tabacco è stata esclusa dai portafogli degli investitori. Non finanziare più un certo tipo di attività significa mettere in difficoltà un intero settore, creando problemi di ordine sociale non da poco, con il rischio di deprimere una certa area geografica dove quell’industria è particolarmente sviluppata e fornisce di che vivere a un certo numero di lavoratori.
Solo attraverso l’engagement dell’investitore, e non necessariamente con l’esclusione di un settore, si possono favorire processi di trasformazione dell’economia in una certa direzione.
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La tassonomia immaginata da Bruxelles pone fortemente l’accento su ambiente e clima. Non rischia così di lasciare indietro il segmento della finanza sostenibile dedicato al sociale?
Trovo utile la tassonomia per definire alcuni strumenti finanziari ad esempio i Green Bond, anche se si pone un problema di usability da parte dell’industria finanziaria.
Si tratta di capire la differenza tra l’investimento in uno specifico progetto, che soddisfa i target e i requisiti di sostenibilità, e l’investimento in un soggetto la cui attività complessiva non è necessariamente sostenibile in toto.
Ad esempio: nel momento in cui l’intermediario finanziario sottoscrive il Green Bond di un’azienda energetica dedicato a uno specifico progetto pienamente sostenibile, potrebbe inserire quell’investimento tra quelli a impatto zero. Ma allo stesso tempo si investe nel progetto di un’azienda che ha interessi ben più ampi, che vanno oltre quello specifico progetto, alcuni dei quali possono non essere definiti sostenibili.
Quanto all’impatto sociale, il Parlamento europeo in una risoluzione ha chiesto l’impegno per una tassonomia di tipo sociale. Ma temo sia molto difficile da realizzare, per via dei diversi modelli esistenti nei vari Paesi.
In Italia si sta valutando l’ipotesi di avviare un Social Impact Fund. Recentemente Giovanna Melandri, presidente dell’associazione Social Impact Agenda per l’Italia, di cui ANIA è socia, ha incontrato il Presidente del Consiglio Conte e il Ministro Gualtieri per discutere l’idea di creare un Social Impact Fund a livello nazionale.
L’idea è sostanzialmente quella di creare una partnership pubblico-privata per finanziare attività ad impatto sociale che possano essere di supporto a un welfare state che arretra sempre di più, dove i capitali privati vanno a sostegno di un progetto più ampio (ad esempio collegato alla riqualificazione degli edifici scolastici o ad attività più generali di carattere sociale). A fronte della misurazione dell’outcome prodotto si riconosce un rendimento finanziario agli investitori.
Il Forum per la finanza sostenibile ha sviluppato da anni questo tema, ma si pone una questione di carattere politico: dobbiamo tener presente che l’arretramento dello Stato nel fornire servizi welfare è già una scelta politica.
Parallelamente dobbiamo immaginare dei fondi di garanzia che possano sostenere questo tipo di investimenti, perché dal lato degli investitori finanziari non è pensabile fare scommesse.
Inoltre, c’è da considerare che spesso e volentieri questo tipo di investimento sono “capitali pazienti”, cioè non si può prendere i soldi e fuggire. In generale, non si può pensare che la finanza sostenibile sia calibrata sul breve termine, ma ha un orizzonte di medio-lungo periodo.
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Settimana SRI
L’ottava edizione della Settimana dell’Investimento Sostenibile e Responsabile (o Settimana SRI) prende il via oggi e si tiene fino al 21 novembre 2019 tra Milano, Roma e Napoli.
L’iniziativa, promossa e coordinata dal Forum per la Finanza Sostenibile, è uno dei principali appuntamenti in Italia dedicati all’Investimento Sostenibile e Responsabile (o SRI da Sustainable and Responsible Investment).
Il calendario dell’edizione 2019 comprende 13 convegni – tutti aperti al pubblico – che approfondiranno temi di primo piano nell’ambito della finanza sostenibile, anche con la presentazione di ricerche e pubblicazioni.