Ddl rigenerazione urbana: sul piatto un fondo nazionale da oltre 3 miliardi e diversi incentivi fiscali
Il disegno di legge sulla rigenerazione urbana è in corso di esame al Senato. Al centro, la proposta di istituire un fondo nazionale con una dotazione finanziaria di oltre 3 miliardi di euro tra il 2024 e il 2037. Previsti anche incentivi fiscali.
Driving Urban Transition: al via la call DUT 2024
Proposto dalla Commissione Ambiente il 5 agosto 2024, il Testo Unificato di disegno di legge sulla rigenerazione urbana è stato adottato lo scorso 18 settembre dalla stessa Commissione. Il ddl mette insieme i disegni di legge delle precedenti legislature che erano già in discussione, riaccendendo così il dibattito sul tema della rigenerazione urbana in Senato. Con il nuovo testo - che consta di 14 articoli - il Governo intende migliorare la qualità del patrimonio esistente, l’efficienza energetica e idrica, la sicurezza sismica e la dotazione tecnologica, promuovendo allo stesso tempo politiche urbane integrate e sostenibili. Temi centrali nel testo sono, infatti, la coesione sociale, la tutela ambientale e del paesaggio e la salvaguardia delle funzioni ecosistemiche del suolo.
Un nuovo sistema di governance per la rigenerazione urbana
Uno dei perni su cui poggia il testo per la rigenerazione urbana è un sistema di governance che attribuisce la competenza primaria al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (MIT), sia per quanto riguarda le decisioni politiche, sia per gli aspetti tecnici. Il ddl affida infatti a MIT il coordinamento delle politiche per la rigenerazione urbana, ad esempio aggiornando e integrando gli obiettivi del Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare (PinQua), oppure promuovendo il coordinamento dei fondi pubblici messi a disposizione per gli interventi sulla rigenerazione urbana. Sempre al MIT è poi affidata l’identificazione di una serie di interventi prioritari (chiamati “progetti faro”) che sono oggetto di gestione condivisa tra più livelli di governo. Infine il provvedimento affida al MIT il compito di tracciare i programmi e gli interventi sottoposti a misurazione dell’impronta ecologica, il monitoraggio e la valutazione degli interventi di rigenerazione e il sostegno alla partecipazione di investitori nazionali ed esteri, anche del Terzo settore, per processi di coprogettazione nell’ambito della rigenerazione urbana.
In questo scenario, si inseriscono poi le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che, nell’ambito delle proprie competenze, innanzitutto - sulla base degli obiettivi del PinQua - identificano le priorità di intervento e individuano le proprie risorse che possono essere destinate al finanziamento di interventi di rigenerazione da realizzarsi anche tramite bandi rivolti ai Comuni. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, inoltre, devono definire incentivi e semplificazioni per favorire gli interventi di rigenerazione pubblica e privata e la promozione di specifici programmi di rigenerazione urbana nelle aree di edilizia residenziale pubblica (ERP), con particolare attenzione alle periferie e alle aree di maggiore disagio sociale. Infine, le regioni favoriscono anche l’aggregazione della piccola proprietà immobiliare in consorzi unitari per agevolare gli interventi di ristrutturazione urbanistica e l’attuazione di una strategia di rigenerazione urbana.
Passando, invece, al ruolo riservato ai Comuni, il ddl prevede che essi identifichino - entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge sulla rigenerazione urbana - il perimetro dei centri storici e dei centri urbani di interesse, nonché i nuclei abitati e le località produttive dove realizzare gli interventi. Ai Comuni, inoltre, spetta il compito di individuare gli ambiti urbani oggetto di interventi di rigenerazione a valere esclusivamente sulle risorse statali, regionali o comunali che confluiscono nella programmazione comunale.
Il Programma nazionale per la rigenerazione urbana
Uno dei pilastri del ddl è il Programma nazionale per la rigenerazione urbana, composto da due strumenti: in via straordinaria dai progetti previsti dal PNRR; dall’altra parte, dal Piano nazionale per la rigenerazione urbana, che deve essere adottato con decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) entro 4 mesi dall’entrata in vigore della legge e su proposta del Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU). Tale Piano, che sarà inserito annualmente anche nel Documento di economia e finanza (DEF), definisce gli obiettivi di rigenerazione urbana, seleziona i criteri - basati su indicatori territoriali socio-economici - per delineare le priorità di intervento, inquadra le tipologie di intervento oggetto di finanziamento nazionale, stabilisce le risorse disponibili e le relative fonti di finanziamento e monitora e valuta l’attuazione del Programma nazionale. Il Piano è in sostanza il framework su cui poggia la strategia nazionale per la rigenerazione urbana.
Il ddl prevede poi un altro tipo di programmazione, cioè quella comunale. Essa individua gli obiettivi generali degli interventi in termini di messa in sicurezza, resilienza del territorio rispetto ai pericoli naturali, manutenzione e rigenerazione del patrimonio edilizio pubblico e privato esistente, di sviluppo sociale, ambientale ed economico, di bilancio energetico e idrico, di valorizzazione degli spazi pubblici e delle aree verdi, di mobilità sostenibile e di accessibilità alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. E’ bene sottolineare che la programmazione comunale, per essere adottata, deve essere conforme allo strumento urbanistico generale ed è formulata sulla base della perimetrazione effettuata sulla cartografia del Geoportale cartografico catastale dell’Agenzia delle entrate. I contenuti della programmazione riguardano gli obiettivi di riqualificazione urbana, di sostenibilità ambientale, di miglioramento degli standard energetici del patrimonio edilizio pubblico e privato esistente, ma anche l’elenco di interventi volti alla realizzazione di servizi pubblici e privati, di valorizzazione degli spazi pubblici, delle aree verdi e dei servizi di quartiere, di edilizia residenziale sociale e la stima dei relativi costi. Tra gli interventi che devono individuare i Comuni figurano anche quelli connessi al ciclo dei rifiuti e dei materiali di costruzione e demolizione.
Come funziona il Fondo nazionale per la rigenerazione urbana e a chi sono rivolte le risorse
Come nella versione di fine 2021, anche il testo del 2024 prevede l’istituzione di un Fondo presso il MIT, con una dotazione pari a 3,35 miliardi di euro dal 2024 al 2037 (in diminuzione rispetto alla proposta di fine 2021 che prevedeva una dotazione di 3,85 miliardi fino al 2036), ripartiti come segue: 50 milioni per l’anno 2024, 100 milioni per gli anni 2025 e 2026 e 300 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2027 al 2037.
Le risorse del Fondo sono anzitutto destinate al finanziamento degli interventi di rigenerazione attuativi del Piano nazionale. Ma non solo. Le risorse del Fondo sono destinate annualmente in modo vincolato per il finanziamento degli interventi ricompresi nella programmazione comunale di rigenerazione urbana, includendo tra le spese ammissibili quelle destinate a:
- La redazione di studi di progettazione e di fattibilità urbanistica ed economico-finanziaria di interventi di rigenerazione urbana;
- La progettazione delle opere e dei servizi pubblici o di interesse pubblico;
- La ristrutturazione del patrimonio immobiliare pubblico;
- Gli oneri per il trasferimento temporaneo delle unità abitative e dei nuclei familiari coinvolti nel programma secondo modalità socialmente sostenibili;
- Lo svolgimento efficace delle procedure partecipative;
- Gli interventi finalizzati alla realizzazione delle aree verdi e, più in generale, per misure di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici;
- La demolizione delle opere incongrue, per le quali il comune abbia accertato l'interesse pubblico e prioritario alla demolizione;
- Il reclutamento di figure professionali a tempo determinato destinate ai comuni per adempiere a quanto previsto dalla nuova legge nei primi tre anni dall’entrata in vigore, nonché spese per interventi di assistenza tecnica.
Nonostante gli interventi ammessi siano fondamentalmente di natura pubblica, la norma riserva comunque un forte ruolo al privato che può proporre priorità di azione e obiettivi primari da inserire all'interno dei programmi di rigenerazione urbana.
Per quanto riguarda l’impiego delle risorse assegnate annualmente nell’ambito del Fondo con decreto del MIT e su proposta del CIPU, il ddl stabilisce che siano ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e tra i comuni capoluogo. Il riparto si basa su criteri coerenti con le priorità individuate nel Programma nazionale per la rigenerazione urbana. Una volta ricevute e impiegate le risorse del Fondo, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e i Comuni ne certificano l’avvenuta utilizzazione comunicandolo al MIT e, in caso di mancato utilizzo dei finanziamenti, le risorse eccedenti vengono riassegnate al Fondo.
Gli incentivi fiscali previsti dal testo su rigenerazione urbana
Tra le disposizione del ddl anche diverse tipologie di agevolazioni fiscali, specificati all’articolo 11 del testo.
Innanzitutto, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, le regioni e province autonome di Trento e di Bolzano devono aggiornare le tabelle parametriche relative agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e al costo di costruzione per i nuovi edifici, entrambi previsti dal Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia (del 2001). Tali aggiornamenti vanno effettuati seguendo il criterio di favorire interventi di demolizione e ricostruzione, invece di quelli che determinano nuovo consumo di suolo, in linea con i principi della rigenerazione urbana.
Altri sgravi fiscali riguardano gli immobili oggetto di interventi di rigenerazione urbana, che non saranno soggetti - fino alla conclusione degli interventi previsti nella programmazione comunale - né all'imposta municipale propria (IMU), né alla tassa sui rifiuti (TARI).
Ai trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti che attuano interventi di rigenerazione urbana di iniziativa pubblica o privata, invece, vengono applicate imposte di registro ipotecaria e catastale pari a 200 euro ciascuna.
Gli interventi di rigenerazione urbana previsti da questa legge potranno beneficiare anche delle detrazioni fiscali sia per interventi di efficienza energetica, sia per gli interventi di ristrutturazione edilizia e per l'acquisto di mobili previste rispettivamente dagli articoli 14 e 16 del DL 63/2013. A queste si possono inoltre aggiungere, laddove applicabili, anche le agevolazioni previste dall'articolo 119 del DL 34/2020.
Ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, il ddl prevede la detrazione dall’imposta lorda - fino alla concorrenza del suo ammontare - del 50% dell’importo corrisposto per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto in relazione all’acquisto di unità immobiliari a destinazione residenziale, cedute da persone giuridiche in seguito agli interventi della legge sulla rigenerazione. La detrazione del 50% è ripartita in dieci quote costanti nell’anno in cui sono state sostenute le spese e nei nove periodi d’imposta successivi.
Infine, con l’obiettivo di promuovere il riutilizzo, l’efficienza e la sostenibilità del patrimonio immobiliare esistente, i Comuni possono elevare, in modo progressivo, le aliquote dell'IMU previste sulle unità immobiliari o sugli edifici che risultino inutilizzati o incompiuti da oltre cinque anni. Lo stesso possono fare le regioni con l'aliquota addizionale dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), che può essere elevata fino ad un massimo dello 0,2%.
Le osservazioni degli stakeholder: l’opinione di ANCE e ANCI
Durante l’audizione in Senato dello scorso 1° ottobre, diversi stakeholder interessati dal ddl sono intervenuti illustrando il proprio parere sul testo sulla rigenerazione urbana proposto.
Tra le parti interessate convenute, figura l’ANCE (Associazione nazionale costruttori edili), che si è mostrata soddisfatta per il fatto che il testo unificato punti a “inquadrare finalmente la rigenerazione urbana come un modello ordinario di sviluppo per le città, superando l’approccio finora perseguito mediante interventi di natura straordinaria collegati a specifici programmi statali, regionali o europei”. Il portavoce ANCE e vicepresidente dell’associazione Stefano Betti ha anche sottolineato come il testo sia apprezzabile in particolare per la “previsione sia di una specifica governance di supporto a un programma nazionale di rigenerazione urbana dotato di un canale di finanziamento unico e dedicato, sia per la previsione di una fiscalità immobiliare necessaria per incentivare anche gli interventi privati”. Punti dolenti, invece, per l’ANCE sono la necessità di migliorare le disposizioni che regolano il rapporto tra Stato, regioni e enti locali per non incorrere nell’errore di complicare gli iter legislativi invece di semplificarli. Soprattutto, però, secondo l’associazione la dotazione finanziaria messa a disposizione dal ddl appare “insufficiente e inadeguata rispetto alle destinazioni previste dalla stessa norma che comprendono, tra le altre, anche le spese per la ristrutturazione del patrimonio immobiliare pubblico e quelle per le misure di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici”.
Altro stakeholder di rilievo intervenuto durante l’audizione in Senato è l’ANCI (Associazione nazionale comuni italiani). Come sottolineato dal rappresentante, nonché sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, l’associazione già nel corso dell’audizione dello scorso febbraio 2024 si era espressa “chiedendo che il testo base valorizzasse il ruolo centrale dei Comuni”. Ciò nonostante, secondo l’ANCI il testo unificato va in un’altra direzione togliendo autonomia ai Comuni “con una governance complicata in cui gli investimenti di rigenerazione dei Comuni seguirebbero la programmazione regionale, con inevitabili inefficienze e ritardi”. La richiesta dell’associazione consiste, pertanto, in interventi correttivi per individuare “regole più semplici ed efficaci per la realizzazione di investimenti sui territori”. Inoltre, come l’ANCE, anche l’associazione dei Comuni sottolinea l’inadeguatezza delle risorse messe a disposizione nell’ambito del Fondo nazionale.