Italia 2020: Piano di azione per l'occupabilità dei giovani
Le proiezioni al 2020 vedono l’Italia in una posizione di grave difficoltà, nel contesto internazionale e comparato, rispetto alle prospettive demografiche, occupazionali e di crescita. Si prevede, in particolare, una forte carenza di competenze elevate e intermedie legate ai nuovi lavori e un disallineamento complessivo della offerta formativa rispetto alle richieste del mercato del lavoro.
Per la piena occupabilità dei giovani sono state individuate sei aree di intervento ritenute prioritarie, da implementare rapidamente, secondo una visione integrata e con il concorso di tutti gli attori coinvolti, affidando il compito di impulso, coordinamento e monitoraggio a una “cabina di pilotaggio” condivisa.
1. Facilitare la transizione dalla scuola al lavoro
La difficile transizione dal mondo dell’istruzione e della formazione a quello del lavoro è una delle principali criticità dell'Italia, evidenziata in tutti i benchmark internazionali: nei “tempi”, che sono eccessivamente lunghi, nei “modi”, in quanto la ricerca del lavoro avviene prevalentemente attraverso reti amicali e informali che, non di rado, operano ai limiti della legalità, nonchè tra i vari gradi e ordini dei percorsi educativi di istruzione e di formazione che genera rilevanti fenomeni di abbandono e dispersione, anche per l’incapacità di orientare i giovani alla scelta di percorsi coerenti con le proprie attitudini e potenzialità.
La riduzione dei tempi di transizione generazionale dalla scuola alla vita professionale e il contenimento dei fenomeni di job mismatch richiedono un insieme di interventi integrati e strutturati di politiche attive del lavoro che rendano più fluidi e trasparenti i meccanismi che regolano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e che anticipino il contatto tra lo studente e l’impresa lungo tutto il percorso scolastico e formativo e quello universitario.
È importante potenziare la rete degli operatori, autorizzati o accreditati, presenti sul mercato del lavoro, contrastare i canali informali che operano al di fuori del sistema, rilanciare la borsa continua nazionale del lavoro. Ancor più decisivo è che attività di orientamento al lavoro e di vero e proprio career service si sviluppino direttamente all’interno degli istituti scolastici e delle università come previsto dalla Legge Biagi, sfruttando a dovere la posizione privilegiata degli istituti di istruzione e formazione nell’indicare alle aziende i giovani in possesso del curriculum scolastico e universitario più adatto al profilo ricercato.
Nello stesso tempo, questa attività può rappresentare per le scuole e le università uno straordinario sensore della qualità e coerenza della loro offerta formativa rispetto alle richieste del tessuto produttivo circostante e degli studenti.
Sono le scuole e le sedi universitarie a dover svolgere a livello istituzionale, e con il coinvolgimento attivo di tutti i docenti e delle famiglie, un ruolo insostituibile di “intermediazione” tra i giovani e la società formandoli e preparandoli adeguatamente all’inserimento nel mondo del lavoro.
Moderne leve di placement possono essere, in questa prospettiva, i percorsi educativi di istruzione e formativi in alternanza scuola lavoro e, in questo contesto, particolarmente, in apprendistato che consentono, con esperienza pratica e in un assetto produttivo autentico, il conseguimento di un titolo di studio.
2. Rilanciare l’istruzione tecnico-professionale
Un altro grave limite dell'Italia nella competizione internazionale è rappresentato dalla mancanza di profili tecnici e professionali intermedi e superiori: si assiste così al paradosso di imprese che non trovano la forza lavoro qualificata di cui hanno bisogno per competere sui mercati internazionali e di giovani in condizioni di disoccupazione o sotto-occupazione perché dotati di competenze che non servono al mercato del lavoro o che, comunque, risultano spendibili unicamente in settori e ambiti a bassa crescita occupazionale.
L’istruzione tecnica rappresenta una opportunità per i giovani e per le imprese, ma soprattutto una necessità per il Paese. La ripresa economica non potrà prescindere dalla rinascita del settore manifatturiero e del made in Italy che sono storicamente collegati agli istituti tecnici.
Questa grave anomalia impone, per un verso, il potenziamento delle azioni di orientamento e, per l’altro verso, la riorganizzazione, il rilancio e la riqualificazione della istruzione tecnica, che va sviluppata sino a livello terziario con la costituzione degli istituti tecnici superiori nelle aree tecnologiche più strategiche per l’innovazione e la competitività, soprattutto delle piccole e medie imprese, anche mediante il ricorso all’apprendistato di alta formazione e, soprattutto, la costruzione di percorsi formativi e di istruzione tecnica e professionale nei luoghi di lavoro e in assetto lavorativo. Queste scelte contribuiranno a ridurre significativamente, da un lato, l’astrattezza della cultura scolastica e, dall’altro, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, migliorando l’occupabilità dei giovani e la permanenza nel mercato del lavoro degli adulti.
L’istruzione tecnica richiede adattamento e miglioramento, ma è essenziale che il suo impianto e la sua identità siano riconoscibilmente distinte sia da quelle tipiche del filone liceale (liceo tecnologico compreso) sia da quelle che qualificano i percorsi graduali e continui dell’istruzione e formazione professionale. Senza questa accorta integrazione/distinzione dei percorsi della istruzione tecnica e della istruzione e formazione professionale, d’altra parte, la scommessa di una formazione professionale non universitaria post secondaria risulterebbe del tutto pregiudicata e un settore formativo che esiste in tutti i paesi del mondo non potrebbe mai vedere la luce e irrobustirsi come merita al servizio dei ragazzi e del Paese.
3. Rilanciare il contratto di apprendistato
Come detto, l’apprendistato rappresenta in effetti un innovativo strumento di placement, fondato sulla integrazione tra sistema educativo e formativo e mercato del lavoro, che supera la vecchia, quanto artificiosa distinzione tra formazione “interna” e formazione “esterna” all’impresa e consente ai giovani un rapido e stabile ingresso nel mondo del lavoro.
4. Ripensare l’utilizzo dei tirocini formativi, promuovere le esperienze di lavoro nel corso degli studi, educare alla sicurezza sul lavoro, costruire sin dalla scuola e dalla università la tutela pensionistica
Per lungo tempo hanno rappresentato, assieme ai contratti di formazione e lavoro e all’apprendistato, uno dei pochi canali di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Tittavia, accanto a buone prassi si registrano fenomeni di preoccupante degenerazione dei tirocini formativi e di orientamento che, non di rado, sono utilizzati come canale di reclutamento di forza lavoro a basso costo senza alcuna valenza formativa o anche solo di vero e proprio orientamento.
Il loro utilizzo, pertanto, può e deve essere ripensato e rivalutato soprattutto alla luce della più recente evoluzione del quadro legale che ha previsto molteplici modalità di inserimento agevolato dei giovani nel mercato del lavoro.
Il collegamento stabile tra la scuola e il mondo del lavoro, anche attraverso tirocini ed esperienze di lavoro, assume un ruolo decisivo per promuovere e sostenere lo sviluppo e la diffusione della cultura della prevenzione negli ambienti di vita, studio e lavoro. In questa prospettiva l’educazione alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro può infatti assumere, nel complesso della programmazione didattica delle scuole dell'autonomia, una valenza concreta tale da consentire la sperimentazione di nuove metodologie a sostegno della sicurezza dei lavoratori al fine di garantirne una occupazione di qualità.
Un contatto anticipato con il mondo del lavoro aiuta infine i giovani a comprendere in tempo utile l’importanza di costruire il proprio futuro pensionistico che non potrà non essere condizionato dal monte contributivo versato
5. Ripensare il ruolo della formazione universitaria
L’iscrizione di massa dei diplomati alla università non risponde alle reali esigenze del mondo del lavoro e neppure alle prospettive di crescita degli stessi studenti che, in numero rilevante, abbandonano l’università già dopo il primo anno complicando con ciò i percorsi di transizione al mondo del lavoro.
Sempre meno sono così i laureati che trovano una occupazione attinente alla formazione ricevuta. Più della metà dei laureati svolge un lavoro dove è richiesta genericamente una laurea o è sottooccupato in mansioni e compiti che non richiedono neppure la laurea. Più di una riflessione merita poi il fatto che la maggior parte di coloro che ottengono la laurea di primo livello sceglie di proseguire gli studi nel biennio specialistico.
Innanzitutto, occorre portare a compimento un percorso, già avviato, di semplificazione e riduzione del numero dei corsi di laurea triennale. La loro finalità non è infatti quella di incanalare i giovani in percorsi precocemente specializzati e forzatamente professionalizzanti, ma di fornire basi ampie, solide, approfondite sulle quali ciascuno potrà innestare la propria vocazione particolare secondo le scelte di vita personali. Il titolo triennale deve garantire salde conoscenze di metodo e di contenuto, presupposto imprescindibile sia per chi decide di impegnarsi subito nel mondo del lavoro sia per chi prosegue negli studi
E' necesssario incentivare le università a prevedere una offerta formativa coerente con l’idea di apprendimento lungo l’intero ciclo di vita con percorsi formativi e di approfondimento anche per chi è già entrato nel mondo del lavoro, in modo da valorizzare (anche in termini di investimento reciproco) il legame di appartenenza con la propria università.
6. Aprire i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro
Le aziende italiane non conoscono e non utilizzano i dottorati di ricerca. Nei Paesi che primeggiano nella competizione internazionale le aziende utilizzano – e finanziano generosamente – i dottorati di ricerca quale straordinaria opportunità per innovare e crescere; per reclutare i migliori talenti e investire sulle competenze di eccellenza richieste dai nuovi mercati del lavoro. In Italia, per contro, il destino del dottore di ricerca è, nella migliore delle ipotesi, la carriera accademica.
Occorre superare questa grave anomalia, che genera un vero e proprio circolo vizioso e priva il Paese di un rilevante bacino per sostenere la ricerca nel settore privato, per formare figure professionali strategiche per le imprese e le professioni, per dotare il Paese di una nuova classe dirigente.
Nel contesto di una rinnovata concezione della alta formazione universitaria e della ricerca, anche a sostegno della innovazione e della crescita del sistema produttivo e non solo nell’ottica limitata della carriera universitaria, assume una importanza strategica un ripensamento del dottorato di ricerca e del post-dottorato che devono drasticamente aprirsi verso il mercato del lavoro e quello delle professioni.
È importante che il valore scientifico del dottorato sia alto e internazionalmente riconosciuto come tale, oltre che spendibile, ove serva, sul mercato del lavoro. Il dottorato costituisce infatti il grado più alto di specializzazione offerto dalla università, sia per chi intende dedicarsi alla ricerca sia per chi desidera entrare nel mondo produttivo dotato di competenze e capacità progettuali e di ricerca di particolare peso.
Sulle linee di azione sarà convocato un tavolo con le parti sociali e le associazioni di categoria.
Piano d'azione