Bad bank: strada in salita per uscire dalla stretta del credito
Banche in movimento. Governo al lavoro. Le bad bank potrebbero diventare una realtà anche in Italia. Seguendo gli esempi di paesi come Spagna, Irlanda e Svezia.
Bankitalia e ABI dicono sì, con convinzione. Il ministero dell’Economia è favorevole, anche se con qualche paletto. La sostanza, comunque, è che la nascita di una o più bad bank italiane, nelle quali convogliare i crediti deteriorati degli istituti di credito, sta diventando qualcosa di più che una semplice ipotesi giornalistica. Ci starebbero già pensando Intesa San Paolo, Unicredit e Mediobanca. Riportandosi a esempi già sperimentati negli anni passati in paesi come Spagna, Irlanda e Svezia.
I dati delle sofferenze
La fotografia della situazione italiana è preoccupante. Secondo gli ultimi dati di Bankitalia, lo scorso dicembre è stato registrato un aumento del peso delle sofferenze del 24,6%, raggiungendo la quota record di 155,8 miliardi di euro, più del doppio rispetto al livello del 2010. Insomma, i nostri istituti di credito hanno prestato grandi quantità di denaro che potrebbero non tornare mai indietro. Se a questa cifra sommiamo gli incagli, le esposizioni verso soggetti in difficoltà temporanea, sforiamo la soglia dei 300 miliardi di euro.
Gli stress test
Sono numeri enormi, soprattutto se pensiamo che le nostre banche saranno sottoposte a breve allo screening degli stress test della Banca centrale europea, nel quadro della nuova vigilanza unica dell’Ue sugli istituti. Trovare un modo per asportare chirurgicamente questo bubbone pronto a esplodere darebbe grandi benefici ai loro bilanci. Così ABI e Bankitalia hanno ipotizzato la creazione di una cosiddetta “bad bank”, un contenitore nel quale infilare tutti questi prestiti in sofferenza.
Le parole del Mef
Il fatto che non si tratti di un’ipotesi peregrina viene testimoniato da una nota del Ministero dell’Economia che, qualche giorno fa, ha spiegato di guardare “con favore a tutte le iniziative che gli operatori del credito e della finanza stanno mettendo in campo per alleggerire il proprio patrimonio dai prestiti deteriorati, liberando così capitale da impiegare a sostegno delle imprese e dei consumi”. Insomma, operazioni di questo tipo sono già state fatte altrove e potrebbero portare dei benefici. La bad bank prende in carico i crediti e li recupera in tempi più rilassati e, intanto, la banca che cede il credito può andare sul mercato con un bilancio più presentabile.
Niente risorse pubbliche
Il ministro Fabrizio Saccomanni ha posto una sola avvertenza. Anche se “valuta positivamente iniziative anche di natura consortile di operatori di settore”, infatti, “ritiene che a tale scopo non sia necessario l’impiego di risorse pubbliche nazionali o comunitarie”. Lo Stato, quindi, non deve investire nulla in questi veicoli. Non è, cioè, possibile replicare in Italia il modello spagnolo, la Sareb. Questa nel 2012 è arrivata sul mercato per farsi carico di 54 miliardi di crediti: per il 45% è nelle mani dello Stato ed è stata sovvenzionata anche grazie ai 41 miliardi incamerati da Madrid tramite il Fondo salva Stati di Bruxelles.
Il modello Bbva-Santander
Bisognerebbe guardare, invece, a un altro esempio spagnolo. Bbva e Santander, infatti, hanno preferito non aderire a Sareb, gestendo da sole i rispettivi asset problematici. Perché, se condotta con cura, la bad bank può essere conveniente per tutti. E, tramite una gestione più mirata, può consentire di recuperare denaro che, altrimenti, non sarebbe mai tornato nelle casse della banca. Liberando, al contempo, soldi da immettere nel circuito dell’economia reale. Almeno in teoria. Perché a molti questo tipo di manovra fa tornare in mente le sciagurate cartolarizzazioni degli anni 2000, che hanno impacchettato crediti che sul mercato quasi nessuno ha comprato. Generando più problemi che altro alla stabilità del sistema.
Operazioni in preparazione
Così, dalle nostre parti, starebbero già prendendo forma almeno tre operazioni. Intesa e Unicredit starebbero lavorando, insieme al fondo di private equity americano Kkr, a un veicolo comune dove poter scaricare 10,6 miliardi di crediti ristrutturati. Mentre Intesa San Paolo, in solitaria, starebbe valutando di scaricare 55 miliardi di crediti problematici in una divisione ad hoc. Mediobanca, infine, sarebbe sul punto di creare una serie di fondi nei quali far confluire gli asset in sofferenza degli istituti di credito di medie dimensioni.